23/10/2019 – “errore” nella determinazione dell’importo di sanzione, irrogata con un’ordinanza-ingiunzione

“errore” nella determinazione dell’importo di sanzione, irrogata con un’ordinanza-ingiunzione
Si prospetta la seguente fattispecie:
a. E’ stata emessa un’ordinanza-ingiunzione ai sensi dell’art. 18L. 24 novembre 1981, n. 689.
b. Successivamente all’emanazione e notificazione della predetta ordinanza, ci si è accorti di essere incorsi in una erronea determinazione dell’importo della sanzione amministrativa pecuniaria, irrogata con l’ordinanza medesima.
c. Giova evidenziare che l’accertamento dell'”errore” si è avuto: – dopo la notificazione; – quando il credito non si è ancora prescritto; – dopo l’avvenuto pagamento da parte del destinatario dell’ordinanza.
A questo punto, si chiede di sapere se, a fronte dell’accertamento dell’errore, occorre procedere ad una revoca, oppure all’adozione di un’ordinanza integrativa, oppure conservare l’importo determinato sulla base di tale disposizione di legge, se non altro nelle ordinanze già notificate, senza incorrere in conseguenze particolari.
a cura di Massimiliano Alesio
Orbene, dal tenore letterale del quesito, sembra di essere in presenza di un “errore” nella determinazione dell’importo di sanzione, irrogata con un’ordinanza-ingiunzione. Invero, non è dato sapere:
a) Se l’importo erroneamente indicato in ordinanza sia inferiore o superiore rispetto a quello “preciso e dovuto”;
b) Se si tratta di un errore intervenuto nella fase di formazione della volontà o di un errore intervenuto nella fase di esternazione della volontà medesima.
Per quanto concerne l’elemento sub “b”, in caso di errore intervenuto nella fase di formazione della volontà, siamo in presenza di un errore-vizio della volontà, consistente in una falsa rappresentazione della realtà medesima. Nel secondo caso (errore intervenuto nella fase di esternazione della volontà medesima), siamo, invece, in presenza di un errore ostativo, ove non vi è stata alcuna falsa rappresentazione della realtà, ma un semplice errore di esternazione della volontà, cioè una discordanza fra la volontà correttamente formatasi e la volontà manifestata, dichiarata. Nell’errore ostativo, l’agente dichiara ciò che, invero, non voleva. Il codice civile, in base al combinato disposto degli artt. 1428 e 1433, equipara gli effetti (annullabilità) dell’errore ostativo a quello dell’errore-vizio, quando è essenziale e riconoscibile dall’altra parte.
Pertanto, non è dato sapere se l’erronea determinazione della sanzione dipende da un errore vizio della volontà o da un errore ostativo. Gli effetti, in ambito amministrativo, sono differenti e rilevanti.
Se si fosse in presenza di un errore ostativo (si voleva scrivere e comunicare un dato importo della sanzione (quello preciso), ma si è comunicato quello errato, il rimedio è costituito dalla rettifica, istituto rientrante nell’ambito degli atti di “convalescenza”. Si tratta di un provvedimento diretto all’eliminazione degli errori ostativi o materiali, che eventualmente inficiano un provvedimento originario, introducendo quelle correzioni, aggiunte e sostituzioni, idonee a rendere l’atto pienamente conforme alla volontà della Pubblica amministrazione. Precisamente: “La rettifica costituisce estrinsecazione del principio di conservazione del provvedimento amministrativo ed è un provvedimento con il quale viene eliminato l’errore materiale in cui è incorsa l’Autorità nella determinazione del contenuto di un pregresso provvedimento. La rettifica, concernendo un errore materiale, non richiede una motivazione rigorosa come l’annullamento e non può ritenersi sottoposta alle condizioni prescritte dall’articolo 21-nonies, della legge n. 241/1990” (T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., (ud. 20 giugno 2013) 17 luglio 2013, n. 644). La rettifica, che non conosce una sua precisa consacrazione in sede legislativa, è stata oggetto di attenta analisi, da parte della giurisprudenza, che è pervenuta a delineare la seguente disciplina:
a) La rettifica non riguarda atti affetti da vizi di merito o di legittimità e non presuppone alcuna valutazione, più o meno discrezionale, in ordine alla modifica del precedente operato posto in essere dalla Pubblica amministrazione;
b) La rettifica non coinvolge la valutazione dell’interesse pubblico sotteso all’emanazione del provvedimento di primo grado;
c) La rettifica non comporta alcuna valutazione tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato;
d) La rettifica non richiede una motivazione rigorosa, ma solo la precisa indicazione dell’errore materiale da correggere;
e) La rettifica si distingue dalla regolarizzazione e dalla correzione, le quali, normalmente, comportano l’integrazione dell’atto;
f) La rettifica non è sottoposta alla disciplina, prevista dall’art. 21-nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241, in tema di annullamento d’ufficio.
Viceversa, laddove si fosse in presenza di un errore-vizio della volontà, i rimedi teorici sono due.
In primo luogo, un annullamento parziale dell’ordinanza-ingiunzione, limitato al solo importo della sanzione. Come noto, l’annullamento d’ufficio costituisce un istituto disciplinato dall’art. 21-nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241, che dispone quanto segue: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”. Dunque, un provvedimento illegittimo, in presenza dei richiamati presupposti, può essere annullato con efficacia ex tunc, cioè retroattiva, nel senso che viene eliminato dal momento della sua adozione. In altri termini, il vizio, che ha condotto all’annullamento, viene eliminato incidendo sul momento genetico dell’atto medesimo e dei conseguenti rapporti. Ovviamente, nella nostra fattispecie, si tratterebbe, come già detto, di un annullamento parziale. Siffatto rimedio (annullamento parziale) presenta un chiaro vantaggio, in quanto consente, retroattivamente, di modificare l’errato importo, sostituendolo con quello esatto. Invero, proprio per questa ragione, potrebbe essere contestato dal destinatario, che censurerebbe il fatto che l’annullamento dipende da un errore della Pubblica amministrazione. Ovviamente, tale censura avrebbe senso se l’importo modificato con l’annullamento parziale è superiore a quello originario.
Altro rimedio è quello della revoca parziale dell’ordinanza ingiunzione. Come noto, l’esercizio del potere di revoca, a differenza di quello di annullamento d’ufficio, prescinde da una valutazione di legittimità-illegittimità dell’atto riguardando piuttosto il diverso profilo della sua perdurante opportunità. Più precisamente, a tenore dell’art. 21-quinqiues, L. 7 agosto 1990, n. 241, la revoca può essere disposta alternativamente: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici; c) in caso di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Il potere di revoca presuppone il libero apprezzamento dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto, pur nel dovuto rispetto, da un lato, dell’equilibrio tra le esigenze di flessibilità e dinamicità del potere e, dall’altro, delle esigenze di tutela del privato che abbia legittimamente riposto il proprio affidamento nel suo originario esercizio. Proprio per tali caratteristiche, il rimedio della revoca parziale non appare perfettamente adeguato alla concreta fattispecie, sia per il fatto che viene adottato in base a valutazione di opportunità (mentre, in fattispecie, siamo in presenza di un errore e non di un “ripensamento di opportunità” della Pubblica amministrazione), sia per la sua efficacia non retroattiva.
Conclusivamente, si consiglia di approfondire ed esplorare, sussistendone i presupposti, la soluzione della rettifica. Viceversa, un atteggiamento inerziale (“conservare l’importo determinato”) potrebbe dar luogo ad un’ipotesi di danno erariale, laddove l’importo preciso fosse superiore a quello errato.

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