19/08/2019 – L’accesso civico generalizzato alle procedure di affidamento dei contratti pubblici

Gagliardini, L’accesso civico generalizzato alle procedure di affidamento dei contratti pubblici

 
SOMMARIO: 1. La divisione della giurisprudenza amministrativa sull’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato agli atti delle procedura di affidamento dei contratti pubblici; 1.1. L’orientamento dell’esclusione; 1.2. La tesi dell’applicazione; 2. Le ragioni (ulteriori) dell’applicazione dell’acceso universale nelle gare d’appalto; 3. Le esclusioni e i limiti all’accesso generalizzato alle procedure di gara; 3.1. I divieti temporanei di accesso; 3.2. I divieti assoluti di accesso; 3.3. L’inaccessibilità dei dati personali dei dipendenti dell’operatore economico; 3.4. L’inaccessibilità del know-how delle imprese; 4. Considerazione finale: il deferimento all’Adunanza Plenaria dell’applicabilità dell’accesso civico generalizzato agli atti delle procedure di gara.
 
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§ – 1. La divisione della giurisprudenza amministrativa sull’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato agli atti della procedura di affidamento dei contratti pubblici
Il codice dei contratti pubblici prevede l’accesso agli atti delle procedure di gara mediante l’accesso documentale (art. 53) e l’accesso civico (art. 29).
L’art. 53, 1°comma dispone che «Salvo quanto espressamente previsto dal presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241».
L’art. 29, 1°comma individua i documenti della gara oggetto di pubblicazione obbligatoria che, se non resi pubblici dall’amministrazione, comportano il diritto di chiunque di richiederli ai sensi dell’art. 5, 1°comma del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Il codice, invece, non prevede l’accesso generalizzato agli atti di gara.
Successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il legislatore ha avuto più occasioni per riconoscere tale possibilità, ma non lo ha fatto.
Il d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 ha introdotto nel d.lgs. n. 33/2013 proprio l’accesso civico generalizzato ma ha mancato di coordinare la disciplina di quest’ultimo con quella settoriale dei contratti pubblici.
Il d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (c.d. correttivo) è intervenuto sul “codice degli appalti” ma non ha aggiunto l’accesso civico generalizzato alle gare.
Nonostante l’assenza di una previsione normativa espressa, l’accesso universale agli atti delle gare è stato chiesto più volte nell’esperienza delle procedure di appalto.
Così, si è posto il problema di stabilire se l’art. 53, 1°comma del d.lgs. n. 50/2016, nella parte in cui prevede che l’accesso alle procedure di gara soggiace alla disciplina dell’accesso c.d. ordinario di cui alla l. n. 241/1990 possa condurre all’esclusione della disciplina dell’accesso civico generalizzato ai sensi dell’art. 5-bis, 3°comma del d.lgs. n. 33/2013, secondo il quale l’accesso universale è escluso, tra l’altro, nei casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti. 
La questione ha polarizzato la giurisprudenza amministrativa su due posizioni opposte.
Un orientamento, dando risposta positiva al quesito, esclude l’accesso civico generalizzato dalla materia dei contratti pubblici[1].
Un’altra tesi, fornendo risposta negativa, ritiene che l’accesso generalizzato agli atti delle procedure di gara sia possibile[2].
 
    1. L’orientamento dell’esclusione
La tesi dell’esclusione, inizialmente circoscritta alle decisioni dei T.A.R., poi diffusasi e implementata dal Consiglio di Stato, muove dalla struttura dell’odierno sistema di accesso alle informazioni pubbliche.
Si tratta di una legislazione caratterizzata da tre forme di accesso di portata generale, ciascuna con propri presupposti, limiti ed eccezioni che operano in posizione pari ordinata: l’accesso documentale, l’accesso civico e l’accesso civico generalizzato. A queste, si affiancano, a livello speciale, le discipline settoriali come l’accesso in materia di contratti pubblici. La complessità del sistema crea problemi di coordinamento sia tra le tipologie di accesso che operano sul piano generale sia tra la disciplina di queste ultime e quelle speciali dell’accesso nei singoli settori[3].
In relazione a quest’ultimo aspetto, il coordinamento tra disciplina generale e quella speciale va chiarito verificando se la disciplina settoriale, da prendere prioritariamente in considerazione per il principio di specialità, consenta la reciproca integrazione tra regimi ovvero assuma portata derogatoria.
Per quanto riguarda il rapporto tra la disciplina generale sull’accesso civico generalizzato e quella speciale dell’accesso agli atti delle gare, la tesi in commento conclude per la portata derogatoria dell’art. 53 d.lgs. n. 50/2016 e, di conseguenza, per l’esclusione dell’accesso universale, in base a considerazioni letterali e teleologiche.
L’art. 5-bis, 3°comma del d.lgs. n. 33/2013, nel prevedere le esclusioni dell’accesso generalizzato, impiega il termine «casi» in modo generico dimodoché la loro individuazione richiede di far riferimento ad altre disposizioni di legge direttamente o indirettamente richiamate dallo stesso comma.
In questa prospettiva, la causa di esclusione dell’accesso dei «casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni modalità o limiti» è riferibile a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso in relazione a certi ambiti o materie o situazioni, subordinandolo a condizioni modalità o limiti, peculiari.
Sempre in questa luce, detta clausola non è riferibile alle ipotesi in cui la disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto (o relativo) di pubblicazione, se non altro perché tale esclusione è disciplinata separatamente proprio nell’art. 5-bis, 3°comma d.lgs. n. 33/2013.
