23/07/2019 – I titoli edilizi pari non sono – Presupposti diversi per permesso di costruire e agibilità

I titoli edilizi pari non sono – Presupposti diversi per permesso di costruire e agibilità

di DARIO FERRARA – Italia Oggi Sette – 22 Luglio 2019
Paradossale ma possibile. L’ immobile risulta abitabile ma realizzato in modo difforme dal progetto approvato e dunque resta sanzionabile sul piano edilizio e urbanistico: un conto, infatti, è il permesso di costruire e un altro il certificato di agibilità, che sono legati a presupposti diversi e non sovrapponibili. Irrilevanti, poi, l’ accatastamento dei locali e l’ affidamento del privato: il primo costituisce solo un adempimento di tipo fiscale, l’ altro non può essere tutelato nonostante l’ inerzia dell’ amministrazione nel reprimere l’ abuso edilizio. È quanto emerge dalla sentenza 348/19, pubblicata dalla terza sezione del Tar Toscana. Il caso. Niente da fare per la proprietaria dell’ immobile, che agisce attraverso l’ amministratore di sostegno: resta inefficace la segnalazione certificata di inizio attività presentata al comune per i lavori di ristrutturazione necessari a modificare la destinazione d’ uso da magazzino a civile abitazione.
Il fatto è che la licenza edilizia risale al 1957 mentre il locale al pian terreno risulta accatastato come unità residenziale e in quanto tale commercializzato. E non convince la tesi, minoritaria, secondo cui la destinazione indicata dal certificato di abitabilità avrebbe effetto anche sulla legittimazione edilizia e urbanistica. La certificazione di cui agli articoli 24 e 25 del dpr 380/01 avviene mediante la segnalazione di inizio attività, asseverata e documentata dai professionisti competenti, secondo cui l’ immobile è in regola con le norme di sicurezza, salubrità, igiene e risparmio energetico. Ma se il fabbricato non rispetta il titolo edilizio resta abusivo, pur se abitabile.
L’ accatastamento, poi, fa stato ad altri fini mentre costituisce un semplice indizio sulla reale consistenza dell’ immobile. E il semplice decorso del tempo non impone all’ amministrazione di motivare la sanzione ripristinatoria da adottare rispetto all’ abuso. Neppure può scattare il permesso di costruire in sanatoria benché l’ immobile abbia ottenuto il certificato di agibilità: quest’ ultimo, infatti, non attesta la conformità edilizia dei locali. E ciò sempre perché si tratta di titoli che hanno ambiti di operatività differenti. Il «colpo di spugna» sull’ opera realizzata senza autorizzazione, infatti, può avvenire soltanto se il manufatto risulta conforme alla disciplina urbanistica vigente sia all’ atto della costruzione sia al momento della richiesta. È quanto emerge da un’ altra sentenza, la 1482/19, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Lombardia. In tal caso, niente da fare per il proprietario del negozio: l’ edificio risale agli anni Sessanta del secolo scorso e risulta dichiarato agibile e abitabile dal comune.
Peccato che dopo la fine dei lavori venga fuori un soppalco non autorizzato: oggi la regolarizzazione viene negata perché l’ opera realizza una superficie lorda di pavimento abusiva. D’ altronde il diniego della sanatoria, così come l’ ordine di demolizione, non necessita di una motivazione particolare: è l’ interesse pubblico a imporre lo stop a manufatti contro legge. L’ agibilità riconosciuta dall’ ente locale è irrilevante perché il certificato attesta la conformità alle norme in tema di sicurezza, salubrità, igiene e risparmio energetico degli edifici, mentre l’ osservanza delle disposizioni edilizie e urbanistiche risulta oggetto della specifica funzione del titolo edilizio: si tratta, insomma, di piani distinti che possono anche non intersecarsi. Attenzione, però: quando il titolare della concessione edilizia chiede il certificato di abitabilità dei locali alla fine dei lavori, il comune può negarlo soltanto per questioni di natura igienico-sanitaria.
