25/04/2020 – Emergenza Covid-19: il buono per la spesa alimentare spetta anche allo straniero irregolare

Emergenza Covid-19: il buono per la spesa alimentare spetta anche allo straniero irregolare
venerdì 24 aprile 2020
di Scalera Antonio – Consigliere Corte d’Appello

 

Il buono per la spesa alimentare, previsto quale misura emergenziale tesa a fronteggiare le difficoltà dei soggetti più vulnerabili a soddisfare i propri bisogni primari a causa della situazione eccezionale determinata dall’emergenza da CoVid-19, attiene al diritto all’alimentazione, che rientra nel nucleo insopprimibile di diritti fondamentali spettanti necessariamente a tutte le persone in quanto tali e non può, perciò, essere negato allo straniero sprovvisto di permesso di soggiorno. È quanto si legge nel decreto del Tribunale di Roma del 21 aprile 2020, n. 12835

 
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI:
Conformi:
Corte cost. sent. n. 120/1967
Corte cost. sent. n. 104/1969
Corte cost. sent. n. 198/2000
Corte cost. sent. n. 252/2001
Corte cost. sent. n. 148/2008
Corte cost. sent. n. 269/2010
Corte cost. sent., n. 61/ 2011
Corte cost. sent. n. 275/2016
Corte cost. sent. n. 107/2018
Corte cost. sent. n. 44/2020
Difformi:
Non si rinvengono precedenti
Con decreto emesso inaudita altera parte, ai sensi degli artt. 669 sexies, comma 2 c.p.c. e 700 c.p.c., il Tribunale di Roma ha riconosciuto il diritto del ricorrente e dell’intero suo nucleo familiare a percepire il “buono spesa” per famiglie in difficoltà introdotto dal Comune di Roma, in applicazione dell’Ordinanza del Capo della Protezione Civile del 29.3.2020.
Nel caso di specie, il ricorrente era giunto in Italia nel settembre del 2016 insieme alla compagna, cittadina filippina, e ai due figli di quest’ultima.
In seguito all’ultima gravidanza della compagna, il ricorrente era divenuto titolare di permesso di soggiorno per cure mediche rilasciato ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. d), D.Lgs. 286/1998, scaduto dopo il sesto mese di età del bambino.
A causa del sopraggiungere dell’emergenza sanitaria, il nucleo familiare, allo stato sprovvisto di permesso di soggiorno, si era trovato in una situazione di forte precarietà e indigenza, tanto da rientrare nel novero di quei soggetti per i quali il Comune di Roma, con apposito provvedimento adottato in attuazione delle misure emergenziali governative, aveva previsto il rilascio di un “buono spesa” per soddisfare le primarie esigenze alimentari.
Pertanto, in data 7.4.2020 il ricorrente aveva inoltrato al competente Municipio del Comune di Roma l’apposito modulo con la richiesta del buono spesa indicando la composizione del proprio nucleo familiare e il proprio stato di bisogno; il 14.4.2020 aveva inviato una seconda email specificando meglio la propria peculiare situazione – ovvero l’assenza di permesso di soggiorno e di residenza anagrafica – e ribadendo il proprio indirizzo di domicilio nonché la propria assoluta condizione di disagio economico.
Ciò premesso, il ricorrente riteneva che la mancanza del regolare permesso di soggiorno e conseguentemente della residenza lo escludessero di fatto dai potenziali beneficiari del buono spesa, producendo nei suoi confronti un’illegittima discriminazione.
Chiedeva, pertanto, che fosse adottato, con decreto inaudita altera parte, stante l’estrema urgenza, il provvedimento cautelare ritenuto più idoneo ad ammettere il ricorrente e l’intero nucleo familiare al beneficio del buono spesa per famiglie in difficoltà introdotto dal Comune di Roma.
Il provvedimento in rassegna ha – come detto in apertura – accolto l’istanza del ricorrente.
In particolare, il Giudice capitolino ha richiamato l’ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile (OCDPC) n. 658/2020, recante “Ulteriori interventi di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, con la quale è stato assegnato ai Comuni italiani un contributo per un totale di 400 milioni di Euro per misure urgenti di solidarietà alimentare.
Con la medesima OCPDC n. 658/2020 è stato attribuito all’ufficio dei servizi sociali di ciascun Comune il compito di individuare “la platea dei beneficiari ed il relativo contributo tra i nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza epidemiologica da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno, per soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico” (art. 2, comma 6).
Con Determinazione Dirigenziale n. 913 del 31 marzo 2020, poi modificata e integrata con Determinazione n. 940 del 2 aprile 2020, il Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma ha approvato l’Avviso Pubblico recante “Assegnazione del contributo economico a favore di persone e/o famiglie in condizione di disagio economico e sociale causato dalla situazione emergenziale in atto, provocata dalla diffusione di agenti virali trasmissibili (COVID-19)”, regolando i criteri e le modalità per la concessione dei buoni spesa.
Il Giudice ha, quindi, evidenziato che la residenza nel territorio comunale (ovvero l’impossibilità per i non residenti a raggiungere il proprio luogo di residenza) è un requisito per usufruire del buono spesa e ne ha tratto la conseguenza che i cittadini extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno non possono usufruirne, essendo impossibilitati ad effettuare l’iscrizione anagrafica.
