24/01/2022 – Il Dpcm e le fonti di rischio per gli ingressi negli uffici pubblici

Il Dpcm che attua le previsioni dettate dal d.l. 1/2022 sulla necessità di esibire il green pass per accedere ad una quantità molto elevata di attività “che si svolgono al chiuso” porta con sé una serie di rischi molto rilevanti. Che non sembra siano stati sufficientemente valutati dai decisori.

Sostanzialmente, non è stato individuato nessun ufficio pubblico al quale si possa accedere senza il green pass almeno di base.

 

E’ chiaro l’intento: indurre quante più persone possibile, tra quelle che ancora non si sono vaccinate a farsi iniettare il vaccino, per ridurre ulteriormente rischi e pressione sul sistema sanitario.

Tuttavia, l’impianto normativo, al di là dell’ampio problema della commisurazione tra obblighi connessi al possesso del green pass (e vaccinali) ed esercizio di alcuni bisogni primari, pare finisca per rivelarsi eccessivamente vessatorio, e scarsamente ragionevole e proporzionato sul piano del diritto

Nella versione del Dpcm fin qui circolata (e a meno di Faq che, non si sa con quale legittimazione, modifichino testo e significato del Dpcm stesso), per fare un esempio, non c’è alcuna esenzione all’obbligo di esibire il green pass per coloro che per riscuotere la pensione, essendo privi di un conto corrente domiciliato, si rechino agli uffici postali. Considerato che il Dpcm in questione serve proprio a individuare quali servizi siano “essenziali”, al punto da poter essere accessibili senza green pass, sembra singolare che il Presidente del Consiglio non reputi tale la riscossione della pensione da parte di persone non più idonee a lavorare. In altri termini, secondo il nuovo Dpcm non sarebbe essenziale la possibilità di entrare in possesso forse dell’unico mezzo di sostentamento di cui si dispone. L’impossibilità di riscuotere la pensione da parte di chi non sia almeno titolare di una certificazione verde da tampone negativo rischia, peraltro, di contrastare con il principio di eguaglianza. Basti pensare a due pensionati parimenti sprovvisti di green pass, ma uno dei quali si faccia accreditare la pensione su un conto corrente, mentre l’altro la vada a prendere allo sportello: con il nuovo Dpcm, l’uno non avrà alcun problema, mentre l’altro vedrà preclusa la possibilità di acquisire la somma cui ha diritto.

 

Ora, è ben vero che il problema in linea teorica è risolvibile appunto aprendo un conto col quale domiciliare, ma il decisore, evidentemente, non tiene in considerazione la circostanza che una minoranza, piccola, ma pur sempre sussistente, di persone non ha materialmente le competenze e cognizioni sufficienti per compiere questa azione, l’apertura di un conto con domiciliazione, che alla gran parte appaiono facili e semplici.

Per altro, per aprire un contro, anche alle stesse Poste, bisogna accedere agli uffici postali; ma, senza il green pass, dall’1.2.2022, non si può accedere; e nemmeno si potrà accedere in sportelli bancari. Il corto circuito normativo appare palese. Nella burocrazia regolatoria che sta connotando soprattutto questa fase della gestione pandemica il legislatore pare talora avvilupparsi nelle spire delle sue stesse disposizioni, con le quali pretende di mettere all’angolo i destinatari delle stesse.

Dunque, per queste persone l’unico modo sarebbe aprire un conto on line: esattamente quel tipo di operazione che, vuoi per l’età, vuoi per la storia personale, vuoi per carenza di competenze, questa minoranza non è in grado di realizzare.

In cosa consistono i rischi ai quali si è accennato sopra? Dovrebbero risultare evidenti: sono connessi all’eventualità, per nulla remota, che qualcuno non vaccinato e privo di green pass, pur di ritirare la pensione o di ottenere il servizio postale di cui ha bisogno, forzi la mano.

 

Gli uffici postali non sono dotati, in buona parte, di sistemi adeguati di controllo degli ingressi, come invece le banche: si entra dalla strada, bene che vada vi può essere una doppia entrata tipo “bussola”. Non ci sono corpi di guardia che si frappongono tra l’entrata dalla strada e il materiale ingresso negli uffici postali.

Questo vuol dire che il controllo sul possesso del green pass potrà essere effettuato bene che vada sulla soglia dell’ingresso o addirittura quando la persona sia già entrata. A quel punto, far uscire chi sia privo del green pass è azione la cui difficoltà è direttamente proporzionale al grado di bellicosità della persona e ai gesti dimostrativi, e non solo, di cui essa può rendersi capace, magari sull’onda dell’esasperazione.

Per evitare i rischi connessi, occorrerebbe, dunque, effettuare i controlli sulla strada, prima che qualcuno acceda. O immaginare immaginifici sistemi di controllo dall’esterno, che consentano l’apertura delle porte solo mostrando il QR code del green pass valido: ma, quando simili strumenti potrebbero essere installati in tutti gli uffici con accesso dalla strada e privi di un filtro?

Pensare di dedicare personale da appunto mettere in strada per controllare prima dell’ingresso ha costi e non esime da rischi. Il costo è organizzativo: perdere un’unità lavorativa, che invece di compiere le operazioni, controlla. Il rischio è che il gesto incontrollato dell’esasperato sia compiuto contro la persona preposta alle verifiche, anche per strada, in assenza di forze dell’ordine, pubbliche o private, preposte ad un capillare controllo dissuasivo.

 

Ma, questo problema non riguarda solo le migliaia di uffici postali: interessati sono l’ancor maggiore numero di uffici pubblici che hanno ingressi dalla strada.