Riferendo tale visione alla disciplina dell’art. 53 d.lgs. n. 50/2016, la causa di esclusione descritta assume significato se riferita all’art. 53, 1°comma che subordina l’accesso agli atti di gara alle condizioni, modalità e limiti previsti dalla disciplina dell’accesso documentale della legge n. 241/1990.
Ne consegue che l’art. 53, 1°comma non consente l’applicazione dell’accesso universale, ai sensi dell’art. 5-bis, 3°comma. La causa di esclusione sarebbe superflua e inutile se servisse a richiamare le eccezioni contemplate dagli artt. 53, comma 2 e 5 del d.lgs. n. 50/2016, in quanto, per esse opera già l’eccezione dei divieti di divulgazione contenuta nello stesso comma 3 dell’art. 5-bis.
Inoltre, la deroga all’accesso generalizzato agli atti delle procedure di appalto si giustifica anche sul piano teleologico.
La documentazione di gara è prodotta in applicazione di una disciplina speciale. Il d.lgs. n. 50/2016 attua direttive europee di settore che si preoccupano di assicurare la trasparenza e la pubblicità negli affidamenti pubblici, nel rispetto di altri principi di rilevanza europea come la concorrenza, l’economicità, l’efficacia e l’imparzialità[4]. Di conseguenza, la qualificazione dell’istante, in quest’ambito, è ampiamente giustificata, al fine di verificare la meritevolezza dell’interesse all’accesso.
Del resto, l’accesso civico generalizzato non risponderebbe ad alcuna funzione nel sistema dei contratti pubblici, dal momento che le esigenze pubblicistiche sono già assicurare dai poteri di controllo e di vigilanza dell’A.N.A.C. nonché dall’accesso civico ai documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria dell’art. 29 che, in considerazione dell’ampia portata, garantisce già le necessità di controllo sull’impiego di risorse pubbliche e di promozione della qualità dei servizi, sottese alla trasparenza.
 
    1. La tesi dell’applicazione
Alla posizione descritta, si contrappone un altro filone di giurisprudenza secondo cui il rinvio contenuto nell’art. 53, 1°comma del d.lgs. n. 50/2016 alla sola disciplina dell’accesso c.d. ordinario (id est, l’assenza del rinvio dell’art. 53 alla disciplina dell’accesso civico generalizzato) rappresenta un difetto di coordinamento del d.lgs. 25 aprile 2016, n. 97 che, in quanto successivo al d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, avrebbe dovuto raccordare i due testi normativi. Tale mancanza non può tuttavia interpretarsi come esclusione dell’accesso universale dai contratti pubblici, a pena di derogare l’applicazione di questa tipologia di accesso ogni volta che una disposizione, come l’art. 53, si riferisca soltanto agli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990.
Si pone, quindi, la necessità di una lettura coordinata dell’art. 53, che richiama l’applicazione degli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990, con l’art. 5-bis, 3°comma del d.lgs. n. 33/2013, nella parte in cui questo esclude l’accesso universale nei casi in cui l’accesso è subordinato a specifiche condizioni modalità e limiti.
L’interpretazione letterale di questa parte dell’art. 5-bis, 3°comma non consente di intendere “specifiche condizioni, modalità e limiti” come intere materie, altrimenti, si escluderebbe la materia dei contratti pubblici dall’ambito dell’accesso civico generalizzato, il quale mira a garantire il fondamentale principio della trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione. Il d.lgs. n. 50/2016 e il d.lgs. n. 33/2013 mirano a garantire insieme detto principio. Di conseguenza, non v’è ragione per sottrarre la disciplina dei contratti pubblici dall’accesso generalizzato.
L’accesso civico generalizzato agli atti delle gare trova conferma altresì dall’interpretazione funzionale della disciplina di questa nuova tipologia di accesso.
Essa si ispira al c.d. “Freedom of Information Act” statunitense, superando il principio dei limiti soggettivi all’accesso dei documenti delle pubbliche amministrazioni e riconoscendo tale diritto a ogni cittadino, con la sola previsione di un numerus clausus di limiti oggettivi a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, contemplati dall’art. 5-bis, 1° e 2° comma del d.lgs. n. 33/2013.
La finalità dell’accesso universale è quella di favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, promuovendo in tal modo la partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico, come previsto dall’art. 5, 2°comma del d.lgs. n. 33/2013.
L’interpretazione di questi elementi rivelano argomentazioni a favore all’accesso generalizzato agli atti di gara.
La limitazione esclusivamente oggettiva dell’accesso universale comporta che, oltre alle materie specificamente sottratte dai comma 1° e 2° dell’art. 5-bis, vi possono essere soltanto dei “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali possono prevedere “specifiche condizioni modalità e limiti”.
Questo principio, ricavabile dall’interpretazione testuale dell’art. 5-bis, 3°comma, implica che l’ambito delle materie sottratte debba essere definito senza possibilità di estensione o di analogia interpretativa. In secondo luogo, comporta che ove non si ricada in una materia esplicitamente sottratte possono esservi solo dei casi in cui il legislatore pone specifiche, condizioni, modalità e limiti all’accesso.
Per quanto riguarda lo scopo dell’accesso civico generalizzato, a differenza di quanto sostenuto dall’altro orientamento, esso soddisfa un’esigenza specifica nell’ambito delle procedure di gara: il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto alla corruzione.
