20/04/2020 – Contratti delle PP.AA., indispensabile la forma scritta con contestualità della sottoscrizione

Contratti delle PP.AA., indispensabile la forma scritta con contestualità della sottoscrizione
di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
 
La tematica della forma scritta dei contratti e degli altri negozi giuridici aventi contenuto patrimoniale stipulati dalle PP.AA. ha un elemento di certezza sulla sua necessarietà. Seppur l’ordinamento civilistico italiano stabilisca un generale principio di libertà della forma del contratto, invece tutti i contratti della P.A. devono essere stipulati in forma scritta, a pena di nullità ex art. 1418 c.c., salvo i casi in cui la legislazione ammetta una deroga a tale forma (acquisti mediante fondi economali etc.).
L’obbligo generale di forma scritta risiede nel R.D. n. 2440/1923 e riguarda ogni contratto (in senso lato, ex art. 1321 c.c.) della P.A., dunque ogni contratto tipico o atipico. Poi vi sono varie fonti speciali, settoriali, come l’art. 15L. n. 241/1990 in materia di accordi, il D.Lgs. n. 50/2016 in materia di contratti di appalto e di concessione, il D.Lgs. n. 82/2005 in materia di amministrazione digitale, D.Lgs. n. 165/2001 in materia di contratti di lavoro etc. Per costante giurisprudenza sia civile che amministrativa tutti i contratti di cui sia parte la P.A., anche quando agisca iure privatorum, devono essere stipulati in forma scritta ad substantiam, non potendosi pertanto né desumere l’intervenuta stipulazione del contratto da una manifestazione di volontà implicita o da comportamenti meramente attuativi, né ritenere possibile la conversione in altro titolo e il rinnovo tacito di tali contratti (Cons. Stato, Sez. V, 29 maggio 2019, Sent. n. 3575Cons. Stato, Sez. III, 12 settembre 2019, Sent. n. 6151Cass. civ., Sez. I, 8 gennaio 2020, Sent. n. 142). In particolare, la necessità della forma scritta è costantemente ribadita dalla giurisprudenza, quale espressione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione e garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, sul presupposto che solo tale forma consente di identificare con precisione l’obbligazione assunta e l’effettivo contenuto negoziale dell’atto, rendendolo agevolmente controllabile anche in punto di necessaria copertura finanziaria (Cass. civ., Sez. un., 9 agosto 2018, Sent. n. 20684Cass. 28 giugno 2018, Sent. n. 1701623 gennaio 2018, Sent. n. 154927 ottobre 2017, ord. n. 2563113 ottobre 2016, Sent. n. 2069017 giugno 2016, Sent. n. 1254022 dicembre 2015, Sent. n. 2579811 novembre 2015, Sent. n. 2299424 febbraio 2015, ord. n. 372119 settembre 2013, Sent. n. 2147714 aprile 2011, Sent. n. 853926 ottobre 2007, Sent. n. 22537). Consegue l’irrilevanza di manifestazioni di volontà implicite o desumibili da comportamenti meramente attuativi (Cass. 11 novembre 2015, Sent. n. 229949 maggio 2017, ord. n. 1123115 giugno 2015, Sent. n. 12316), e l’inammissibilità, salvi i casi previsti da speciali disposizioni, di rinnovi taciti (Cass. civ., Sez. un., 20 novembre 1991, Sent. n. 12769Cass., 24 giugno 2002, Sent. n. 916521 maggio 2003, Sent. n. 7962) e di subentri per facta concludentia (Cass., 19 settembre 2013, Sent. n. 2147730 maggio 2002, Sent. n. 7913).
Superata la premessa, unitaria, sulla forma scritta obbligatoria e le relative fonti, relativamente alla modalità di realizzazione dell’accordo scritto (nei casi in cui non sia richiesto l’atto pubblico o l’atto pubblico solenne) si aprono due vie: una che ritiene sufficiente che siano rese in forma scritta la proposta e l’accettazione, ancorché su due documenti separati, l’altra che, invece, ritiene indispensabile la scrittura privata documentalmente unica, ove cioè siano apposte le firme di tutte le parti del contratto.
1. La posizione degli atti scritti disgiunti. Questa lettura, che ha una certa diffusione nella giurisprudenza civile, riconosce validità anche allo scambio delle missive contenenti rispettivamente la proposta e l’accettazione, vale a dire di distinte scritture formalizzate e inscindibilmente collegate, entrambe sottoscritte, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo, secondo lo schema della formazione del contratto tra assenti (Cass. civ., Sez. I, 27 ottobre 2017, ord. n. 25631). Tale posizione non sarebbe limitata ai casi previsti dalla legge, come quello con le ditte commerciali secondo “secondo l’uso del commercio”.
