21/06/2019 – Agente PL stagionale – Doppia attività lavorativa

Agente PL stagionale – Doppia attività lavorativa

Il quesito attiene all’applicazione dell’art. 53D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Un agente di P.M. stagionale è stato assunto a far data dal 15.4 fino al 14.6.2019 per la durata di 24 ore settimanali. All’atto della sottoscrizione del contratto ha dichiarato di non prestare alcuna attività lavorativa, solo tre giorni dopo con una email di trasmissione della documentazione richiesta, faceva pervenire una dichiarazione di atto di notorietà con la quale, contrariamente a quanto dichiarato con la sottoscrizione del contratto, la stessa affermava di prestare attività dal 15 marzo presso altro Comune fino al 31.5.2019 con un contratto di 18 ore settimanali. Detta dichiarazione inclusa nella documentazione richiesta non veniva posta all’attenzione del responsabile risorse umane per cui nessun provvedimento veniva adottato. Solo in data 5.6.19 per il tramite dell’INPS l’ufficio apprendeva dell’ulteriore lavoro. Possibile a rapporto cessato concludere un procedimento disciplinare? Come procedere per violazioni commesse?
a cura di Federico Gavioli
E’ piuttosto complicato fornire, con una risposta ad un quesito, soluzioni ad un caso così particolare, anche perché bisognerebbe entrare nel merito di chi sono le responsabilità dei fatti accaduti in quanto, l’agente in questione, potrebbe sempre difendersi sostenendo di aver fatto la comunicazione (anche se tardiva di tre giorni) e non sono stati presi provvedimenti subito in merito.
Su questo aspetto si potrebbe aprire un contenzioso dall’esito incerto.
Il comma 7, dell’art. 53, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, afferma che “7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.
Occorre, peraltro, rilevare come il successivo comma 7-bis, precisi che “l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore, costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.
Il criterio per la quantificazione del danno erariale, per il dipendente pubblico, è stato più volte oggetto di esame della magistratura contabile, la quale con un orientamento maggioritario ritiene che ai fini del danno erariale il calcolo vada effettuato al lordo degli oneri riflessi e fiscali; l’assunto trova la sua ragione d’essere nel fatto che le differenze retributive costituite dalle imposte e dai contributi previdenziali si configurano come una voce di spesa che viene a gravare ingiustificatamente sul bilancio della pubblica amministrazione, per effetto del comportamento illecito tenuto dal dipendente responsabile.
Si sottolinea, tuttavia, che nel caso in esame sarebbe meglio comprendere la dinamica dei fatti e delle responsabilità dei soggetti coinvolti.

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