23/04/2020 – Accoglienza di minori in strutture su disposizione dell’autorità giudiziaria. Soggetto tenuto ad assumere gli oneri a seguito di trasferimento della residenza.

 
Oggetto
Accoglienza di minori in strutture su disposizione dell’autorità giudiziaria. Soggetto tenuto ad assumere gli oneri a seguito di trasferimento della residenza.
Massima
In assenza di una specifica norma che stabilisca quale sia il comune tenuto a farsi carico degli oneri connessi all’inserimento di minori in comunità su disposizione dell’autorità giudiziaria, gli Uffici ministeriali e la giurisprudenza ritengono che si debba fare riferimento al criterio stabilito dall’art. 6, comma 4, della L. 328/2000, cosicché il soggetto onerato verrebbe individuato nel comune in cui il minore risiede all’atto dell’inserimento, risultando a tal fine irrilevanti eventuali trasferimenti della residenza.

Ad ogni modo, non sembrerebbe attualmente preclusa la possibilità per gli enti locali coinvolti di accordarsi per la ripartizione degli oneri di cui trattasi.

Funzionario istruttore
ROSA MARIA FANTINI

rosamaria.fantini@regione.fvg.it

Parere espresso da
Servizio elettorale, Consiglio delle autonomie locali e supporto giuridico agli enti locali
Testo completo del parere
Il Comune pone la questione relativa all’individuazione dell’ente tenuto ad assumere gli oneri di accoglienza di minori in comunità, su disposizione dell’autorità giudiziaria, a seguito dell’intervenuto trasferimento di residenza della famiglia[1].

L’Ente rappresenta che, con un recente parere[2], il Garante regionale dei diritti della persona del Friuli Venezia Giulia – rifacendosi all’orientamento assunto dal Ministero della solidarietà sociale con parere del 28 febbraio 2007 e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con parere del 4 dicembre 2015[3] – reputa che «la competenza al pagamento delle rette spetti al Comune nel quale il minore aveva la residenza prima del collocamento in comunità o dell’affidamento, fatto salvo il diverso Ente individuato dall’Autorità Giudiziaria nel proprio provvedimento».

I predetti pareri sostengono l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 6, comma 4[4], della legge 8 novembre 2000, n. 328, il quale dispone che l’ente tenuto all’eventuale integrazione economica per il ricovero “stabile”[5] presso strutture residenziali è individuato nel comune in cui il soggetto da assistere ha la residenza[6] prima del ricovero[7].

Il Comune propende, invece, per ritenere che l’ente tenuto ad assumere gli oneri per l’inserimento di minori in strutture vada individuato in quello in cui la famiglia è attualmente residente[8], “in considerazione della necessità di presa in carico da parte del servizio sociale professionale, tenuto ad ottemperare alle prescrizioni del provvedimento della magistratura, che non si ritiene che possa essere disgiunta dall’assunzione degli oneri amministrativo/contabili”.

Detto altrimenti, secondo l’Ente non sarebbe opportuno che la decisione del nuovo comune di residenza (tenuto a provvedere alla presa in carico del minore e della sua famiglia) di prolungare la permanenza del minore in comunità possa comportare una ricaduta economica sul comune di residenza al momento dell’inserimento.

Premesso quanto sopra, poiché il Tribunale per i minorenni di Trieste non individua nominativamente il comune tenuto a dare esecuzione alle proprie prescrizioni, limitandosi di norma a fare un generico riferimento al comune di residenza del minore[9], appare necessario stabilire – fatta salva ogni diversa statuizione del giudice minorile – se gli oneri di cui trattasi debbano permanere in capo al comune di residenza all’epoca dell’inserimento del minore nella struttura, oppure gravare sul nuovo comune di residenza.

Sentito il Servizio programmazione e sviluppo dei servizi sociali della Direzione centrale salute, politiche sociali e disabilità, si formulano le seguenti considerazioni.

Sulla questione che ci occupa[10] si registra un primo intervento interpretativo, ad opera del Ministero della solidarietà sociale[11], il quale ha ritenuto che al decreto del Tribunale per i minorenni che, prendendo atto del trasferimento di residenza della famiglia, attribuisce la competenza sul minore al servizio sociale del nuovo comune «non consegua l’automatico passaggio degli oneri economici al nuovo Ente, dal momento che si tratta di adeguamenti di tipo amministrativo del medesimo provvedimento giudiziario di allontanamento del minore dalla famiglia».

