26/08/2021 – Elezione del presidente del collegio dei revisori 

La fonte

L’art. 16, Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito in legge n. 148/2011 prevede:

  • al comma 25 che «i revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello provinciale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, nonché gli iscritti all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili», rilevando che il “criterio dell’estrazione” esprime una regola generale idonea ad assicurare la neutralità (alias imparzialità) di giudizio nella scelta, affidata alla sorte senza influenze esterne e/o condizionamento[1];
  • al comma 25 bis (inserito dall’ art. 57 ter, comma 1, lett. b), del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157) che «nei casi di composizione collegiale dell’organo di revisione economico-finanziario previsti dalla legge, in deroga al comma 25, i consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane e le unioni di comuni che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali eleggono, a maggioranza assoluta dei membri, il componente dell’organo di revisione con funzioni di presidente, scelto tra i soggetti validamente inseriti nella fascia 3 formata ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’interno 15 febbraio 2012, n. 23, o comunque nella fascia di più elevata qualificazione professionale in caso di modifiche al citato regolamento», affidando la scelta all’organo elettivo, dove la mediazione e la componente “fiduciaria” assume una certa rilevanza nella composizione del voto, e di conseguenza della scelta.

 

Invero, va rilevato che l’elemento “fiduciario” nel rapporto intercorrente tra l’organo di revisione e il datore di lavoro pubblico che lo nomina (alias consiglio comunale), non può trasmodare in una relazione eterodiretta ma deve reggersi su aspetti di ampia autonomia e terzietà, potendosi semmai limitarsi a ricevere direttive di carattere generale, per realizzare le quali si vale di ampia autonomia, distinguendosi d’altronde dalle nomine fiduciarie legate al c.d. spoil system (dirigenza a chiamata)[2].

La nomina di organi tecnici di controllo interno si differenzia, quindi, dalla potestà di nomina dei dirigenti (a termine), che troverebbe base e ragione giuridica in un rapporto fiduciario che tende sempre più ad assimilarsi ad un rapporto sorretto dall’intuitu personae, al punto da non essere nemmeno motivata la sua mancata conferma o nomina[3].

Si comprende, in termini più espliciti e in ragione del requisito di imparzialità/terzietà (tipico degli organi di controllo)[4], che per l’organo di revisione non debba godere di un “collegamento fiduciario” con l’Amministrazione: una volta perfezionata la nomina vi è la piena indipendenza e autonomia delle parti: quella politica del consiglio comunale e quella tecnica dell’organo[5].

Si deve convenire che l’affidamento dell’incarico è espressione del conferimento di un munus publicum correlato all’esercizio di poteri pubblicistici, appurata la natura pubblicistica dell’atto a monte di conferimento dell’incarico, se ne deve inferire che sullo stesso l’Amministrazione possa intervenire esercitando esclusivamente poteri di autotutela pubblicistica, anche per evidenti ragioni di simmetria[6], purché (ovviamente) il potere esercitato (quello eventuale di revoca) sia all’interno delle previsioni dall’art. 235, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL): manca il margine di discrezionalità politica dovendo attenersi solo sugli aspetti oggettivi dell’inadempimento, presupposto fondamentale per l’esercizio del potere di revoca, escludendo ogni considerazione di natura “fiduciaria[7].

La disputa

Se dunque la nomina dei componenti segue un rigido criterio di estrazione, viceversa la nomina del presidente del collegio riveste una specifica modalità di votazione che richiede una maggioranza (rectius assoluta) senza specificare se tale quorumsia riferito ai componenti del consiglio “assegnati”, oppure ai componenti “presenti” nella seduta del consiglio deputata alla sua elezione: il numero varia, manca un’esatta qualificazione.

L’Organo di revisione economico-finanziario

L’organo di revisione svolge una serie di funzioni primarie definite puntualmente dall’art. 239 del d.lgs. n. 267/2000[8], esprimendo il proprio parere sugli atti più rilevanti per l’attività dell’Ente locale, atti la cui mancanza o mancata approvazione potrebbe costituire causa di scioglimento del Consiglio comunale (ex artt. 141, comma 2 e 227, comma 2 bis, del TUEL), dimostrando l’essenzialità e obbligatorietà di tale organo per la funzionalità dell’ente.

