24/08/2017 – Accoglienza diurna in comunità di minore. Oneri.

Estremi nota parere
     Protocollo 8329
     Data 10/08/2017
Estremi quesito
     Anno 2017
     trimestre III
Ambito SERVIZI SOCIALI
Materia assistenza
Oggetto

Accoglienza diurna in comunità di minore. Oneri.

Massima

Qualora il costo dell’accoglienza diurna in comunità di un minore non possa essere, in tutto o in parte, sopportato dai familiari, l’onere di garantire il completo pagamento delle rette dovrebbe spettare – se l’accoglienza in questione si configura quale servizio assistenziale strutturato con caratteristiche e modalità differenti dal ricovero stabile presso strutture residenziali – al comune di residenza del minore medesimo, in virtù del generale criterio della competenza territoriale.

Funzionario istruttore ROSA MARIA FANTINI

0432/555415

ROSAMARIA.FANTINI@REGIONE.FVG.IT

Parere espresso da SERVIZIO AFFARI ISTITUZIONALI E LOCALI, POLIZIA LOCALE E SICUREZZA

Testo completo del parere

Il Servizio Sociale dei Comuni pone un quesito concernente una minore, che il Tribunale per i minorenni ha affidato, per attività di sostegno e controllo, «all’Ente Locale competente rispetto alla residenza della medesima», disponendone contestualmente il collocamento presso idonea struttura comunitaria, unitamente alla madre, se consenziente. 

Madre e figlia sono ospitate in una comunità residenziale, sita in un comune della regione, incluso nell’area di una diversa Unione Territoriale Intercomunale. 

Il predetto Tribunale ha recentemente confermato l’affidamento della minore al sostegno e al controllo del Servizio Sociale «del Comune competente rispetto alla relativa residenza», prescrivendo che la stessa venga dimessa dalla struttura ospitante entro il 10 settembre prossimo, con conseguente collocamento presso la madre. 

Poiché anche dopo la dimissione madre e figlia rimarranno nel territorio comunale ove sono attualmente ospitate, nel quale hanno già a disposizione un’abitazione, e la minore proseguirà la permanenza nella comunità, ma esclusivamente nella fascia diurna, il Servizio Sociale dei Comuni chiede di conoscere a chi spetti il pagamento di tale accoglienza. 

Sentita la Posizione Organizzativa presidio delle politiche sociali e sociosanitarie riferite ai minori e alle problematiche dell’età evolutiva, dell’osservatorio e dei sistemi informativi delle politiche sociali, istituita presso la Direzione centrale salute, integrazione sociosanitaria, politiche sociali e famiglia, si esprimono le seguenti considerazioni. 

Occorre, anzitutto, evidenziare che, secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione, l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli[1], sancito dall’art. 30, primo comma[2], della Costituzione e confermato dall’art. 147[3] (attualmente, il riferimento fondamentale nella materia è costituito dall’art. 315-bis[4]) del codice civile, spetta ‘primariamente ed integralmente’ ai loro genitori e non viene meno nelle ipotesi in cui l’esercizio della potestà (d’ora in poi ‘responsabilità'[5]) genitoriale sia sospeso o precluso, né cessa automaticamente quando i figli raggiungono la maggiore età. 

Tale orientamento viene ribadito nel 2010, allorché la Cassazione (con due sentenze[6] diverse per fattispecie[7] ma identiche per analisi[8]) affronta la questione volta a stabilire se l’obbligo di corrispondere la retta alla struttura di accoglienza dove – per disposizione del Tribunale per i minorenni – vengono collocati dei minori, debba gravare sulla pubblica amministrazione oppure sui genitori, pur essendo intervenuta la sospensione della responsabilità genitoriale. 

La Cassazione, dopo aver premesso che dal fatto della procreazione sorge ‘in modo necessario’ un complesso di diritti e di doveri reciproci, fra genitore e figlio, fra cui il dovere dei genitori di mantenere i figli, rileva che l’obbligo di mantenimento dei figli prescinde dalla responsabilità dei genitori e sopravvive ad essa in varie ipotesi, come quella del figlio che abbia raggiunto la maggiore età, ovvero le fattispecie di impedimento o di decadenza del genitore dall’esercizio della predetta responsabilità.[9] 

Secondo la Cassazione, tale principio trova conferma nell’art. 5, comma 1, primo periodo[10], della legge 4 maggio 1983, n. 184, il quale prevede una deroga all’obbligo del mantenimento da parte dei genitori nel solo caso di affidamento familiare, ponendolo a carico dell’affidatario.[11] 

Occorre poi richiamare – per completezza di argomentazione – l’art. 316-bis[12] del codice civile il quale, dopo aver sancito che i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, dispone che «Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.» (primo comma). 

La norma prevede, quindi, che «In caso di inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole.» (secondo comma) e chiarisce che tale decreto «costituisce titolo esecutivo» (terzo comma). 