Si dirà: fin qui il green pass è stato già chiesto senza problemi, per esempio, per accedere al bar, ai ristoranti, ai cinema, ai musei.

Vero, ma l’esempio non calza. Si va negli ambienti chiusi esemplificati qui sopra per libera scelta, essendo per altro disponibili a pagare. Al cinema e nei musei si va con una predisposizione d’animo ben diversa rispetto a quella caratterizzante l’ingresso in un luogo, destinato ad erogare servizi pubblici, dovuto a necessità, come appunto il ritiro del sostegno per vivere, cioè la pensione.

L’insieme delle norme emanate in questi ultimi giorni crea anche effetti particolarmente perversi e, purtroppo, realmente vessatori nei confronti di figure particolarmente deboli.

Combinando, infatti, d.l. 1/2022, Dpcm attuativo e legge di bilancio per il 2022 (la legge 324/2021), si nota che quest’ultima ha introdotto nei confronti dei percettori del reddito di cittadinanza l’obbligo di verificare presso i centri per l’impiego almeno una volta al mese “in presenza” le azioni di ricerca attiva di lavoro, pena la decadenza dal sussidio.

Imporre ad un disoccupato, persona verosimilmente priva di un reddito sufficiente, di spendere risorse per il tampone a pagamento per entrare in un ufficio che dovrebbe aiutarlo a cercare lavoro, appare davvero sproporzionato. Concretamente, in altri termini, l’obbligo di accedere in presenza presso gli uffici del lavoro, e quindi di dover sostenere il costo di un tampone per entrare in un luogo ove non ci si può esimere di andare, per ragioni di necessità, rischia appunto di divenire vessatoria per chi non sia vaccinato né abbia le risorse per assolvere all’obbligo imposto.

Ciò può spingere questi percettori ai medesimi gesti imponderabili cui si è alluso prima, a proposito degli uffici postali, considerando che anche i centri per l’impiego rientrano in quell’amplissimo novero di uffici pubblici con ingresso dalla strada e senza filtri e corpi di guardia. Un percettore del reddito non vaccinato e non disposto al tampone potrebbe fare qualsiasi azione, pur di entrare nel centro per l’impiego ed ottenere il servizio di verifica, che scongiura la decadenza dal beneficio.

 

Ma, pensiamo ad altre categorie deboli: ad esempio, gli utenti dei servizi sociali, curati dai comuni e dalle aziende sanitarie. Si tratta di persone che spesso hanno necessità di accedere agli uffici per ottenere i servizi che richiedono. E molti di loro non hanno le competenze digitali minime per poter ottenere da remoto i servizi medesimi. Come reagirebbero, di fronte al diniego ad entrare in un ufficio al quale si rivolgono per necessità connesse alla loro condizione di fragilità?

Altri esempi potrebbero essere enunciati, ma inutile dilungarsi: sarebbe spettato al decisore conoscere il dettaglio operativo dei servizi di varia ed estesissima natura erogati ai cittadini e valutare fattibilità e impatti dell’obbligo imposto.

Si poteva e doveva fare di meglio. Aleggiano alcune domande: perché fino al 31 gennaio 2022 è possibile entrare da utenti negli uffici pubblici senza green pass, mentre dal primo febbraio non più? Qual è la motivazione sanitaria per cui fino al giorno prima si reputa non si corrano rischi di contagio nel frequentare certi uffici, mentre dal giorno successivo gli stessi diventano off limits per chi non assolva a determinate precauzioni? La pandemia resta la stessa, allo scoccare della mezzanotte. Eppure, il decreto-legge, entrato in vigore tre settimane prima nonostante la necessità e urgenza, in piena pandemia, inizia a dispiegare i propri effetti tre settimane dopo, il 1° febbraio, come se da quella data le ragioni della pandemia iniziassero a essere prevalenti. Perché questa decisione, proprio mentre la percentuale di vaccinati continua ad aumentare? Perché questa decisione adesso che la popolazione vaccinata è al 90% e più, mentre un anno fa, quando la percentuale era di zero vaccinati e l’occupazione degli ospedali e delle terapie intensive il doppio di quella attuale, si poteva entrare in tutti gli uffici pubblici senza alcun green pass?

La sanzione per gli over 50 che non si vaccinano è stata fissata in 100 euro. L’interdizione dall’ingresso negli uffici pubblici (per altro, con la beffa che i gravi ritardi nell’informatizzazione, per esempio negli enti locali, evidenziata dal rapporto della Banca d’Italia, ne impediscono un’efficiente erogazione da remoto), che di fatto è la sanzione per il mancato possesso del green bass base, si intreccia in modo perverso con la sanzione per la mancata vaccinazione, arrivando a configurarsi come pena accessoria per l’inadempimento dell’obbligo vaccinale. Giuridicamente è un’aberrazione. Un obbligo di vaccino, per qualunque fascia di età sia imposto, non può comportare la negazione di diritti fondamentali o di servizi essenziali. Anche i bambini che non sono vaccinati possono accedere alle scuole dell’obbligo, previo pagamento di una sanzione amministrativa da parte dei genitori (o di chi ne fa le veci). Questa modalità è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale (sent. n. 5/2018). Perché il legislatore abbia reputato di discostarsi dalla strada legittimamente tracciata in precedenza non è dato sapere. Ciò che si sa, invece, è che con l’ultimo Dpcm si sono ampliate le crepe nello stato di diritto. E i celeberrimi o famigerati codici Ateco utilizzati dal precedente Governo per disciplinare le aperture delle attività produttive appaiono quasi razionali.

 

Ringrazio del supporto Vitalba Azzollini

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