 
§ – 2. Le ragioni (ulteriori) dell’ammissibilità dell’acceso universale nelle gare d’appalto
Tra i due indirizzi giurisprudenziali, sembra preferibile quello che ammette l’accesso universale, in quanto l’altro è anti-storico e conduce ad esiti paradossali.
Anzitutto, l’interpretazione che nega l’accesso libero e universale agli atti della gara è in controtendenza rispetto all’evoluzione della trasparenza nel diritto amministrativo.
Nell’ordinamento, l’area della documentazione conoscibile si è ampliata sempre più fino a giungere alla full disclosure: all’originario accesso documentale si sono aggiunti dapprima l’accesso civico e infine l’accesso civico generalizzato.[5]
L’esclusione dell’accesso universale agli atti delle gare appare pertanto discordante rispetto all’evoluzione generale.
Inoltre, la preclusione dell’accesso generalizzato ai documenti delle gare è paradossale perché si elimina la possibilità di un controllo diffuso sull’operato dell’amministrazione pubblica in uno dei settori dove l’illegalità e la corruzione sono più diffusi[6].
La tesi dell’applicazione, invece, è supportata da plurimi argomenti: normativo, sistematico, strutturale, teleologico e organizzativo.
Alla luce del dato normativo sovranazionale, l’accesso generalizzato alle informazioni pubbliche si configura come un diritto fondamentale[7].
L’art. 42 della Carta di Nizza considera l’accesso ai documenti come diritto fondamentale di ogni cittadino dell’Unione Europea.
Negli stessi termini dispone l’art. 15 del T.F.U.E. che riconosce l’accesso ai documenti delle istituzioni dell’Unione a prescindere dal loro supporto.
L’art. 2 della Convenzione sull’accesso ai documenti ufficiali del Consiglio d’Europa riconosce «the right of everyone, without discrimination on any ground, to have access, on request, to official documents held by public authorities».
La Corte Europea dei diritti dell’uomo riconduce l’accesso alle informazioni pubbliche sotto l’art. 10 della Convenzione affermando che il diritto di ricevere o di divulgare informazioni da parte della stampa non potrebbe trovare effettiva attuazione senza la possibilità di richiedere e ottenere informazioni relative a situazioni di interesse pubblico[8].
Ciò premesso, se l’accesso universale si configura come un diritto fondamentale, esso potrà essere bilanciato con altri interessi giuridicamente rilevanti ma non può essere escluso a priori.
A sostegno dell’ammissibilità dell’accesso generalizzato agli atti di gara milita altresì il dato sistematico.
L’assenza di una previsione legislativa per l’accesso universale agli atti della gara non si deve intendere come esclusione dell’istituto poiché, a differenza dalle altre due forme di accesso, il F.O.I.A. solleva questioni che sono risolvibili sulla base della disciplina esistente: gli artt. 5 e 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 e l’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016.
Il legislatore regola i termini dell’accesso documentale agli atti di gara, all’art. 53, 2°comma del codice dei contratti pubblici, perché mira a garantire i principi di parità di trattamento e di libera concorrenza, che sarebbero lesi se si applicasse la sola disciplina generale di cui alla l. n. 241/90. Senza la previsione dei termini, infatti, l’operatore economico accederebbe in qualunque fase della gara a documenti detenuti dalla stazione appaltante conseguendo vantaggi cognitivi a discapito degli altri concorrenti.
Il legislatore, tramite l’art. 29 del d.lgs. n. 50/2016, generalizza la pubblicità degli atti della gara prevedendone anche il termine e il luogo di pubblicazione, per realizzare la trasparenza dell’affidamento degli appalti pubblici che non sarebbe garantita dal solo d.lgs. n. 33/2013.
Quest’ultimo, difatti, perimetra l’obbligo di pubblicazione solo a taluni atti ed entro un termine generico, ai sensi degli artt. 35 e 8.
Nel senso dell’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato agli atti della gara converge anche il dato strutturale.
L’accesso civico generalizzato si distingue dall’accesso dell’art. 53 del codice dei contratti pubblici quanto alla legittimazione, all’oggetto e alla finalità, con la conseguenza che le due fattispecie possono convivere all’interno del sistema dei contratti pubblici.
Con riguardo alla legittimazione, l’accesso civico generalizzato agli atti di gara è consentito a chiunque come previsto dall’art. 5, 3°comma del d.lgs. n. 33/2013, che lo sottrae da ogni restrizione quanto ai presupposti soggettivi.
Diversamente, l’accesso dell’art. 53 d.lgs. n. 50/2016 è consentito soltanto alle imprese che partecipano alla gara che devono provare che i documenti richiesti coinvolgono la loro posizione nel procedimento[9].
Quanto all’oggetto, l’accesso civico generalizzato può riguardare informazioni esistenti ma non ancora incorporate in documenti, rispetto alle quali può rendersi necessaria l’attività dell’amministrazione al fine di renderle accessibili al pubblico.
L’accesso documentale, invece, è ammesso soltanto con riferimento a documenti esistenti, detenuti dalla pubblica amministrazione, come si desume dall’art. 22, 1°comma, lett. d), l. n. 241/1990.
In merito alla finalità, chi presenta un’istanza di accesso generalizzato agli atti della gara lo fa per controllare la gestione dei fondi pubblici impegnati dall’amministrazione e per verificare la correttezza delle operazioni della procedura[10]. Invece, l’impresa che si avvale dell’accesso documentale agisce per tutelare la propria posizione nell’ambito del procedimento.