L’importanza delle attività poste in essere (per la stabilità finanziaria) del Comune attribuiscono all’organo di revisione compiti di collaborazione, vigilanza e impulso, sicché qualora il consiglio comunale non intenda uniformarsi dovrà motivare adeguatamente la mancata adozione delle misure proposte; di converso, al fine di garantire l’adempimento delle funzioni, ha diritto di accesso agli atti e documenti dell’ente e può partecipare all’assemblea consiliare per l’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto di gestione (ulteriori funzioni possono essere attribuite dallo statuto).

Il comma 5, del cit. art. 239, consente ai «singoli componenti dell’organo di revisione collegiale» il «diritto di eseguire ispezioni e controlli individuali», norma di chiusura che riassume i poteri affidati, funzionali ad assicurare il buon andamento e la stabilità economico finanziaria dell’Amministrazione (ex art. 97 Cost.).

L’art. 237, Funzionamento del collegio dei revisori, del TUEL dispone che «il collegio dei revisori è validamente costituito anche nel caso in cui siano presenti solo due componenti», riservando al consiglio la disciplina sull’operatività dell’organo, anche ai fini di rilevare inadempienze[9], con la conseguenza dell’operatività dell’organo anche nel caso in cui rimanga composto da due soli membri per dimissioni del terzo, con la conseguenza che in mancanza di tale quorum strutturale si determina il dissolvimento dell’intero collegio per impossibilità di funzionamento dell’organismo[10].

Quest’ultimo profilo, risulta non indifferente sulla nomina del presidente del collegio, il quale qualora non nominato prontamente (ovvero, quando non vi sia la convergenza sul nome) non impedisce all’organo di operare validamente (solo con i due revisori estratti)[11].

Non è impossibile ipotizzare che il consiglio comunale non raggiunga la maggioranza richiesta per la nomina del presidente del collegio, e questa circostanza fattuale – in assenza di una norma specifica di legge sulla funzionalità dell’organo – impedirebbe l’operatività dell’organo di revisione con un arresto dell’attività dell’ente comunale (non rientrando, peraltro, in quelle cause di impossibilità di assicurare «il normale funzionamento degli organi e dei servizi», ex comma 1 dell’art. 141 del TUEL.)

Questo significherebbe (e risulta dirimente per la soluzione del caso) che la maggioranza richiesta va riferita non tanto al numero di consiglieri assegnati quanto al numero di consiglieri presenti alla seduta di nomina, con una maggioranza c.d. semplice (come si avrà modo di riferire), proprio per garantire il c.d. effetto utile, che consiste nella modalità più immediata di giungere all’elezione: una maggioranza semplice dei presenti alla seduta, evitando di ricorrere a “maggioranze qualificate” che richiederebbero un quorum più elevato, con aggravamento della procedura di nomina (ex comma 2, dell’art. 1 della legge n. 241/1990).

Maggioranza dei voti tra due candidati

In questa ricerca, funzionalizzata ad assicurare che l’organo obbligatorio possa costituirsi il più celermente possibile, si dovrà dare una lettura convincente al criterio di elezione: «a maggioranza assoluta dei membri», dove la norma non specifica altro: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

In questo senso, depone un parere del Ministero dell’interno[12], che dopo aver riferito che le modalità di votazione rientrano nella discrezionalità della disciplina regolamentare interna, si spinge a precisare che tra due candidati dovrà essere eletto:

  • quello in possesso dei requisiti previsti dalla legge;
  • e con il maggior numero di voti, senza considerare, pertanto, la maggioranza assoluta dei membri, ma solo la maggioranza dei voti (questa avanzata interpretazione potrebbe escludere che il più votato abbia raggiunto la «maggioranza assoluta dei membri» presenti alla votazione)[13].

Quorum

Fatte queste prime riflessioni prima di giungere alla conclusione, è opportuno richiamarsi alla modalità di votazione che si innesta sulle modalità di funzionamento delle riunioni del consiglio comunale nella corretta distinzione tra quorum “strutturale” e “funzionale” in relazione al computo degli astenuti per la determinazione della maggioranza dei votanti.

L’art. 38, «Consigli comunali e provinciali», comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 267/2000, dopo aver definito una parte del contenuto minimo necessario del regolamento sul funzionamento dei consigli[14], stabilisce che tale fonte deve prevedere («indica») «il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all’ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia».