Premesso quanto sopra, va rilevato che, qualora il costo dell’accoglienza diurna della minore non possa essere, in tutto o in parte, sopportato dai familiari, l’onere di garantire il completo pagamento delle rette dovrebbe spettare al comune di residenza della minore, in virtù del criterio della competenza territoriale sancito dall’art. 13, comma 1[13], del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ribadito dall’art. 16, comma 1[14], della legge regionale 9 gennaio 2006, n. 1 ed affermato, altresì, dall’art. 6, comma 1[15], della legge 8 novembre 2000, n. 328. 

Infatti, se l’accoglienza diurna in comunità si configura quale servizio assistenziale strutturato con caratteristiche e modalità differenti dal ricovero stabile presso strutture residenziali, cui fanno riferimento l’art. 6, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328 e l’art. 4, comma 5, della legge regionale 31 marzo 2006, n. 6, non si ritiene applicabile la previsione ivi contenuta, derogatoria[16] della predetta regola generale, che individua il soggetto competente a provvedere all’eventuale integrazione economica nel comune di residenza precedente al ricovero. 

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[1] Trattasi di dovere a contenuto patrimoniale, cosicché le prestazioni che ne sono oggetto sono fungibili e coercibili con i normali strumenti esecutivi. 

[2] «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio». 

[3] L’articolo, che nel testo sostituito dall’art. 29 della legge 19 maggio 1975, n. 151, prevedeva che «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.», è stato ulteriormente sostituito dall’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 e dispone, ora, che «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis». 

[4] La norma dispone – per quanto rileva in questa sede – che «Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.» (primo comma). 

[5] Giacché l’art. 105, comma 1, del già citato D.Lgs. 154/2013 ha disposto che la parola «potestà», riferita alla potestà genitoriale, e le parole «potestà genitoriale», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalle parole «responsabilità genitoriale». 

[6] Sezione I, 8 novembre 2010, n. 22678 e 11 novembre 2010, n. 22909. 

Per un commento della prima pronuncia v. A. Vecchi «Conferma netta da Piazza Cavour: l’obbligo di mantenimento dei figli prescinde dalla potestà genitoriale», in Diritto e Giustizia online, 2010, pag. 476. 

[7] La sentenza n. 22678/2010 riguarda una minore particolarmente aggressiva nei confronti dei genitori, mentre la sentenza n. 22909/2010 concerne minori in stato di abbandono. 

[8] Fermo restando che l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli trova il principale fondamento nella norma costituzionale e nelle disposizioni civilistiche già citate, il Giudice ha ritenuto che – in entrambe le ipotesi – ponendo la retta a carico del comune, il Tribunale per i minorenni abbia solo inteso disporne l’anticipazione, ai sensi degli artt. 25 («Misure applicabili ai minori irregolari per condotta o per carattere») e 26 («Misure applicabili ai minori sottoposti a procedimento penale ed ai minori il cui genitore serba condotta pregiudizievole») del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835. Il Giudice minorile, perciò, non avrebbe comunque potuto (né voluto) modificare i profili patrimoniali del rapporto di filiazione. 

Secondo la Cassazione, l’esito rimarrebbe invariato anche considerando i compiti socio-assistenziali gravanti sui comuni, a seguito del trasferimento di funzioni operato con decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (normativa estesa alla Regione Friuli Venezia Giulia con decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1987, n. 469), nell’ambito dei quali sono compresi ‘gli interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell’ambito della competenza amministrativa e civile’, posto che tale normativa non comporta che la materia ‘beneficenza pubblica’ sia gratuita ma, anzi, espressamente prevede la distinzione tra ‘erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento’ (v. art. 22). 

Nello stesso senso v. anche Corte dei conti – Sezione regionale di controllo per il Molise, deliberazione n. 2/2016/PAR dell’11 gennaio 2016. 

[9] Infatti – puntualizza la Cassazione – poiché la responsabilità genitoriale consiste nell’attribuzione ai genitori non già di un diritto soggettivo, bensì di un munus di diritto privato, comportante un potere-dovere di curare determinati interessi pubblici e privati del minore, qualora tale ufficio non venga di fatto esercitato, ovvero venga sospeso o addirittura revocato ai sensi degli artt. 330 e 333 del codice civile, l’ordinamento reagisce per porre rimedio all’anomalia, apprestando le opportune misure di tutela sussidiaria del minore. 

[10] «L’affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione.». 

[11] La Cassazione ritiene significativo che la stessa L. 184/1983 preveda interventi di sostegno e di aiuto solo a favore delle famiglie indigenti (art. 1, comma 2) e disponga che il Tribunale per i minorenni, prima di decidere sulla domanda di adozione, debba eseguire le opportune indagini per accertare, tra l’altro, la situazione economica dei richiedenti (art. 22, comma 4). 

[12] Aggiunto dall’art. 40, comma 1, del D.Lgs. 154/2013. 

[13] «Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona […], salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.». 

[14] «Il Comune è titolare di tutte le funzioni amministrative che riguardano i servizi alla persona […], salvo quelle attribuite espressamente dalla legge ad altri soggetti istituzionali.». 

[15] «I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale. Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini […]». 

[16] E, perciò, di stretta interpretazione e inapplicabile per analogia. 

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