Il via libera non può ormai essere ritardato per motivi diversi dalla conformità del manufatto realizzato al progetto autorizzato e alle regole della tecnica edilizia. Insomma: è escluso che il niet possa scattare perché l’ amministrazione scopre che il privato non ha adempiuto a uno degli oneri convenzionalmente assunti per ottenere il titolo edilizio. L’ inosservanza del cittadino, però, esclude che scatti un risarcimento laddove l’ immobile è risultato nelle more incommerciabile. È quanto emerge dalla sentenza 567/17, pubblicata dalla prima sezione del Tar Umbria. Accolto il ricorso dei comproprietari della casa: è annullato il provvedimento dell’ ente locale che nega il rilascio dell’ agibilità parziale. Sbaglia l’ amministrazione quando sostiene che la pratica per il rilascio del certificato «presuppone comunque una verifica generale sulla legittimità dell’ intervento nel suo complesso».
E nella specie non risulta assolta una condizione prevista dalle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico in materia di carichi: i proprietari dovrebbero «cedere le aree destinate all’ urbanizzazione come previsto dal piano particolareggiato esecutivo». Ma ormai il comune può negare l’ abitabilità per questioni sanitarie o legate ai servizi essenziali e non perché il privato è venuto meno all’ obbligo assunto all’ epoca del conseguimento del titolo. L’ inosservanza del proprietario, tuttavia, esclude il risarcimento in quanto egli stesso è inadempiente, nonostante la casa sia ancora senza numero civico e non può essere venduta. Per converso neanche il condono può consentire alla cantina di diventare appartamento senza aria e luce a sufficienza.
Non è agibile l’ immobile che risulta privo dei presupposti di igiene e salubrità benché il comune abbia in precedenza rilasciato la concessione in sanatoria. Ed è lecito negare il certificato di abitabilità dei locali: il documento in base all’ articolo 24 del testo unico dell’ edilizia non può comunque essere concesso dall’ amministrazione locale. È quanto emerge dalla sentenza 1326/15, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Veneto. Devono rassegnarsi i proprietari dell’ immobile, dopo essersi illusi con il precedente provvedimento del comune. Il fatto è che il piano di calpestio dell’ ex magazzino risulta posto troppo in basso rispetto all’ altezza della strada e non si può trasformarlo in appartamento, magari per darlo in affitto a qualcuno che si trova in una condizione di difficoltà economica.
Hanno un bel dire, gli interessati: per il rilascio del certificato di abitabilità su manufatti condonati l’ articolo 35 della legge 47/1985 consente la deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, se le opere non contrastano con le disposizioni in materia di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli infortuni. Il punto è che lo stato dei locali non contrasta con mere disposizioni regolamentari ma con vere e proprie norme di legge su igiene e salubrità dei luoghi, a partire dall’ articolo 24 del testo unico dell’ edilizia. Il vecchio certificato, infine, può rivelarsi decisivo. I lavori in condominio sono salvi anche se il comune ha scoperto che il seminterrato utilizzato come autorimessa non è compatibile con i titoli abilitativi a suo tempo ottenuti dall’ edificio. E ciò perché nel frattempo l’ amministrazione ha rilasciato vari certificati, in primis quello di abitabilità, in cui si mostra a conoscenza dell’ esistenza dell’ opera e finisce per autorizzarla, sia pure in modo implicito, laddove ingenera un legittimo affidamento da parte del condominio.
Risultato: è annullato lo stop alla Dia dell’ ente di gestione, che punta a spostare la porta d’ accesso al garage condominiale. È quanto emerge dalla sentenza 4038/16, pubblicata dalla sezione seconda bis del Tar Lazio. Sbaglia l’ ente locale che prima sospende e poi boccia la denuncia di inizio lavori, fra l’ altro intervenendo dopo che è scaduto il termine di legge di trenta giorni. Il fatto che sia previsto un locale posto sotto il livello della strada utilizzato come autorimessa non emerge soltanto dal collaudo statico vistato dalla prefettura: la destinazione a garage è rilevata tanto dal certificato sanitario di abitabilità quanto da quello d’ uso d’ immobile, rilasciati dallo stesso Comune e regolarmente accatastati. L’ ufficio doveva essere più accurato nell’ esaminare la pratica. E non solo perché l’ attività dell’ amministrazione deve essere ispirata da criteri di diligenza: la trasformazione richiesta riguarda infatti un parcheggio, che in base alla legge Tognoli richiede soltanto la Dia.

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