Il suddetto Ministero, ritenendo che debba applicarsi il criterio dettato dall’art. 6, comma 4, della L. 328/2000, ha precisato che tale legge «non contempla nessuna clausola che consenta il trasferimento dell’onere economico dal comune di residenza del nucleo familiare precedente al ricovero del minore al nuovo comune di residenza del nucleo familiare» ed ha, quindi, sancito che «il Comune di residenza precedente al ricovero rimane gravato degli oneri fino alla cessazione degli effetti del decreto del Tribunale per i Minorenni».

Il Ministero dell’interno sostiene da tempo[12] l’applicabilità dell’art. 6, comma 4, della L. 328/2000, affermando, in particolare, che «Il legislatore ha voluto radicare la competenza a sostenere gli oneri derivanti dal ricovero dei minori, sottoposti a decreto dell’autorità giudiziaria ed ospitati in struttura residenziale sempre nel comune nel quale i genitori esercenti la potestà o il tutore hanno la residenza[13] al momento in cui la prestazione ha inizio.».

Lo stesso Ministero precisa che «La disposizione in esame tende, peraltro, a fornire un criterio per la risoluzione di eventuali contenziosi tra regioni, qualora gli assistiti vengano ospitati in regione diversa da quella in cui hanno la residenza, data la non uniforme disciplina che la materia trova nelle varie legislazioni regionali.».

Anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali[14], chiamato ad esprimersi sulla questione oggetto di disamina dal Presidente Garante regionale dei diritti della persona del Friuli Venezia Giulia, afferma che «atteso che la ratio di cui all’art. 6, comma 4, della legge n. 328/2000 è quella di fornire un criterio certo ed univoco in ordine all’individuazione dell’Ente obbligato al pagamento degli oneri assistenziali, e finalizzato, quindi, a prevenire la probabile o possibile insorgenza di contenziosi, si ritiene che il Comune in cui il minore aveva la residenza prima del suo collocamento in comunità sia quello obbligato, con conseguente irrilevanza di eventuali, successivi trasferimenti di residenza dei genitori o del minore».

Il Ministero medesimo precisa, comunque, che il proprio parere ha carattere puramente indicativo, atteso che la competenza a disciplinare la materia socio-assistenziale, nel cui novero va ricondotto il collocamento dei minori al di fuori della famiglia, spetta alle regioni e ai comuni.[15]

Si è già rilevato che l’art. 6, comma 4, della L. 328/2000 disciplina il ricovero “stabile” presso strutture residenziali, mentre l’affidamento del minore al di fuori della famiglia dovrebbe essere “temporaneo”; ciò nonostante, la giurisprudenza formatasi in materia non ha dato rilievo a tale elemento e ha individuato il soggetto competente proprio in base al canone ivi previsto.

La Corte di cassazione[16], facendo applicazione della predetta disposizione, ha osservato che con essa «si radica dunque la competenza con riferimento al Comune in cui gli interessati o, nel caso di minori, i genitori esercenti la potestà (responsabilità) o il tutore hanno la residenza nel momento in cui la prestazione ha inizio, risultando ininfluenti eventuali successivi trasferimenti di residenza degli interessati».

Con un’ulteriore pronuncia[17], la Cassazione afferma che il criterio introdotto dall’art. 6, comma 4, della L. 328/2000 «che coniuga ai fini della regolazione dei profili finanziari il presupposto temporale del “ricovero” con quello spaziale della “residenza”, persegue il deliberato scopo di evitare talune macchinosità dovute alla necessità [di] verificare la situazione dei soggetti interessati alla scadenza del biennio[18], e di rendere, segnatamente, ininfluenti, ai fini dell’imputazione degli oneri, eventuali trasferimenti di residenza degli interessati e i motivi di tali trasferimenti», ribadendo che «in tal senso il legislatore ha voluto perciò radicare la competenza sempre nel comune nel quale gli interessati o, nel caso di minori, i genitori esercenti la potestà o il tutore hanno la residenza al momento in cui la prestazione ha inizio».