2. La posizione della scrittura privata unica. La giurisprudenza consolidata della Suprema Corte è invece orientata nel senso di richiedere, al fine di soddisfare il principio della forma scritta dei contratti della P.A., la contestualità delle manifestazioni di volontà relative alla formazione del contratto. Proposta ed accettazione possono essere anche contenute in documenti distinti purché siano poi consacrate in un unico documento. Nella recentissima sentenza in commento, i Giudici hanno confermato la necessità di aderire all’indirizzo più formalistico in tema di interpretazione del R.D. n. 2440/1923, trascurando l’altra posizione (di cui al punto precedente) volta ad attenuare il formalismo e a ritenere soddisfatto il requisito della forma scritta da uno scambio di missive, contenenti proposta ed accettazione, senza che le due dichiarazioni di volontà siano consacrate in un unico documento. La tesi più rigorosa è da preferire in quanto assolve ad una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo di identificare con precisione il contenuto del programma negoziale anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento ai controlli dell’autorità tutoria. Sussiste la necessità che, salvo diversa previsione di legge, l’intera vicenda negoziale sia consacrata in un unico documento, contenente tutte le clausole destinate a disciplinare il rapporto (Cass. civ., Sez. I, 13 ottobre 2016, Sent. n. 20690). In tema di contratti con la pubblica amministrazione, non è prova sufficiente la sola deliberazione di concludere il contratto, assunta dall’organo della P.A. preposto, ma è necessaria una apposita manifestazione di volontà, in un unico documento stante la forma scritta ad substantiam, dell’organo rappresentativo. Ove tale documentazione manchi, non può esserne tratta prova del contratto, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., dalla mancata esplicita contestazione del titolo ovvero da un comportamento ammissivo della controparte (Corte appello Napoli, Sez. II, 19 febbraio 2020, Sent. n. 799).
Questa posizione è sostenuta anche dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui i contratti con la P.A. devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta e – salva la deroga prevista dall’art. 17R.D. n. 2440/1923 per i contratti con le ditte commerciali, che possono essere conclusi a distanza, a mezzo di corrispondenza “secondo l’uso del commercio” – con la sottoscrizione, ad opera dell’organo dell’ente, munito dei poteri necessari per vincolare l’amministrazione (dirigente, ex. art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001), e della controparte contrattuale, di un unico documento, in cui siano specificamente indicate le clausole disciplinanti il rapporto; tali regole formali sono funzionali all’attuazione del principio costituzionale di buona amministrazione in quanto agevolano l’esercizio dei controlli e rispondono all’esigenza di tutela delle risorse degli enti pubblici contro il pericolo di impegni finanziari assunti senza l’adeguata copertura e senza la valutazione dell’entità delle obbligazioni da adempiere (Cons. Stato, Sez. V, Sent. 3 settembre 2018). La contestualità delle firme deve essere solo documentale, non necessariamente spazio-temporale, dunque le parti possono apporre la propria firma in momenti e luoghi distinti, purché sul medesimo documento (T.A.R. Puglia, Lecce, 23 novembre 2017, Sent. n. 1842)
Il documento contrattuale ha rilevanza non solo per l’esistenza e la validità dell’obbligazione, sia per le regole civilistiche sia per quelle di contabilità pubblica, ma anche per l’interpretazione ed esecuzione del rapporto in quanto la volontà degli enti pubblici dev’essere desunta esclusivamente dal contenuto dell’atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non potendosi fare ricorso alle deliberazioni degli organi competenti, le quali, essendo atti estranei al documento contrattuale, assumono rilievo ai soli fini del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase preparatoria del negozio e risultando pertanto prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non siano espressamente richiamate dalle parti (Cass. civ., Sez. I, 9 maggio 2018, Sent. n. 11190T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 23 luglio 2018, Sent. n. 1795)

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