25/10/2018 – Recinzioni elettrificate in agricoltura: disciplina edilizia, giurisprudenza e dubbi di incostituzionalità

Recinzioni elettrificate in agricoltura: disciplina edilizia, giurisprudenza e dubbi di incostituzionalità

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale

L’annoso problema dei danni alle coltivazioni agricole causati dalle incursioni della fauna selvatica ha assunto dimensioni ormai critiche, al punto che la stessa attività di coltivazione non è realizzabile in assenza di recinzioni difensive. Il quadro normativo regionale e la conseguente attività amministrativa in capo ai Comuni non sembrano però tenere nella giusta considerazione le esigenze dell’agricoltura. E’ quanto emerge dal caso esaminato nell’Ordinanza del T.A.R. Umbria 8 ottobre 2018, n. 521.

Un’azienda agricola ha presentato ricorso al competente Tribunale amministrativo regionale per vedere annullata l’ordinanza di demolizione e rimessione in pristino di opere abusive realizzate su terreni di proprietà, consistenti nel posizionamento di rete elettrificata al fine di difendere le coltivazioni dalle incursioni della fauna selvatica.

La recinzione protettiva, posta in area agricola non soggetta a vincolo paesaggistico, è caratterizzata da un’estensione di circa 3 km senza soluzione di continuità, ed è costituita da paletti metallici ad altezza massima di m 1,50 distanti tra loro m 6 con n. 4 ordini di filo metallico elettrificato (il primo posto a circa 30 cm. da terra) e n. 8 aperture, di circa 6 metri l’una, “a molla”. Un impianto così costruito, secondo la documentazione depositata in giudizio, appare in grado di garantire il normale passaggio di animali di piccole e medie dimensioni, fatta eccezione per gli ungulati.

Il provvedimento inibitorio emesso dal Comune troverebbe giustificazione nella normativa regionale applicabile, in base alla quale, in zona agricola è vietato innalzare “ogni forma di recinzione dei terreni o interruzione di strade di uso pubblico se non espressamente previste dalla legislazione di settore o recinzioni da installare per motivi di sicurezza purché strettamente necessarie a protezione di edifici ed attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche”.

Il giudizio davanti al T.A.R.

Secondo la ricorrente, il provvedimento interdittivo sarebbe viziato in quanto fondato su una interpretazione errata della normativa regionale in materia di prevenzione e indennizzo dai danni provocati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole. Nella specie, il Comune ha ritenuto vietate le delimitazioni realizzate a protezione delle colture, mentre per la ricorrente la normativa va intesa nel senso di consentire questa modalità di difesa da parte degli agricoltori, anche al fine di ottenere una riduzione dei costi relativi agli indennizzi relativi ai danni causati alle coltivazioni dalla fauna selvatica.

Dal punto di vista urbanistico ed edilizio, l’impresa ha sostenuto l’irrilevanza delle opere eseguite, evidenziandone il carattere temporaneo e dunque escludendo la necessità di un titolo abilitativo. Sempre su questo fronte, è stata lamentata l’illegittimità del provvedimento impugnato con riferimento al tipo di sanzione applicabile, che per la ricorrente sarebbe stata, in luogo dell’ordine di demolizione, la sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 6-bis, comma 5, D.P.R. n. 380 del 2001 in tema di interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), ovvero l’art. 37 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, che per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività e accertamento di conformità, prevede la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi.

La ricorrente ha inoltre sostenuto l’illegittimità costituzionale della legge regionale in materia di governo del territorio, nell’ipotesi in cui detta normativa debba intendersi nel senso di escludere l’ammissibilità dei sistemi di difesa passivi delle colture a prevenzione dei danni derivanti dall’intrusione della fauna selvatica, ed in particolare dei cinghiali. Le norme costituzionali violate sarebbero l’art. 117, comma 2, lett. l), sulla competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, oltre al successivo comma 3, in tema di competenza concorrente sul governo del territorio, in quanto risulterebbero violati i principi fondamentali relativi all’attività edilizia libera sanciti dal D.P.R. n. 380 del 2001 con riferimento ai lavori di manutenzione ordinaria.

L’Amministrazione comunale ha controdedotto argomentando la mancata impugnazione delle norme urbanistiche della pianificazione locale e di altri provvedimenti amministrativi che qualificano l’opera eseguita come vietata. Anche l’associazione Italia Nostra Onlus si è costituita in giudizio con intervento ad opponendum.

La vicenda giudiziaria ha visto l’emissione da parte del T.A.R. di un’ordinanza di rigetto dell’istanza di sospensiva cautelare, riformata in sede di appello cautelare dal Consiglio di Stato. Il Collegio d’appello, pur non evidenziando l’erroneità della ordinanza impugnata o l’illegittimità del provvedimento di divieto, ha ritenuto, a un primo e sommario esame, che la delicatezza della vicenda necessiti di una valutazione approfondita nel merito. Quanto al danno, nella comparazione degli interessi coinvolti ha deciso di attribuire preminenza all’interesse fatto valere dalla parte appellante, a fronte di un pregiudizio grave e irreparabile.

La questione di legittimità costituzionale: rilevanza

La valutazione del giudice ha interessato preliminarmente la questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti del divieto sancito dalla legge regionale di posizionare recinzioni a difesa delle coltivazioni dalle incursioni della fauna selvatica, che l’Ordinanza del T.A.R. Umbria 8 ottobre 2018, n. 521 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata. Innanzitutto, quanto alla rilevanza, il Collegio ha chiarito che il quadro normativo non può essere interpretato nel senso di escludere le recinzioni elettrificate dall’insieme delle opere a difesa della proprietà, atteso che secondo la giurisprudenza costante “la recinzione senza opere murarie è un manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni, secondo la nozione elaborata dalla giurisprudenza civile in materia di muro di cinta ex art. 878 c.c.”.

Recinzioni “leggere” e vincolo paesaggistico: come procedere

Nemmeno la presenza di un vincolo paesaggistico non costituirebbe impedimento alla realizzazione di nuove recinzioni al servizio della proprietà privata, poiché come tutti gli altri interventi edilizi, anche le recinzioni sono da considerare ammissibili quando non impediscano la fruizione delle componenti del paesaggio tutelate dal vincolo. La recinzione “leggera” in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico impone che l’autorità preposta esprima il proprio parere, dando conto dell’effettivo impatto del manufatto nel contesto tutelato e della sua tollerabilità nella zona destinata ad ospitarlo.

La questione di legittimità costituzionale: non manifesta infondatezza

Rispetto alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il Tribunale ha ricostruito la posizione giurisprudenziale in tema di recinzioni e titoli abilitativi edilizi. In tal senso, devono normalmente considerarsi attività libera, (ai sensi dell’art. 6 comma 1, lett. a), D.P.R. n. 380 del 2001) le recinzioni che, come nel caso di specie, non configurino un’opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali, ad esempio, recinzioni in rete metallica, sorretta da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la loro posa in essere rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendenti lo “ius excludendi alios”, oltre a non comportare un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale. Il titolo edilizio (SCIA o permesso di costruire) è dunque richiesto solamente ove la recinzione, per dimensioni e caratteristiche tecniche, riveli un consistente impatto sul territorio.

Nel caso concreto, sostiene sempre l’Ordinanza 8 ottobre 2018, n. 521, il divieto di recinzione nelle zone agricole è posto esclusivamente e direttamente da una norma regionale, che in quanto incidente “in peius” sulle facoltà dominicali proprie del diritto di proprietà, va illegittimamente a comprimere una libertà oggetto di competenza statale esclusiva ex art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione in materia di “ordinamento civile”. Ancora, il divieto posto dal legislatore regionale, completamente scisso dalle dimensioni e dalle caratteristiche costruttive delle recinzioni e dunque da ogni apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale alla salvaguardia dei valori culturali ed ambientali, non pare potersi ricondurre all’esercizio delle prerogative regionali concorrenti in materia urbanistico-edilizia.

Altri profili di contrasto vengono individuati rispetto al riparto di competenze legislative nella materia “governo del territorio”. A livello di principi statali, l’art. 6 del Testo unico edilizia comprende gli interventi di posa delle recinzioni leggere nell’edilizia libera, mentre la normativa di dettaglio regionale introduce un regime particolarmente restrittivo non giustificato dalla presenza di interessi pubblici superiori, se non addirittura un divieto in senso assoluto non sorretto da apprezzabili finalità ambientali, estetiche e funzionali.

Recinzioni e regime dei titoli abilitativi

Quanto al regime dei titoli abilitativi, a cui appartengono il Permesso di costruire e la Scia, ma non la Comunicazione di inizio lavori, oggi Cila, la posizione della Corte costituzionale è ferma nel sostenere la sua appartenenza alla materia “governo del territorio”. Con riguardo agli interventi sottoposti a regime di edilizia libera, “l’omogeneità funzionale della comunicazione preventiva […] rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA) deve indurre a riconoscere alla norma che la prescrive – al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi – la natura di principio fondamentale della materia del governo del territorio” (Sentenza n. 231/2016). Secondo il T.A.R., il legislatore regionale è vincolato alle categorie edilizie tracciate dallo Stato, e non può dunque restringere il novero degli interventi edilizi liberi fissato dalla legge statale (art. 6 T.U.) né invero introdurre fattispecie del tutto nuove (e non ulteriori) se non travalicando l’assetto delle competenze. La potestà legislativa regionale può apporre ulteriori semplificazioni, ma è vietata la previsione di regimi più restrittivi.

Per questi motivi il Tribunale, con l’Ordinanza 8 ottobre 2018, n. 521, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti della legislazione regionale che vieta il posizionamento di recinzioni a difesa delle coltivazioni dalla fauna selvatica.

T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, Ord., 8 ottobre 2018, n. 521

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