La ratio della norma è quella di escludere il sindaco soltanto dal calcolo per la determinazione del numero minimo di componenti richiesti per rendere valida la seduta del consiglio comunale, che non può scendere al di sotto del terzo dei consiglieri assegnati all’ente, lasciando per il resto alla discrezionalità organizzativa dell’ente locale la fissazione del quorumstrutturale di prima come di seconda convocazione, nonché le modalità ed i criteri per il suo calcolo.

Invero, l’esclusione del sindaco ai fini del quorum, vige non solo in relazione al numero legale minimo imposto alla fonte regolamentare ai fini della validità delle delibere, ma anche in tutti quei casi in cui, comunque, si tratti di determinare il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute[15].

Da queste brevi osservazioni, si può già affermare che se sussiste una differenziazione di quorum strutturale tra la seduta di prima e seconda convocazione; in ogni caso, non si può scendere al di sotto della soglia minima definita dalla legge («almeno un terzo dei consiglieri assegnati», non presenti) in seconda convocazione, al di sotto di questa soglia, in base ad un principio di efficienza dell’organo collegiale, la funzionalità viene meno[16], dovendo affermare – in linea generale e di principio – che la mancanza del quorum strutturale di un organo collegiale, in assenza di specifiche disposizioni di legge o regolamentari, è causa di scioglimento di esso, in omaggio ai principi generali in materia di funzionamento degli organi collegiali (ex art. 141, comma 1, lettera b), numero 3)[17].

Quorum strutturale

Il quorum strutturale è il numero legale o numero minimo di partecipanti necessario ai fini della validità della seduta e la sua mancanza comporta lo scioglimento della seduta.

Vero è che il difetto del numero legale determina non solo il vizio di legittimità della deliberazione assunta ma anche l’invalidità dell’intera seduta e degli atti conseguenti[18].

La disciplina dell’art. 38 del TUEL ha posto una duplice regola:

  • da un lato, si è individuata una riserva di competenza a favore della fonte locale regolamentare, cui si è assegnata la funzione di determinare il quorum costitutivo del Consiglio, nell’esercizio della potestà di autorganizzazione dell’organo;
  • dall’altro lato, si è predeterminato un contenuto parziale necessario di siffatto regolamento, costituito dal numero legale minimo di componenti necessari alla validità delle delibere consiliari (escludendo il sindaco dal computo).

Quorum strutturale e deliberativo

Si aggiunga il quorum deliberativo: un quadro di sintesi del rapporto tra quorum e votazioni (maggioranze):

  1. il quorum legale (o formale) s’intende il totale dei membri assegnati al collegio, mentre i membri in carica si intende il quorum reale (ovvero, i componenti del collegio presenti in una determinata seduta)[19];
  2. il quorum strutturale indica il numero dei membri prescritti per la validità dell’adunanza (ossia, l’articolo 38, comma 2, secondo periodo del TUEL)[20], rilevando che il quorum strutturale non riguarda il solo momento di insediamento dell’assemblea, all’inizio della sua seduta, ma definisce un requisito che deve restare stabilmente presente anche in relazione alle singole deliberazioni, essendo funzionalmente subordinato alla operatività del collegio[21];
  3. il quorum funzionale rappresenta il numero minimo di voti richiesti affinché la proposta possa essere approvata[22]; detto anche a “maggioranza relativa”, dato dalla metà più uno dei componenti il collegio effettivamente partecipanti alla votazione, distinguendosi da quello detto a “maggioranza assoluta”, per il quale è necessario conseguire un numero di voti pari alla metà più uno di tutti i componenti il collegio, presenti o assenti, partecipanti, o non, alla votazione, nonché da quello detto a “maggioranza rafforzata”, costituito da un numero superiore a quello dato dalla metà più uno dei componenti il collegio[23];
  4. la maggioranza si considera “speciale” quando il numero di membri è superiore alla metà (ex art. 6, comma 4, primo periodo del d.lgs. n. 267/2000 «Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati»)[24];
  5. la maggioranza assoluta, l’art. 38, comma 2, primo periodo del TUEL richiede tale maggioranza per l’approvazione del regolamento del consiglio comunale, omettendo di precisare la composizione dei votanti;
  6. la maggioranza relativa o semplice (l’art. 39, comma 1, primo periodo del TUEL, stabilisce che il presidente del consiglio è «eletto tra i consiglieri nella prima seduta del consiglio», senza precisare la maggioranza richiesta) è costituita dalla semplice prevalenza dei voti, qualunque sia il loro numero visto che non vi è rapporto né con il numero dei votanti né con il numero dei presenti (in assenza di un quorum prestabilito vige il principio della maggioranza semplice);
  7. colui che dichiara di astenersi fa quorum (per rendere legale la seduta) ma non va computato nei votanti (come si vedrà nel proseguo).