Ne risulta che l’accesso generalizzato si pone a garanzia dell’interesse collettivo mentre l’accesso documentale mira alla tutela dell’interesse privato dell’operatore economico.  
Infine, l’accesso universale e l’accesso documentale differiscono anche in ordine all’intensità della richiesta ostensiva.
La pretesa dell’accesso civico generalizzato è più estesa ma meno intensa mentre la pretesa dell’accesso documentale è meno estesa ma più intensa[11].
Ciò si spiega con la finalità perseguita da ognuna delle due tipologie di accesso.
Nel caso dell’accesso civico generalizzato, il fine del controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione aggiudicatrice giustifica la minore intensità e la maggiore estensione dell’accesso dei dati e delle informazioni detenuti dalla stazione appaltante.
Nel caso dell’accesso documentale, la difesa della situazione soggettiva fonda la maggiore intensità della pretesa ad ottenere documenti pertinenti e la minore estensione dell’esigenza di prendere visione di documenti inutili.
A conforto dell’accesso generalizzato agli atti delle gare si pone anche il dato teleologico.
Nelle procedure di gara, la trasparenza amministrativa è funzionale alla non discriminazione degli operatori economici e alla crescita economica delle imprese tramite la massima partecipazione alla gara[12]. Più l’azione delle stazioni appaltanti è trasparente maggiore è la sua visibilità da parte delle imprese interessate a partecipare alle gare. Il risultato è procedure d’appalto effettivamente concorrenziali.
Questo meccanismo è favorito dall’accesso generalizzato agli atti della gara.
Esso, come espressione di trasparenza in funzione democratica, mira al controllo della legalità dell’azione delle amministrazioni, in contrapposizione alla logica privatistica della trasparenza dell’accesso documentale dell’art. 22, l. 7 agosto 1990, n. 241[13].  
In questa luce, l’accesso universale alle procedure si configura come prezioso strumento di trasparenza che sollecita le stazioni appaltanti a rendersi sempre più trasparenti nei confronti del mercato, promuovendo condizioni favorevoli alla competitività tra gli operatori economici.
Infine, l’accesso universale agli atti della gara va ammesso perché è funzionale al miglioramento dell’organizzazione dei servizi pubblici.  
Nell’esecuzione del servizio, il cittadino è chiamato ad esprimere il proprio gradimento sulla qualità della prestazione ricevuta affinché le amministrazioni possano adeguare l’erogazione al feedback dell’utente[14].
Per esprimere il proprio giudizio, l’amministrato necessita di conoscere informazioni che si riferiscono al servizio dal momento dell’affidamento a quello dell’esecuzione.
Se non si ammettesse l’accesso universale, il cittadino esprimerebbe un giudizio sulle modalità di erogazione, quindi, fornirebbe una valutazione parziale perché la pubblica amministrazione rivedrebbe soltanto il quomodo.
Mentre, consentendo l’accesso agli atti della gara, il cittadino esprimerebbe un’opinione maggiormente consapevole in quanto le sue osservazioni riguarderanno non solo le modalità di erogazione del servizio ma anche l’erogatore. Si tratterà di un giudizio sulla scelta dell’amministrazione di affidare il servizio all’aggiudicatario potendo l’amministrato prendere visione delle offerte presentate dagli altri operatori economici che partecipavano alla gara.
Pertanto, l’accesso libero e universale si pone come strumento nelle mani del cittadino per rendere più efficiente ed efficace l’erogazione dei servizi pubblici e per “moralizzare” il comportamento delle pubbliche amministrazioni nella fase dell’aggiudicazione, ricordando loro che la scelta del gestore del servizio deve tendere alla massima utilità dei consociati.
 
§ – 3. Le esclusioni e i limiti all’accesso generalizzato alle procedure di gara
L’ammissione dell’accesso civico generalizzato alle procedure di gara pone la questione della sua effettiva dimensione applicativa, posto che le esclusioni e i limiti all’accesso dell’art. 5-bis d.lgs. n. 33/2013 trovano spazio anche in questa materia.
L’operatività di queste eccezioni è stata definita dall’A.N.A.C. con delle Linee Guida, ai sensi dall’art. 5-bis, 6°comma d.lgs. n. 33/2013[15].
L’Autorità ha desunto due categorie di eccezioni dall’art. 5-bis, 1°, 2° e 3° comma: assolute e relative. Alla prima categoria è riconducibile la fattispecie del 3°comma mentre alla seconda sono riconducibili i comma 1 e 2 dell’art. 5-bis.
La distinzione si apprezza sul piano dei presupposti delle eccezioni.
Nelle situazioni del 3°comma, l’accesso civico generalizzato è escluso sulla base di un giudizio formulato a priori dal legislatore. Si tratta dei «casi di segreto di Stato», di «altri casi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge», dei «casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990».
L’applicazione dei limiti del 1° e 2° comma, invece, implicano un giudizio ex post della pubblica amministrazione che deve rifiutare l’accesso civico generalizzato se il provvedimento di diniego è necessario per evitare una lesione concreta a uno degli interessi pubblici e privati elencati.
Il giudizio dell’amministrazione sulla sussistenza del pregiudizio concreto (ergo, sulla spettanza dell’accesso civico generalizzato) è articolato in più fasi.
Nella prima, di carattere istruttorio, l’amministrazione raccoglie tutti gli elementi necessari al fine di delineare una quadro informativo su cui poter apprezzare la sussistenza del «pregiudizio concreto». A tal fine, l’amministrazione acquisisce anche le posizioni dei controinteressati all’accesso universale ritenuto pregiudizievole dei loro interessi privati, come previsto dall’art. 5, 5°comma d.lgs. n. 33/2013.
