21/10/2019 – gli acquerelli di Enrico Antonio Cameriere

La Fata Morgana

 

Io narro della landa a’ Bruzi concessa,

là dove fiera il capo in giuso affonda,

la terra sotto il mar vien messa

e la ripa ne ricopre l’alta onda.

Parlo della aspra sperduta terra,

che di ginestra fa il solo spesso,

e ogni piano il monte cigne e serra

e si fa lucente de’ lo sole concesso.

Là dove Ulisse, scaltro, e i so’ fedeli

misero il legno ne’ lo timpistoso stritto,

là dove anche i più abili nocchieri

soccombero, vinti, all’ondeggiare fitto.

In una ripa stava Cariddi arcigno,

affamato tanto di legni e carne viva

e ne facea, con Scilla, pasto sanguigno

di omini, navi e ciò che da la ripa partia.

Morgana venne, ed avea lo guardo fermo,

due occhi d’acqua lacustre dipinti.

Io ero nell’atra ripa assiso e inermo,

l’immago m’avea i movimenti vinti.

Morgana venne, bella, come promessa tradita,

l’aria era liscia, come silvestre laco ghiacciato,

il sole ancor in giuso, smorto, spento di vita

Venere, ultimo simulacro de’ lo cielo stillato.

Morgana venne, o dolce amaro giorno,

avea il sembiante diafano e trasparente,

lo corpo liggero come volo d’adorno,

l’acqua divenne di magica aura lucente.

Morgana venne, ne lo lacustre stritto,

con la sua bell’ alma strana e lontana,

lo sorriso suo fu per me pasto e vitto,

che lo mangiar divenne a me cosa arcana.

Morgana venne, da le lontane bionde genti,

cosa le piacque de’ lo mio fare spiccio e duro,

de lo mio corpo lisciato da salmastri venti,

de lo mio color d’oliva fatto scuro?

Morgana venne, ed era d’aria fatta,

da una ripa all’altra ci guardavamo,

ogni azione era stregata e coatta,

e di vincer diversità e distanza studiavamo.

Morgana venne, e si fermò l’aria,

Missina la cinse e le fece corona,

l’acqua di un merletto si fece varia,

tutto era muto come cetra che non sona.

Morgana venne, e lo disio ci prese,

lei leggera, io di corpo matirial composto,

l’immago sua cento e mille volte rese,

io mi distesi, alquanto, verso lei disposto.

Morgana venne, ed eravam d’amor costretti,

mi sporsi a lei, e lei fece l’istesso,

le braccia in avanti, aperte, e li corpi eretti,

volevam in mare fare unione e amplesso.

Morgana venne, o dolce sogno appalesato,

che al risveglio di corporea sustantia par fatto,

ma stringi i pugni e, invece de’ lo corpo disiato,

solo aria vota teni, ne’ lo palmare anfratto.

Morgana venne, lei mi chiamava dall’acque,

lo braccio sporsi ed il piede misi sull’onda,

speravo lei mi prendesse, ma tutt’attorno tacque,

e mi sommersi, sì come mortal corpo affonda.

Morgana venne, o dolce amante avara,

da sotto vedea il suo amato vicino viso,

la guardai e il mare mi fece da bara,

e mi fu dolce in lei morire acciso.

Morgana venne, e tutto suo mi ebbe morto.

Ne le luminose mattine serene compare ancora,

io, da sotto l’onde, vedo il suo corpo risorto,

la vedo che chiama chi di lei ancor s’innamora.

Morgana venne.

Enrico Antonio Cameriere

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