L’interpretazione sistematica

In effetti, quando la norma del d.lgs. n. 267/2000 richiede una particolare maggioranza assoluta (ovvero, qualificata ad es. 2/3) dei votanti, intesa con riferimento ai consiglieri assegnati e non ai consiglieri presenti alla seduta, lo dichiara in forma esplicita, dovendo ritenere che – in assenza di una chiara composizione del voto – si deve intendere sempre quella semplice: metà più uno dei presenti, salvo che a livello regolamentare interno non sia presente una diversa indicazione non definita dalla legge[25].

Chiarito il quorum strutturale necessario per la validità della seduta, il presidente viene eletto con la maggioranza assoluta dei consiglieri presenti e votanti (numero dei votanti per la validità della deliberazione, c.d. quorum funzionale)

Va anche detto che l’astenuto presente consente di garantire il quorum strutturale per la validità della seduta ma non si considera (rectius computa) per la validità della votazione (quorum funzionale per la votazione): gli astenuti, anche in assenza di una specifica previsione regolamentare, concorrano alla formazione del quorum strutturale, cioè alla formazione del numero minimo di consiglieri necessario per la validità della seduta, ma non a quello del quorum funzionale[26].

In base al noto brocardo in claris non fit interpretatio ed in assenza di una disciplina regolamentare che individui particolari maggioranze di votanti o computo degli astenuti, ai sensi dell’articolo 38, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000 che demanda al regolamento la disciplina del funzionamento del consiglio (nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto)[27], la disposizione che prevede l’elezione del presidente dell’organo dei revisori «a maggioranza assoluta dei membri» non può che intendersi riferito a quelli presenti nella seduta per la sua elezione, escludendo ogni diverso riferimento (rectius assegnati).

La ratio trova conferma nel tessuto ordinamentale proiettato a semplificare le forme di votazione e garantire la funzionalità dell’ente rispetto a criteri di votazione rigidi imposti espressamente per la votazione di alcuni atti fondamentali dell’ente locale, mentre con riferimento alle nomine non si richiedono particolari maggioranze.

Dunque, l’unico vincolo posto dalla legge statale riguarda il quorum strutturale: la norma dispone, infatti, che la fonte regolamentare deve indicare il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, e di riflesso delle votazioni, anche con riferimento a quella del presidente dell’organo di revisione.

Si ricava dalla lettura sistematica delle norme di riferimento il seguente principio interpretativo secondo il quale il voto favorevole della «maggioranza assoluta dei membri» del consiglio comunale va considerato nel senso di coloro che – presenti alla seduta – intendono votare a favore o contrario, con l’avvertenza che in caso di votazione segreta si terrà conto della maggioranza assoluta dei voti favorevoli: metà più uno (a titolo esemplificativo: 14 presenti e votanti, servono 8 favorevoli).

[1] L’individuazione operata a mezzo di “sorteggio” costituisce un criterio di scelta, in termini assoluti, che garantisce il rispetto del principio di imparzialità, TAR Sicilia, Catania, sez. III, 4 novembre 2015, n. 2544, al punto da risultare “praticamente impossibile” esprimere qualunque tipo di preferenza da parte dell’Amministrazione, TAR Campania, Salerno, sez. I, 21 novembre 2017, n. 162. Si rinvia, Il criterio del sorteggio sulla nomina dei commissari esterni (e delle offerte uguali), mauriziolucca.com, 8 agosto 2020.

[2] Tribunale di Catanzaro, sez. civ. lav., ordinanza 23 novembre 2020. Sul punto, LUCCA, L’elogio della “spinta”: apologia classica di una nuova base giuridica del “raccomando”, comedonchisciotte.org, 7 febbraio 2021.

[3] Cfr. Corte Cost., 22 febbraio 2019, n. 23, riferita alla dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. TUEL), sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione. Vedi, La leggerezza dello spoils system del Segretario comunale, mauriziolucca.com, 23 febbraio 2019.