Nella seconda, di carattere prognostico, l’amministrazione effettua tre valutazioni.
Sulla base del quadro istruttorio, verifica se l’ostensione dei documenti richiesti esporrebbe a conseguenze pregiudizievoli uno degli interessi elencati dall’art. 5-bis.
Accertato questo rischio, l’autorità deve bilanciare l’interesse alla conoscenza con il pregiudizio concreto che subirebbe l’interesse tutelato, al fine di stabilire se, per scongiurare la lesione, occorra rifiutare l’accesso.
Sui criteri di bilanciamento, tuttavia, si fronteggiano diverse posizioni.
Secondo l’A.N.A.C.[16] e il Ministro per la Pubblica Amministrazione[17], il bilanciamento deve essere governato dal principio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo secondo cui, nei casi dubbi, l’amministrazione dovrebbe preferire l’esigenza di trasparenza.
Tale posizione è stata criticata a più riprese dal Garante per la privacy che, per la materia di sua competenza, ha affermato che non si può accordare una aprioristica prevalenza all’esigenza di trasparenza rispetto ad interessi costituzionalmente tutelati come la riservatezza e la protezione dei dati personali, perché si comprometterebbe il bilanciamento di interessi che richiede un approccio equilibrato alla ponderazione dei diritti coinvolti nella fattispecie, per evitare che i controinteressati all’istanza di accesso subiscano pregiudizio dall’ostensione dei documenti che li riguardano. La preferenza per l’accesso, secondo il Garante, rischia di generare comportamenti irragionevoli in contrasto, per quanto attiene alla riservatezza e alla tutela dei dati personali, con l’art. 8 della C.E.D.U. e con gli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza[18]. Ad avviso del Garante Privacy, l’operazione di bilanciamento tra la trasparenza e la riservatezza dovrebbe essere condotta in virtù dei principi che regolano la materia dei dati personali[19].
L’incertezza sui criteri applicativi influenza il giudizio di bilanciamento che, con riferimento a situazioni comparabili, potrebbe risultare diverso in dipendenza dei parametri impiegati.
Infine, l’amministrazione, accertata l’impossibilità di concedere l’accesso universale per la sussistenza di un pregiudizio concreto, dovrebbe valutare la possibilità di rilasciare un accesso parziale, ai sensi dell’art. 5-bis, 4°comma d.lgs. n. 33/2013.
Il sindacato dell’amministrazione sulla sussistenza delle esclusioni e dei limiti dell’art. 5-bis è informato alla progressività nel senso che l’amministrazione deve, inizialmente, verificare l’assenza delle eccezioni assolute e, una volta esclusa la loro sussistenza, deve valutare se dall’ostensione dei documenti richiesti possa derivare un pregiudizio agli interessi elencati dall’art. 5-bis, 1° e 2°comma. Soltanto in caso di esito negativo potrà concedere l’accesso universale[20].
Riferendo le indicazioni operative dell’A.N.A.C. alla valutazione dell’accesso universale agli atti delle procedure di gara, si ricava che il codice dei contratti pubblici preclude l’ostensione dei documenti in una serie di casi.
 
3.1.  I divieti temporanei di accesso
Ad un primo gruppo, appartengono i divieti temporanei delle lett. a), b), c) e d) dell’art. 53, 2°comma del d.lgs. n. 50/2016, i quali si configurano come eccezioni all’accesso generalizzato ai sensi dell’art. 5-bis, 3°comma del d.lgs. 33/2013, nella parte in cui quest’ultimo dispone che l’accesso universale è escluso nei «casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti[21].
Tutte le fattispecie dell’art. 53, 2°comma esprimono un bilanciamento di interessi effettuato ex ante dal legislatore.
Nelle ipotesi delle lett. a) e b), la disposizione antepone la tutela della posizione delle imprese alla esigenza della trasparenza. L’esclusione dell’accesso all’elenco degli operatori che hanno già presentato l’offerta, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle domande, serve a scongiurare proprio che gli operatori economici acquisiscano informazioni utili a decidere se partecipare alla gara ed, eventualmente, come formulare l’offerta, tutelando la par condicio tra i concorrenti fin dall’inizio della procedura.
Nelle ipotesi previste dalle lett. c) e d), l’imparzialità della commissione aggiudicatrice prevale sulla trasparenza. L’esclusione dell’accesso alle offerte e ai documenti del procedimento di anomalia dell’offerta, fino all’aggiudicazione, mira a scongiurare ogni forma di influenza da parte di soggetti esterni sulla commissione aggiudicatrice, tutelandone l’imparzialità di giudizio[22].
Nel corso della procedura di gara, quando si verificano queste fattispecie, l’attività della stazione appaltante è vincolata al bilanciamento di interessi effettuato ex ante dall’art. 53, 2°comma.
Pertanto, dovrà differire l’accesso universale all’aggiudicazione della gara o al termine di presentazione delle offerte.
 
3.2.  I divieti assoluti di accesso
Ad un gruppo ulteriore appartengono i divieti assoluti di accesso che sono quelli dell’art. 53, 5°comma, lett. a), b), c), d), ai sensi dell’art. 5-bis, 3°comma ove quest’ultimo preclude l’accesso «nei casi di divieto di accesso o di divulgazione previsti dalla legge».