Anche la Corte d’appello di Milano[19] – che richiama, condividendola, la ricostruzione operata dal Ministero dell’interno nella risoluzione 9 febbraio 2009[20] – risolve la questione sottoposta al proprio esame ricorrendo al canone previsto dall’art. 6, comma 4, della L. 328/2000 ed affermando l’irrilevanza di successivi cambiamenti di residenza degli interessati.

Di particolare importanza appaiono due elementi che la Corte ha posto alla base della propria decisione:

1) la circostanza che la prestazione assistenziale erogata fosse la medesima, anche dopo il provvedimento con il quale il Tribunale per i minorenni del luogo di provenienza, prendendo atto del trasferimento della residenza del nucleo familiare nel nuovo comune (sito in una diversa regione), ha revocato il decreto di affidamento dei minori all’istituto ospitante e trasmesso gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni competente per territorio, con affidamento provvisorio al servizio sociale del nuovo comune di residenza[21];

2) la considerazione che la sentenza impugnata «errando, ha sovrapposto la competenza all’intervento assistenziale con la competenza a sostenerne gli oneri economici: per la mobilità della popolazione e in base al criterio di prossimità dei servizi, ben può la titolarità dell’intervento assistenziale deambulare da un Comune all’altro, senza che ciò debba vanificare il principio di cui all’art. 6 l. n. 328/2000».

Si segnala che l’applicazione del criterio contenuto nell’art. 6, comma 4, della L. 328/2000 agli oneri connessi all’inserimento di minori in strutture residenziali è prevista, ad esempio, nella disciplina adottata dalla Regione Veneto[22] e dalla Regione Molise[23].

La Regione Lombardia si rifà sostanzialmente allo stesso canone, individuando il soggetto obbligato/i soggetti obbligati, “per tutta la durata della prestazione”, a seconda delle circostanze, in ragione della residenza del genitore/dei genitori titolare/i della responsabilità genitoriale, “alla data di adozione del provvedimento dell’autorità giudiziaria” o “alla data della nomina del tutore”[24].

Sebbene la competenza a disciplinare la materia dei servizi alla persona sia devoluta alle regioni e ai comuni[25], tale disciplina incontra fisiologicamente un limite, vale a dire l’impossibilità di trovare applicazione al di fuori dei confini territoriali del singolo ente.

Si ritiene, comunque, auspicabile un intervento del legislatore regionale che individui l’ente tenuto a farsi carico degli oneri di accoglienza di minori in comunità, specificando se il sopraggiunto trasferimento di residenza della famiglia implichi l’individuazione di un diverso soggetto istituzionale.

Stante l’attuale assenza di una specifica norma, statale o regionale, che indichi espressamente il comune tenuto a farsi carico degli oneri connessi all’inserimento dei minori in comunità, non sembrerebbe ad ogni modo preclusa la possibilità, per gli enti coinvolti, di accordarsi per la ripartizione degli stessi.

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[1] Occorre rilevare, in via preliminare, che l’assunzione di oneri da parte dell’ente locale è subordinata all’accertamento dell’impossibilità dei genitori (e degli altri ascendenti tenuti ex lege) di fronteggiare la spesa.

[2] Reso con nota 13 dicembre 2019, prot. GEN-GARRS-468.

[3] Dei quali si dirà più specificatamente in seguito.

[4] «Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica.».

Si tratta di una deroga al principio generale della competenza territoriale sancito dagli artt. 3, comma 2 («Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.») e 13, comma 1 («Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione […] comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona […], salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.»), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

Il principio è affermato anche dal legislatore di questa regione negli artt. 8, comma 1 («Il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo») e 16, comma 1 («Il Comune è titolare di tutte le funzioni amministrative che riguardano i servizi alla persona […], salvo quelle attribuite espressamente dalla legge ad altri soggetti istituzionali.») della legge regionale 9 gennaio 2006, n. 1.

Allo stesso principio si ispira la previsione contenuta nell’art. 6, comma 1 («I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale […]. Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini […]»), della L. 328/2000.