Così ricostruito il quadro delle disposizioni che regolano l’accesso al beneficio del “buono spesa”, il Giudice romano è passato ad un’analitica rassegna della giurisprudenza della Corte Costituzionale sull’estendibilità agli stranieri (anche se irregolarmente soggiornanti) dei diritti fondamentali riconosciuti dall’ordinamento.
Da tale rassegna si ricava che, in tema di diritti fondamentali, non sono ammissibili discriminazioni
E’ stato, infatti, affermato dal Giudice delle Leggi che lo straniero (anche irregolarmente soggiornante) gode di tutti i diritti fondamentali della persona umana; con particolare riguardo al diritto alla salute, esiste un “nucleo irriducibile”, che “quale diritto fondamentale della persona deve essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato”.
La giurisprudenza costituzionale, nell’evidenziare il carattere universalistico dei diritti umani fondamentali, afferma che il nucleo “minimo” di questi diritti non può essere violato e spetta a tutte le persone in quanto tali, a prescindere dalla regolarità del soggiorno sul territorio italiano.
Anche nella disciplina dei diritti sociali, nella quale pure la discrezionalità del legislatore è molto più ampia che nella disciplina dei diritti di libertà – perché sono richiesti l’uso e la allocazione di risorse scarse – il diverso trattamento deve essere giustificato da ragioni serie e non deve, comunque, violare quel nucleo di diritti fondamentali che, appunto, vengono definiti “inviolabili”.
Al riguardo, la Corte Costituzionale osserva che “è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.
Dunque, alla condizione della mera presenza sul territorio dello stato consegue il riconoscimento di un novero di prestazioni strettamente connesse alla tutela della vita umana.
Alle medesime conclusioni conducono anche i principi contenuti nelle fonti sovranazionali.
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo prevede che tutti i diritti previsti nella CEDU devono essere garantiti dagli Stati parte, come stabilito all’art. 1, “ad ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione”.
Si pensi all’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), secondo cui la dignità umana è inviolabile.
L’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948, sancisce che: “Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”.
L’art. 11 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966, ratificati in Italia con legge n. 881/1977, dispone: “1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario, ed un alloggio adeguati … . 2. Gli Stati parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure …”.
Nel caso di specie non si discute dell’accesso a prestazioni assistenziali “ordinarie”, ma dell’accesso ad una misura emergenziale tesa a fronteggiare le difficoltà dei soggetti più vulnerabili a soddisfare i propri bisogni primari a causa della situazione eccezionale determinata dall’emergenza sanitaria in atto.
Si tratta del diritto all’alimentazione che costituisce il presupposto per poter condurre un’esistenza minimamente dignitosa e la base dello stesso diritto alla vita e alla salute. Non vi è dubbio, quindi, che si tratta di quel nucleo insopprimibile di diritti fondamentali che spettano necessariamente a tutte le persone in quanto tali.
La finalità del “buono spesa” è proprio quella di far fronte alla situazione di grave indigenza nella quale si sono trovati i soggetti più vulnerabili a causa della situazione sanitaria in atto.
Il Giudice capitolino conclude, dunque, affermando che non possono essere poste condizioni, quale la residenza anagrafica, che di fatto limitano la platea degli aventi diritto e che, peraltro, non sono previste dalla norma che lo ha previsto.
Se senz’altro è possibile individuare un necessario legame con il territorio del comune tenuto all’erogazione, esso può e deve essere limitato alla abituale dimora dell’avente diritto.
Inoltre, i minori coinvolti nella descritta situazione di disagio economico e sociale corrono un serio e concreto pericolo legato alla sfera del loro diritto alla vita, all’integrità personale, all’alimentazione e al sano e completo sviluppo psicofisico.
Negare il buono spesa al nucleo familiare del ricorrente equivarrebbe, quindi, a negare un diritto fondamentale anche ai tre figli minori in ragione della condizione irregolare dei genitori, attualmente privi del permesso di soggiorno.
Il decreto in rassegna, se da un lato appare di assoluto pregio nella parte in cui offre una panoramica completa dello stato dell’arte della giurisprudenza costituzionale sul tema dei rapporti tra la condizione dello straniero e i diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento, dall’altro, suscita almeno due spunti di riflessione in chiave critica.
Il primo punto, di carattere processuale, attiene alle condizioni che legittimano l’azione cautelare.
Orbene, nel caso di specie, risulta dagli atti che l’istanza per ottenere il beneficio è stata formulata in data 7.4.2020 e che, successivamente, in data 14.4.2020, è stata inviata una comunicazione, nella quale erano specificate la peculiare situazione del ricorrente – ovvero l’assenza di permesso di soggiorno e di residenza anagrafica – e l’assoluta condizione di disagio economico del nucleo famigliare.