Tra le ipotesi dell’art. 53, 5°comma, la fattispecie della lettera a), che preclude ogni forma di divulgazione delle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che, secondo motivata dichiarazione dell’offerente, configurino segreti tecnici o commerciali, presenta una specificità. In questa fattispecie, sebbene l’esigenza di riservatezza delle imprese prevalga sulla trasparenza collegata all’accesso generalizzato, tuttavia, l’applicazione di tale bilanciamento è subordinato a una previa valutazione della stazione appaltante, la quale deve accertare che le informazioni oscurate dall’impresa controinteressata costituiscano effettivamente segreti tecnici o commerciali meritevoli di protezione giuridica.
Le amministrazioni aggiudicatrici devono eseguire tale verifica in virtù del concetto di «segreto commerciale» di cui all’art. 98 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, come modificato dal d.lgs. 11 maggio 2018, n. 63[23].
La disposizione afferma che «Per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico – industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:
a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b) abbiano valore economico in quanto segrete;
c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.».
L’impiego di questi parametri è fondamentale per assicurare uniformità di applicazione al bilanciamento tra trasparenza amministrativa e riservatezza previsto dall’art. 53, 5°comma, la quale non sarebbe garantita se le amministrazioni aggiudicatrici effettuassero la valutazione con propri criteri o, addirittura, si limitassero a negare l’accesso sulla base delle dichiarazioni dell’impresa controinteressata, senza aver svolto accertamenti sulla effettiva ricorrenza del segreto[24].
Per l’attuazione della nozione, le stazioni appaltanti possono seguire i criteri-guida desumibili dai considerando della Direttiva UE 2016/943[25] e, in particolare, dal considerando n. 14 nonché dalle indicazioni elaborate dalla giurisprudenza amministrativa e dalle citate Linee Guida A.N.A.C..
Con riguardo al requisito sub a), la Direttiva UE sottrae alla nozione di segreto commerciale le informazioni trascurabili, l’esperienza e le competenze acquisite dai dipendenti nel normale svolgimento del loro lavoro, le informazioni che sono generalmente note o facilmente accessibili alle imprese del settore[26].
Più esplicitamente, la giurisprudenza afferma che non sono protetti come segreto commerciale i profili organizzativi interni dell’impresa come la formazione continua del personale, le attrezzature e i mezzi di servizio, i turni di reperibilità, la gestione delle emergenze nonché le «soluzioni migliorative genericamente presentate come frutto della ricerca e dell’esperienza maturata in precedenti appalti» che costituiscono soltanto «una sintesi tecnica del servizio offerto, non la ragione per cui lo stesso dovrebbe essere considerato come bene da tutelare con il segreto».[27]
In riferimento ai parametri sub b) e sub c), la Direttiva specifica che il valore commerciale dell’informazione può essere reale o potenziale aggiungendo, altresì, che per commerciali si intendono il know-how o le informazioni la cui acquisizione, l’utilizzo o la divulgazione non autorizzati rischino di pregiudicare gli interessi dell’impresa che li detiene lecitamente, in quanto pregiudicano il potenziale scientifico e tecnico, gli interessi commerciali o finanziari, le posizioni strategiche o la capacità di competere di detta impresa.
Ai divieti assoluti di accesso si deve ricondurre anche l’impossibilità di ottenere l’accesso ai documenti dei contratti secretati di cui all’art. 162 del codice dei contratti pubblici, poiché l’art. 5-bis, 3°comma esclude l’accesso universale anche nei «casi di segreto di Stato».
Se la stazione appaltante accerta l’insussistenza di divieti di accesso assoluti deve procedere alla seconda fase del suo sindacato tesa a verificare se l’ostensione dei documenti richiesti crei un pregiudizio concreto a uno degli interessi pubblici o privati dell’art. 5-bis 1° e 2°comma.
 
3.3. L’inaccessibilità dei dati personali dei dipendenti dell’operatore economico
L’accesso generalizzato alle gare va rifiutato con riferimento ai curriculum vitae del personale impiegato dall’aggiudicataria, alla dimostrazione del possesso dei titoli, delle competenze professionali e delle esperienze richieste dallo svolgimento dell’appalto perché, rivelando informazioni sulle attitudini e sulle capacità culturali, professionali e lavorative dei dipendenti, pregiudica la loro riservatezza.
Questo è il giudizio espresso dal Garante privacy col parere richiesto dal Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza del Ministero della Giustizia nell’ambito di un procedimento di riesame di un’istanza di accesso universale agli atti di gara[28].
Nella fattispecie, l’accesso generalizzato aveva ad oggetto la documentazione presentata da un Consorzio per la partecipazione a una gara e, in particolare, riguardava i curriculum vitae dei dipendenti impiegati, la lista del personale utilizzato nei vari servizi, la prova dei titoli, delle esperienze e delle competenze previste per le varie figure professionali, con riferimento a oltre 1.700 dipendenti.
L’amministrazione ministeriale aveva rifiutato l’accesso ritenendo che la divulgazione dell’identità, del domicilio, dei recapiti telefonici, dello stato familiare, delle attitudini culturali, professionali e lavorative di quasi 2.000 lavoratori avrebbe immediatamente pregiudicato la riservatezza del personale.
L’istante proponeva richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza del Ministero della Giustizia sostenendo la tesi giurisprudenziale secondo cui la documentazione presentata per la partecipazione alla selezione pubblica esce dalla sfera personale dei partecipanti i quali non possono lamentare alcun danno se l’amministrazione ne consente l’accesso; e ritenendo che nelle procedure concorsuali non sussiste alcuna esigenza di riservatezza dei singoli candidati dal momento che detti procedimenti si caratterizzano per la competizione tra tutti i concorrenti che, prendendovi parte, hanno implicitamente acconsentito a un giudizio comparativo.