[5] Sebbene il concetto di “stabilità” appaia assumere contorni non ben definiti, si osserva che l’affidamento del minore al di fuori della famiglia dovrebbe essere “temporaneo”, posto che l’art. 4, comma 4, della legge 4 maggio 1983, n. 184 dispone che esso «non può superare la durata di ventiquattro mesi», ancorché sia prorogabile dal Tribunale per i minorenni qualora la sua sospensione rechi pregiudizio al minore. Per tale motivo la Direzione centrale salute, integrazione sociosanitaria, politiche sociali e famiglia, d’intesa con questo Ufficio, aveva manifestato perplessità circa un’eventuale applicabilità dell’art. 6, comma 4, della L. 328/2000 ai collocamenti di cui si discute (nota 4 dicembre 2014, prot. n. 21011/SPS/SPS-ASIS-R).

In relazione a tale profilo si veda, peraltro, nel prosieguo l’orientamento giurisprudenziale successivamente formatosi.

[6] L’individuazione della residenza del minore è disciplinata dall’art. 45, secondo comma, del codice civile, ai sensi del quale «Il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore. Se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive.».

[7] Tale disciplina risulta confermata, in ambito regionale, dall’art. 4, comma 5 («L’assistenza alle persone per le quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali rimane di competenza del Comune nel quale esse hanno la residenza prima del ricovero, non rilevando a tal fine l’eventuale immediata provenienza da soluzioni sperimentali di abitare inclusivo.»), della legge regionale 31 marzo 2006, n. 6.

[8] Facendo, dunque, applicazione del criterio generale della competenza territoriale.

[9] Ferma restando comunque la facoltà dello stesso giudice, per motivate ragioni o per effetto di leggi speciali, di individuare (in tal caso nominativamente) il diverso comune tenuto a provvedere.

[10] Il cui esito varrebbe anche per gli oneri di affidamento del minore ad una famiglia.

[11] Ufficio legislativo, nota 28 febbraio 2007, prot. 048/0000597/SOC.P, avente ad oggetto «Richiesta parere relativo all’applicazione dell’art. 6, comma 4, l. 328/2000».

[12] Si vedano, ad esempio, i pareri/le risoluzioni 9 febbraio 2009, 23 aprile 2009, 2 luglio 2009, 1 agosto 2017, 3 aprile 2018 e 28 giugno 2018.

[13] Talvolta, in relazione a specifiche situazioni, il Ministero fa riferimento al “principio della equa distribuzione degli oneri in capo ai comuni di residenza di entrambi i genitori, ancorché siti in regioni differenti” (v. pareri/risoluzioni 1 agosto 2017, 3 aprile 2018 e 28 giugno 2018), che sarebbe stato affermato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel parere 23 maggio 2017, n. 3958. Il testo di detto parere risulta irreperibile e perciò non è possibile vagliare il contesto che avrebbe legittimato il richiamo di un principio non codificato a livello statale, ancorché esso risulti affermato, ad esempio, nella disciplina adottata dalla Regione Lombardia (v. art. 4, comma 3, della legge regionale 14 dicembre 2004, n. 34 e art. 8, comma 7-bis, della legge regionale 12 marzo 2008, n. 3).

[14] Direzione generale per l’inclusione e le politiche sociali – Divisione III–ISEE e prestazioni sociali agevolate. Politiche per l’infanzia e l’adolescenza, nota 4 dicembre 2015, prot. n. 41/0008589 /MA008.A001, concernente «Richiesta parere in merito all’interpretazione dell’art. 6, co. 4, l. 328/2000 e dell’art. 5, l. 184/1983, relativamente al collocamento del minore in comunità/affidamento – individuazione del Comune competente al sostentamento delle rette di compartecipazione alle spese dei genitori».

[15] Va più propriamente rilevato che, pur se la competenza in materia di servizi alla persona appartiene alle regioni e agli enti locali, allo Stato è comunque riservata la disciplina in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

[16] Sez. I civile, sentenza 4 febbraio 2016, n. 2183.

[17] Sez. I civile, ordinanza 8 febbraio 2019, n. 3791, in tema di affidamento di minori a famiglie.

[18] La disciplina previgente (legge 17 luglio 1890, n. 6972) aveva introdotto il criterio del “domicilio di soccorso”, individuando l’ente tenuto a sostenere gli oneri di ricovero assistenziale nel comune in cui la persona aveva più recentemente dimorato per almeno un biennio (o, in via subordinata, nel comune di nascita o, se nato all’estero, nel comune dove l’assistito aveva stabilito il domicilio).

[19] Sez. III, sentenza 7 febbraio 2017, n. 507.

