26/05/2021 – Licenziamento per carenza di «minimo etico», non serve l’affissione del codice disciplinare

Lo Statuto dei lavoratori fin dagli anni ‘70 ha messo in evidenza che al codice disciplinare deve essere data la massima pubblicità mediante affissione sul posto di lavoro in luogo accessibile a tutti i dipendenti. Con la sentenza n. 11120/2021, la Corte di cassazione ha tuttavia chiarito che in tutti i casi nei quali il comportamento sia immediatamente percepibile dal dipendente stesso come illecito perché contrario a un «minimo etico», per irrogare la sanzione non è affatto necessario verificare prima la corretta esposizione del codice disciplinare. Ciò in quanto il dipendente pubblico, come quello del settore privato, ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica previsione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della indubbia illiceità della propria condotta. In tali evenienze e in rapporto alla gravità dei fatti, l’amministrazione può quindi sanzionare o, come nel caso esaminato dalla Corte persino «licenziare per giusta causa» il dipendente, senza che quest’ultimo possa obiettare la scarsa conoscibilità delle disposizioni comportamentali a causa della difettosa divulgazione del codice disciplinare da parte del datore di lavoro.

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Minimo etico a garanzia della fiducia 

È vero che la normativa sul rapporto di lavoro nel pubblico impiego, con particolare riguardo a sanzioni disciplinari e responsabilità, rimette alla contrattazione collettiva la determinazione della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, ma al contempo essa richiama anche le norme di diritto del lavoro comuni al settore privato. E ciò permette di radicare l’illecito disciplinare in argomento nella violazione dei generalissimi obblighi di diligenza e fedeltà al datore di lavoro. In altre parole esorbitando dal menzionato «minimo etico» i comportamenti in questione legittimano, in ogni caso, la persecuzione disciplinare al fine di valutare la possibilità di mantenimento o meno del rapporto «di fiducia» con l’amministrazione di appartenenza.

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