[4] Significativo di questo valore di terzietà (assenza di conflitto di interessi) è la previsione del comma 3 dell’art. 236, Incompatibilità ed ineleggibilità dei revisori, che impedisce al revisore di «assumere incarichi o consulenze presso l’ente locale o presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso». Risponde a questo principio di diritto l’impossibilità di nominare il revisore quale componente di un organo di valutazione del personale del Comune, Corte conti, sez. contr. Piemonte, deliberazione 23 aprile 2018, n. 44, idem Corte conti, sez. contr. Campania, 26 marzo 2009, n. 13. Conforme M.I., Incarico dei revisori degli enti locali, parere del 3 Novembre 2020, dove si ritiene che «il revisore non può svolgere la funzione di componente dell’OIV nel medesimo ente locale per evitare l’insorgenza di eventuali posizioni che possano porsi in conflitto con l’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate».

[5] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2017, n. 677.

[6] C.G.A.R.S., 22 dicembre 2015, n. 736.

[7] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 30 luglio 2019, n. 716. Vedi, LUCCA, La mancata “fiducia” non legittima la revoca del revisore, ildirittomministrativo.it, n. 10, 18 ottobre 2019.

[8] È illegittima, ad es., la deliberazione del Consiglio provinciale, di nomina del collegio dei revisori dei conti, nel caso in cui tra i componenti sia stato nominato un soggetto che è revisore contabile di una società controllata dell’ente locale, TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 22 aprile 2013, n. 308. Sui requisiti, si rinvia, LUCCA, Revisore assessore: limiti territoriali dell’incompatibilità da valutare concretamente, lentepubblica.it, 31 maggio 2021.

[9] Cfr. MI, Pareri sottoscritti solo da due componenti del collegio dei revisori dei conti, 7 luglio 2021, ove si chiarisce che «la normativa di riferimento non disciplina le modalità di convocazione e di riunione dell’organo di revisione che, in genere, sono decise autonomamente dall’organo di revisione ovvero, a volte, indicate nel Regolamento di contabilità comunale».

[10] Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 2011, n. 3820, dove si osserva che dal combinato disposto degli artt. 235 e 237 del TUEL, l’organo di revisione in composizione collegiale non può operare se non con almeno due componenti ed è possibile solo la sostituzione di un singolo componente: «le dimissioni contestuali di due componenti su tre determinano il dissolvimento dell’intero collegio, in quanto l’insanabile mancanza del quorum strutturale di un organo collegiale, implicando la definitiva impossibilità di funzionamento dell’organismo, è causa di scioglimento dello stesso in omaggio ai principi generali in materia di funzionamento degli organi collegiali».

[11] Cfr. MI., Assenza per malattia del revisore. Sostituzione, parere del 22 Aprile 2020, dove si chiarisce che «in caso di assenza del revisore per prolungato periodo occorre procedere alla nomina di un altro soggetto in quanto non è prevista la figura del revisore supplente», confermando da una parte, che l’organo può operare con due componenti, dall’altra, la necessità della sostituzione per garantire la continuità dell’esercizio della funzione.

[12] MI, Votazione per la nomina del Presidente del collegio di revisione, parere del 17 Febbraio 2021 – Categoria 21.02, Nomina dei revisori degli enti locali.

[13] Questa interpretazione risulta conforme ad un arresto giurisprudenziale (TAR Campania, Napoli, sez. I, 15 giugno 2012, n. 2841) dove è stato chiarito che in sede di elezione dei membri del collegio dei revisori dei conti quando due candidati abbiano riportato un numero di voti pari, è illegittima la decisione del consiglio comunale di procedere al ballottaggio tra i due candidati ex aequo e la conseguente delibera con la quale è stata sancita l’elezione, oltre che dei due membri che avevano già conseguito in assoluto più voti, anche del terzo componente che, al secondo turno, ha ottenuto più voti. Si conclude affermando che nel procedimento di natura elettorale di nomina dei revisori dei conti, ai sensi dell’art. 234 del d.lgs. 267/2000 (vecchio sistema), allorché si verifica l’ipotesi di parità di voti tra due candidati, deve ritenersi consentito, anzi doveroso, in difetto di apposita previsione normativa di matrice statale e/o comunale, il ricorso al criterio dell’anzianità, in analogia con le situazioni che si verificano nelle elezioni dei comuni con il sistema maggioritario.