[20] Nell’ambito della quale, viene affermato, in particolare, che:

– l’art. 6, comma 4, della L. 328/2000 «tende anche a fornire un criterio per la risoluzione di eventuali contenziosi tra regioni, qualora gli assistiti vengano ospitati in strutture site in regione diversa da quella in cui hanno la residenza, data la non uniforme disciplina che la materia trova nelle varie legislazioni regionali»;

– in relazione al predetto profilo «si può rilevare come la valenza precettiva della disposizione in esame abbia ricevuto un rafforzamento ed una più ampia legittimazione a seguito delle modifiche apportate dalla legge costituzionale n. 3/2001 al Titolo V della Parte II della Costituzione; l’art. 117, comma 2, lett. m) del testo novellato, infatti, affida alla legislazione esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili sociali”, al cui ambito appare riconducibile la disciplina volta a garantire, comunque, la fruizione delle forme assistenziali a favore dei minori nei casi in cui la loro erogazione possa astrattamente coinvolgere più soggetti istituzionali»;

– in tale contesto «pare potersi ammettere in linea astratta e di principio un’interpretazione della norma estesa ai casi di ricovero temporaneo».

[21] La sentenza chiarisce che solo successivamente ebbe inizio un nuovo progetto educativo e si verificò il mutamento della prestazione erogata e del suo contenuto, i cui oneri sono stati assunti dal comune di nuova residenza.

[22] V. art. 13-bis della legge regionale 3 febbraio 1996, n. 5:

«1. Per i soggetti, inclusi i minori, per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il Comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica.

2. Nel caso di minori, il comma 1 si applica anche in relazione a ricoveri stabili presso i soggetti indicati all’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia.” e successive modificazioni, in ordine ai quali la Regione definisce requisiti, forme di autorizzazione e di vigilanza.

3. Nel caso di minore straniero non accompagnato ospitato in struttura residenziale, il Comune obbligato all’eventuale integrazione economica è quello che ha in carico l’assistenza del minore secondo le determinazioni del Comitato per i minori stranieri di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535.».

[23] V. art. 6, comma 2, della legge regionale 6 maggio 2014, n. 13:

«Alle persone, ivi compresi i minori, per le quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il Comune nel quale esse hanno la residenza all’atto del ricovero assume gli oneri per le prestazioni erogate.».

[24] V. art. 4, commi 3 e 3-bis, della L.R. 34/2004:

«3. Gli oneri derivanti dall’affidamento familiare o dall’ospitalità in strutture residenziali per i minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria sono sostenuti, per tutta la durata della prestazione, dal comune in cui i genitori titolari della relativa potestà risiedono alla data di adozione del provvedimento, ovvero dal comune di dimora, alla medesima data, nel caso di soggetti di cui all’articolo 6, comma 1, lettere b) e c) della legge regionale 12 marzo 2008, n. 3 (Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario), non iscritti all’anagrafe della popolazione residente di un comune della Lombardia. Qualora alla data di adozione del provvedimento dell’autorità giudiziaria un genitore risulti cancellato per irreperibilità dall’anagrafe della popolazione residente di un comune della Lombardia e successivamente non iscritto all’anagrafe della popolazione residente di altro comune della Lombardia, gli oneri sono a carico del comune di ultima residenza anagrafica. Nel caso in cui alla data di adozione del provvedimento dell’autorità giudiziaria risulti nominato un tutore, gli oneri sono a carico del comune di ultima residenza del genitore o dei genitori, titolari della relativa potestà alla data della nomina del tutore, o, nel caso di genitori, titolari della relativa potestà alla medesima data, residenti in comuni diversi, a carico di entrambi i comuni in parti uguali. Nel caso di genitori residenti in comuni diversi, qualora uno di essi muoia o decada dalla potestà dopo l’adozione del provvedimento dell’autorità giudiziaria che dispone l’inserimento in struttura residenziale o l’affidamento familiare del minore, gli oneri sono interamente a carico del comune nel quale il genitore che mantiene la titolarità della potestà risiedeva alla data di adozione del provvedimento.

3-bis. Per oneri derivanti dall’affidamento familiare o dall’ospitalità in strutture residenziali s’intendono quelli relativi a tutte le prestazioni sociali che si rendano necessarie nel corso dell’affidamento familiare o della permanenza nella struttura.».

[25] V. note 15 e 20.

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