Il R.P.C.T., come previsto dall’art. 5, 7°comma d.lgs. n. 33/2013, chiedeva al Garante Privacy se nell’ambito di una procedura di gara, l’accesso ai dati che riguardano esperienze pregresse, competenze professionali, titoli di studio del personale impiegato dall’impresa, rilevando informazioni su attitudini, capacità culturali, professionali e lavorative fosse di pregiudizio al diritto alla riservatezza.
Il Garante ha premesso che nell’ambito della valutazione del pregiudizio concreto ai dati personali, l’amministrazione deve tenere in considerazione che, a differenza dei documenti ottenuti tramite l’accesso documentale, i dati e i documenti ricevuti attraverso l’accesso generalizzato seguono il regime di pubblicità amplificato dell’art. 3 d.lgs. n. 33/2013 secondo cui le informazioni divulgate divengono pubbliche e chiunque ha diritto di conoscerle, di fruirne gratuitamente, di utilizzare e riutilizzarle ex art. 7 del d.lgs. n. 33/2013. L’accertamento del pregiudizio concreto, ha affermato il Garante, deve essere condotto nella prospettiva di tale regime di pubblicità.
Il Garante ha aggiunto che il giudizio di spettanza dell’accesso universale deve rispettare i principi indicati dall’art. 5 del Regolamento (UE) 2016/679, tra i quali ha peculiare rilevanza quello della minimizzazione dei dati, secondo cui i dati personali devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati in modo che non si realizzi un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà delle persone cui si riferiscono tali dati.
Sulla base di questo quadro normativo, il Garante ha effettuato la triplice valutazione necessaria a decidere sulla concessione dell’accesso universale.
Quanto all’accertamento del pregiudizio concreto, il Garante ha osservato che la documentazione richiesta concerne informazioni dettagliate della vita lavorativa che, in caso di divulgazione, diverrebbero pubbliche e riutilizzabili, contro l’interesse alla riservatezza dei lavoratori che non desiderano consentire l’impiego dei loro dati personali per finalità sconosciute da parte di terzi estranei. Il Garante ha rilevato altresì che l’eventuale ostensione di una mole tanto ampia di dati personali potrebbe comportare – avuto riguardo ai casi e al contesto in cui le informazioni possono essere reimpiegate da terzi estranei non conoscibili a priori – conseguenze lesive sul piano personale, relazionale, sociale dei dipendenti, sia all’interno che all’esterno del contesto lavorativo, configurando il pregiudizio concreto che deve far concludere per il rifiuto dell’accesso universale, ai sensi dell’art. 5-bis, 2°comma d.lgs. n. 33/2013.
Passando al bilanciamento di interessi, il Garante ha ritenuto che l’ostensione delle informazioni richieste, considerata nella prospettiva del regime di pubblicità dell’art. 3 d.lgs. n. 33/2013, determina un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nella sfera giuridica dei lavoratori, violando il principio di minimizzazione dei dati personali. Di conseguenza, l’accesso universale deve essere rifiutato. Il diniego, ha aggiunto il Garante, si giustifica tenendo conto altresì delle ragionevoli aspettative di confidenzialità dei controinteressati al trattamento dei dati personali al momento in cui questi sono stati raccolti dall’amministrazione, nonché della non prevedibilità, al momento della raccolta dei dati, delle conseguenze derivante dalla eventuale conoscibilità da parte di chiunque dei dati richiesti attraverso l’accesso universale[29].
Infine, il Garante ha escluso la possibilità di concedere un accesso parziale ai sensi dell’art. 5-bis, 4°comma d.lgs. n. 33/2013 dal momento che siffatta misura non eliminerebbe la possibilità che i lavoratori siano re-identificati da terzi, anche all’interno dell’amministrazione stessa, tramite le informazioni di contesto contenute nella parte di documentazione divulgata. Un accesso parziale potrebbe configurare la violazione dell’art. 4 del Regolamento UE n. 679/2016 che reputa identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo on-line o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale, o sociale[30].
 
3.4. L’inaccessibilità del know-how delle imprese
L’accesso deve essere rifiutato anche in relazione all’offerta tecnica che, in risposta alle richieste specifiche della documentazione di gara, contiene delle clausole peculiari, ha una presentazione specifica e dimostra particolari competenze professionali che comportano, a carico dell’impresa, investimenti in termini di risorse finanziarie e umane.
Il giudizio è stato reso dal Tribunale dell’Unione Europea con la sentenza 29 gennaio 2013, cause riunite T-339/10 e T-352/10, Copesuri c. EFSA.
L’impresa ricorrente contestava il diniego di accesso oppostogli dall’Autorità Europea con riferimento a parte dell’offerta dell’impresa aggiudicataria, motivato dalla specificità tecnica della documentazione richiesta che se divulgata avrebbe comportato un pregiudizio concreto e probabile alla stessa aggiudicataria.
Il Tribunale, richiamando la giurisprudenza europea in materia, ha premesso che il Regolamento UE n. 1049/2001 conferisce al pubblico il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni europee nella misura più ampia possibile, al fine di affermare il carattere democratico delle stesse.