[14] La normativa, di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 267/2000, prevede un contenuto minimo obbligatorio del regolamento comunale sul funzionamento dell’organo consiliare, TAR Piemonte, sez. II, 8 maggio 2020, n. 270.

[15] TAR Lombardia, Milano, sez. I, 22 giugno 2011, n. 1604.

[16] Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2006, n. 640.

[17] TAR Sicilia, Catania, sez. I, 8 maggio 2007, n. 786.

[18] TAR Piemonte, 16 ottobre 2004, n. 2470.

[19] Va chiarito che quando è richiesto un determinato numero di componenti per la validità della seduta, e questo numero coincide con il numero della totalità dei componenti, siamo in presenza di un “collegio perfetto”, con la conseguenza che le deliberazioni dell’organo stesso devono essere adottate in presenza di tutti i suoi componenti e, dall’altro, con un’espressione di voto che ne costituisca la maggioranza, TAR Basilicata, 20 agosto 1999, n. 348; Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2001, n. 940. I collegi amministrativi perfetti debbono essere necessariamente composti da un numero sempre dispari di membri, onde assicurare la funzionalità del principio maggioritario, e a tale obbligo può in concreto derogarsi solo in presenza di una norma espressa che attribuisca, in caso di parità, al voto del presidente un valore ponderale diverso, Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2009, n. 2143; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 5 marzo 2010, n. 1122.

[20] È da annotare che la norma ha espunto dall’Ordinamento comunale il riferimento all’articolo 127 del T.U. del 1915 (regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148) dove si prevedeva che «I Consigli comunali non possono deliberare se non interviene la metà del numero dei consiglieri assegnati al Comune; però, alla seconda convocazione, che avrà luogo in altro giorno, le deliberazioni sono valide purché intervengano almeno quattro membri», norma abrogata ad opera dell’articolo 28, comma 4, della legge n. 265/1999 «Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla L. 8 giugno 1990, n. 142».

[21] Il fatto che il consiglio non possa qualificarsi come collegio perfetto, con conseguente possibilità di operare anche in assenza di alcuno fra i componenti, non fa venire meno la necessità di verificare la sussistenza del quorum strutturale per ciascuna deliberazione, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 26 febbraio 2008, n. 174, idem Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2007, n. 2351.

[22] È noto che il collegio perfetto è un modello necessario soltanto per gli organi collegiali giurisdizionali, mentre per quelli amministrativi ben può essere previsto un quorum strutturale inferiore al plenum del collegio in relazione alla peculiarità della disciplina da dettare, Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 2011, n. 3363.

[23] TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 18 dicembre 2007, n. 3453.

[24] Il procedimento aggravato trova la sua ragione «proprio al fine di garantire questo documento basilare da improvvise modifiche ad opera di una maggioranza politica», ITALIA – CAMARDA, La deliberazione dello statuto, in Il nuovo testo unico degli enti locali, Milano, 2011, pag. 10.

[25] Cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 1° ottobre 2020, n. 680.

[26] Cfr. l’art. 78, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000, che impone agli amministratori l’astensione dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti ed affini fino al quarto grado.

[27] Si richiama il sistema di votazione della Camera dei deputati, dove all’art. 48 del regolamento, «dopo aver ribadito la formula costituzionale “maggioranza dei presenti”, afferma che sono considerati presenti solo coloro che esprimono voto favorevole o contrario. Formula giudicata dalla Corte costituzionale compatibile con la previsione costituzionale della “maggioranza dei presenti” di cui all’art. 64 cost. atteso che “dichiarare di astenersi ed assentarsi sono manifestazioni di volontà che si differenziano solo formalmente – come una dichiarazione espressa si differenzia da un comportamento concludente – ma che in realtà poi si accomunano grazie all’univocità del risultato cui entrambe mirano con piena consapevolezza, che è quello di non concorrere all’adozione dell’atto collegiale”. Se così è – aggiunge la Corte – “l’assemblea può stabilire in via generale ed astratta quale sia, ai fini del computo della maggioranza e, quindi, della validità delle deliberazioni, il valore dell’un modo o dell’altro di manifestare la volontà di non partecipazione alla votazione”», Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3372.

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto