24/01/2017 – Decaduta la riforma della dirigenza: dopo il tonfo, il tentativo di resurrezione

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“Dopo la debâcle in cui è incorso il legislatore riformatore quel che colpisce è l’ostinazione del nuovo [sic!] governo a voler riproporre il tema della riforma della dirigenza pubblica, considerato vero e proprio problema baricentrico sul quale parrebbe o dovrebbe poggiare la salvezza del sistema paese, come se quest’ultimo non avesse problemi ben piú gravi da affrontare e risolvere. Ecco dunque che il nuovo governo, nato dalle ceneri del tonfo referendario, ha riproposto il problema nella sua sostanza, cercando lumi come Diogene. Rivolgendosi a chi, se non al Consiglio di Stato, ossia a quel soggetto che sullo schema di decreto legislativo delegato elaborato dal precedente governo aveva compiuto una vera e propria operazione di ortopedia giuridica?

Quale sia lo scopo di interrogare di nuovo il detentore di un piú ampio sapere giuridico è presto detto: risvegliare l’attenzione sulla cosa in questione e riscaldare i motori, forse per intraprendere da súbito nuovi percorsi di riforma. Il tutto per sentirsi dire l’ovvio, il che smaschera il reale intento del governo riformatore. Il quale cerca di reimpastare gli ingredienti sul tavolo da lavoro per giungere per altra via all’auspicato e tanto agognato risultato: creare un piú forte legame fra la dirigenza pubblica e gli apparati di governo variamente distribuiti sul territorio nazionale. Il tutto per accreditare la bontà di un modello fondato sul vincolo fiduciario fra politica e dirigenza, nel quale la seconda dipende dalla prima, che la nomina e ne determina le sorti, mentre la seconda è interamente responsabile di quel che fa senza la possibilità di coinvolgimento della prima, che si limita all’esercizio di attività di indirizzo di cui non è, né può essere ritenuta responsabile. Il che richiama il noto detto – del quale omettiamo la citazione per pudore – per il quale ottenere scopi tramite l’azione altrui è utile e non comporta dolore.”

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