L’istanza del 7.4.2020, come pure la successiva comunicazione del 14.4.2020, sono rimaste senza risposta da parte dell’Amministrazione comunale, che, allo stato, non ha ancora assunto in merito alcun provvedimento.
Deve ritenersi che, in base all’art. 2, comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo, l’Amministrazione abbia un termine di 30 giorni entro cui provvedere sull’istanza.
Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento, si formerà il silenzio-rifiuto, che assume il significato di mancato esercizio da parte della P.A. dell’obbligo di provvedere sull’istanza del privato.
Poiché, dunque, nella fattispecie in esame, la P.A. non ha ancora adottato un provvedimento espresso né si ritiene si sia verificato un silenzio significativo (di rigetto), si dovrebbe fortemente dubitare che si sia verificata una minaccia di un “pregiudizio imminente e irreparabile” al diritto ad ottenere il “buono spesa”, tale da giustificare il ricorso alla tutela cautelare.
Ove al quesito si desse risposta affermativa – accedendo, quindi, alla soluzione adottata dal Giudice capitolino – si potrebbe giungere a sostenere, allora, che sarebbero legittimati a ricorrere in sede cautelare tutti coloro i quali hanno presentato istanza al Comune per l’ottenimento del “buono spesa” e che, tuttavia, non hanno ancora avuto risposta dalla P.A.
Si tratta, a ben vedere, di una tesi, quest’ultima, che non appare seriamente proponibile, se solo si considera che, in questi casi, in mancanza di un provvedimento o un comportamento concretamente lesivo da parte della P.A., non sarebbe neppure configurabile un interesse a ricorrere.
La seconda considerazione attiene all’interpretazione delle disposizioni che regolano l’erogazione dei “buoni spesa”.
Orbene, la fonte normativa può essere rinvenuta nell’Ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile n. 658/2020 del 29.3.2020.
Detta ordinanza non indica i requisiti per l’accesso alle provvidenze né tantomeno esclude dal novero dei potenziali beneficiari gli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno.
L’art. 2 dell’Ordinanza contiene, invece, al comma 1, lett. a) un riferimento alla “popolazione residente di ciascun comune” come criterio per la distribuzione delle risorse tra i diversi comuni.
L’art. 2, comma 6 demanda, poi, all’Ufficio dei servizi sociali di ciascun Comune il compito di individuare “la platea dei beneficiari ed il relativo contributo tra i nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza epidemiologica da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno, per soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico”.
D’altro canto, neppure le determinazioni dirigenziali del Comune di Roma escludono dal novero dei potenziali beneficiari delle misure gli stranieri privi di permesso di soggiorno, limitandosi ad individuare tra i soggetti: a) i cittadini residenti nel territorio comunale; b) le persone non residenti, impossibilitate a raggiungere il proprio luogo di residenza.
Il concetto di “residenza” che viene più volte richiamato nei provvedimenti citati, non postula necessariamente la sussistenza di un regolare permesso di soggiorno.
Ed, infatti, in tal senso depone l’art. 3 D.P.R. 30.5.1989, n. 223 (Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente), secondo cui “Per persone residenti nel comune s’intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune”.
Il permesso di soggiorno viene, invece, richiesto dalla normativa di settore ai fini dell’iscrizione dello straniero nei registri anagrafici (art. 7, comma 3 D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223).
Non si condivide, pertanto, la ricostruzione interpretativa offerta dal Giudice romano, secondo cui i cittadini extracomunitari non attualmente in possesso di permesso di soggiorno non potrebbero usufruire del “buono spesa”, essendo impossibilitati ad effettuare l’iscrizione anagrafica.
D’altra parte, è lo stesso Giudice ad affermare, in altra parte della motivazione, che “se senz’altro è possibile individuare un necessario legame con il territorio del comune tenuto all’erogazione, esso può e deve essere limitato alla abituale dimora dell’avente diritto”.
Esito:
Accoglimento
Riferimenti normativi:
OCDPC n. 658/2020 del 29.3.2020, recante “Ulteriori interventi di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”
Determinazione Dirigenziale n. 913 del 31 marzo 2020, poi modificata e integrata con Determinazione Dirigenziale n. 940 del 2 aprile 2020, del Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma
Art. 27 Convenzione sui Diritti del Fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989
Art. 1 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
Art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
Art. 1 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
Art. 25 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948
Art. 11 Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo

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