24/05/2017 – L’Anac rilancia gli obblighi di pubblicazione degli stipendi dei dirigenti

L’Anac rilancia gli obblighi di pubblicazione degli stipendi dei dirigenti

di Aldo Monea

 

L’Anac interviene, nuovamente, sull’articolo 14 del Dlgs n. 33 del 2013 (comma 1-ter) per promuovere la «trasparenza» in materia, ponendo alcuni chiarimenti riferiti alla pubblicazione degli emolumenti complessivi a carico della finanza pubblica percepiti dai dirigenti (comunicato del Presidente Anac del 17 maggio 2017, pubblicato sul sito il 19 maggio). 

È bene ricordare, prima, cosa dice quel comma. Esso prevede due distinti obblighi di cui il primo funzionale al secondo. In particolare, la prima parte della disposizione impone a ciascun dirigente di comunicare, all’Amministrazione presso la quale presta servizio, gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica. Lo stesso comma fa riferimento all’articolo 13, comma 1, del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, (convertito nella legge 23 giugno 2014, n. 89), disposizione che prevedeva limiti massimi retributivi riferito al primo Presidente della Corte di cassazione.

La seconda parte del comma 1-ter, invece, è rivolta all’Amministrazione pubblica presso cui il dirigente lavora, affinché essa provveda a pubblicare l’ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente. 

Su questa disposizione, l’Anac ha, ora, fissato un ulteriore «paletto» d’interpretazione. 

Infatti, nella seduta del 17 maggio 2017, il Consiglio dell’Autorità ha ribadito che l’obbligo di pubblicazione degli emolumenti complessivi a carico della finanza pubblica percepiti dai dirigenti, disposto dall’articolo 14, comma 1-ter, debba ritenersi non sospeso e, dunque, da rispettare.

Le precedenti interpretazioni 

La recente comunicazione Anac s’inserisce in un’intricata querelle giuridica che sta interessando Autorità giurisdizionale, Garante Privacy e, appunto, Anac. La tematica ha avuto origine dagli obblighi di trasparenza di cui al comma 1 dell’articolo 14 del Dlgs n. 33 del 2013, riguardanti i dati patrimoniali e reddituali dei dirigenti.  

Tali obblighi però, sono stati contestati da taluni dirigenti (nello specifico, da alcuni dirigenti operanti presso il Garante Privacy), che si sono rivolti al Giudice amministrativo (Tar del Lazio) per contestarne la costituzionalità e la compatibilità rispetto al diritto comunitario.

I Giudici amministrativi, prima in forma cautelare (Tar Lazio, sez. I-quater, ordinanza n. 1030 del 2 marzo 2017), e dopo in forma definitiva (il 2 aprile 2017), hanno bloccato la pubblicazione di quei dati.

Proprio in riferimento a tale interpretazione giurisdizionale, l’Anac, nel comunicato qui in esame, sottolinea come l’ordinanza non richiami il comma 1–ter dell’articolo 14 che, peraltro, non era stato oggetto di censura davanti al Tar. 

Le Linee guida di Anac 

In quella situazione di incertezza l’Anac era intervenuta con la propria determinazione dell’8 marzo 2017, n. 241, per ribadire la vigenza dell’obbligo di pubblicazione predetto. Tuttavia, anche tale interpretazione di Anac veniva contestata da taluni dirigenti (con ricorso del 7 aprile scorso), anche in relazione alle specifiche interpretazioni che ne avevano dato, con propri documenti, la Presidenza del Consiglio di Ministri, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, il Ministero della Salute e il Ministero della Giustizia, relative alla richiesta di adempimento degli obblighi in parola. 

Il Consiglio dell’Anac, successivamente, con la delibera del 12 aprile 2017, n. 382, anche tenendo presenti i profili di responsabilità che la diffusione di dati, eventualmente illegittima, potesse produrre, è nuovamente intervenuta sulla questione dell’applicazione dell’articolo 14 del Dlgs n. 33 del 2013, sospendendo l’efficacia della delibera n. 241/2017, limitatamente alle indicazioni relative all’applicazione dell’articolo 14. Precisava tuttavia, come tale interpretazione riguardasse, specificatamente, il solo comma 1, lett. c) ed f) del Dlgs n. 33/2013. 

La decisione citata ha prodotto la sospensione delle Linee guida sugli obblighi di pubblicazione dei dirigenti pubblici (relativamente a compensi, spese per viaggi di servizio, situazione patrimoniale e reddituale) in modo esteso a tutte le Pubbliche amministrazioni.

In sostanza, la Comunicazione recente riafferma l’obbligo «parziale» di pubblicità.

Il comunicato Anac 

Ora, con il comunicato pubblicato sul sito il 19 maggio, l’Anac ha cercato di riaffermare almeno una parte dell’obbligo di pubblicazione. In particolare, l’Autorità ha voluto riaffermare che la questione sui dubbi di pubblicabilità non riguarda l’intero articolo 14, ma solo il comma 1 e, unicamente, quanto disposto nelle lett. c) ed f).

Di conseguenza, non sussistono profili di cautela giuridica in ordine a quanto previsto dal comma 1, ter, per cui la doverosità della pubblicità degli emolumenti complessivi a carico della finanza pubblica percepiti dai dirigenti continua, secondo Anac, a sussistere.

Una problematica giuridica risolta solo provvisoriamente? 

Vi è da dire, a commento della vicenda, che la tematica giuridica qui in esame risulta, francamente, piuttosto capziosa sul piano giuridico, non essendo chiaro, rispetto a gran parte degli oggetti di pubblicità riguardanti i dirigenti, quali siano le ragioni che facciano prevalere una privacy assoluta rispetto ai loro dati che sono, essenzialmente, di tipo ordinario e strettamente collegati alla funzione pubblica che essi svolgono. 

È anche evidente che, nella gestione della faccenda e nel procedere dei vari titolari di trattamento di trattamento, stia prevalendo, (a forte somiglianza della cosiddetta «Medicina difensiva») un eccesso di logica di «Amministrazione difensiva», pur comprensibile dati taluni dettami del decreto legislativo sulla Privacy (Dlgs n. 196 del 2003).

Non è, inoltre, chiaro, allo stato attuale e dato il tenore estremamente univoco delle norme contestate, in cosa possa consistere un ulteriore intervento normativo del Legislatore, evocato e talora auspicato. Un ragionamento diverso potrebbe attenere in ordine ad un eventuale intervento della Corte costituzionale o, ancor più, della Corte di giustizia europea, soggetti che effettivamente possono mettere fine alla querelle in corso.

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