Nondimeno, tale diritto, ha precisato il Tribunale, è comunque sottoposto a certe limitazioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che sono elencate all’art. 4 del Regolamento n. 1049 e che autorizzano le autorità europee a rifiutare l’accesso quando accertano l’esistenza di un pregiudizio concreto a uno di tali interessi. Queste eccezioni, osserva il Tribunale, derogano al principio del più ampio accesso possibile dei cittadini europei ai documenti delle istituzioni comunitarie, pertanto, vanno interpretate in senso restrittivo. Da ciò consegue che, aggiunge il Tribunale, quando l’istituzione decida di negare l’accesso deve spiegare in che modo l’ostensione possa arrecare un pregiudizio concreto a uno degli interessi tutelati dalle eccezioni dell’art. 4. A tal fine, tuttavia, l’autorità può ricorrere anche a presunzioni generali di pregiudizio in relazione a certe categorie di documenti ritenuti sensibili che, se non confutate dal controinteressato, giustificano il rifiuto dell’accesso.
In applicazione di queste coordinate, il Tribunale ha valutato se l’ostensione della documentazione richiesta comportava un pregiudizio concreto agli interessi commerciali dell’aggiudicataria che costituisce motivo di diniego dell’accesso ai sensi dell’art. 4, paragrafo 2 del Regolamento.  
Dapprima, il Tribunale ha accertato che l’Autorità Europea ha correttamente ritenuto sussumibili i documenti richiesti con l’accesso nell’ambito di applicazione dell’eccezione a tutela degli interessi commerciali, in considerazione della particolarità degli elementi economici e tecnici contenuti nell’offerta dell’aggiudicataria.
Inoltre, il Tribunale Europeo ha ritenuto sussistente, come aveva già reputato l’autorità europea in sede amministrativa, una presunzione generale di pregiudizio in relazione all’offerta dell’aggiudicataria, non vinta dall’impresa ricorrente. Tale presunzione è stata desunta da una serie di elementi tecnici ed economici dell’offerta aggiudicataria, tra cui la particolarità del linguaggio utilizzato, della presentazione, del know – how aziendale che richiedono investimenti in termini finanziari e di risorse umane per la loro realizzazione. E tale presunzione si giustifica ancor più in considerazione della circostanza che l’adeguamento del servizio alle necessità espresse nella documentazione di gara rivestiva un’importanza fondamentale.
Il Tribunale, sulla base di queste considerazioni, ha riconosciuto il legittimo interesse dell’aggiudicataria a non consentire la divulgazione della propria offerta tecnica al pubblico e, soprattutto, ai diretti o potenziali concorrenti che potrebbero re-impiegare le competenze tecniche ottenute con l’accesso in future gare dello stesso servizio.
Il Tribunale ha concluso che il diniego di accesso è necessario per evitare la lesione dell’interesse commerciale dell’impresa la cui tutela, nella materia dei contratti pubblici, è finalizzata all’obiettivo di realizzare una sana concorrenza. Per raggiungere tale finalità, le amministrazioni aggiudicatrici non possono divulgare a operatori concorrenti informazioni tecniche aziendali meritevoli di protezione giuridica, senza falsare la concorrenza. Le procedure di aggiudicazione sono fondate su un rapporto di fiducia tra le autorità amministrative e gli operatori che vi partecipano. Le imprese devono poter comunicare alle stazioni appaltanti qualsiasi informazione utile nell’ambito della procedura, senza temere che esse rivelino a terzi componenti dell’offerta la cui divulgazione recherebbe pregiudizio agli operatori.
 
§ – 4. Considerazione finale: il deferimento all’Adunanza Plenaria dell’applicabilità dell’accesso civico generalizzato agli atti delle procedure di gara.
Nei paragrafi che precedono, si sono esposte le ragioni che, a parere di chi scrive, fanno ritenere preferibile l’orientamento giurisprudenziale che ammette l’accesso civico generalizzato alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.
Tuttavia, la questione sta continuando a dividere la giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi Regionali e del Consiglio di Stato iniziando, così, a delinearsi un effettivo contrasto giurisprudenziale[31].
Il suo deferimento all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99, 1°comma del codice del processo amministrativo potrebbe rappresentare l’occasione per un intervento chiarificatore del Supremo Consesso anche sulle relazioni tra i diversi regimi di accesso che compongono il sistema di disponibilità delle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni, all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013 e del d.lgs. n. 97/2016.
Nonostante su tali aspetti il Consiglio di Stato si fosse già espresso in sede consultiva, l’incertezza giurisprudenziale descritta dimostra che, sul punto, permangono ancora dei dubbi[32].
Un ulteriore aspetto da chiarire concerne i criteri applicativi del bilanciamento di interessi nel rapporto tra trasparenza e riservatezza.
Come riportato sopra, si assiste a un dibattito che vede schierati da una parte l’A.N.A.C. la quale sostiene che, nei casi dubbi, si dovrebbe accordare prevalenza all’esigenza conoscitiva in applicazione del principio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo; dall’altra il Garante privacy il quale reputa tale posizione preclusiva di un bilanciamento in concreto degli interessi emergenti dalla situazione concreta e che rimette la valutazione comparativa all’applicazione dei principi previsti dalla legislazione in materia di dati personali.
Al riguardo, una soluzione convincente proviene dalla dottrina che ha proposto di condurre detto bilanciamento alla duplice stregua del canone finalistico e di quello di proporzionalità[33].
In particolare, l’amministrazione, in sede procedimentale, e il giudice amministrativo, in sede processuale, dovranno verificare se e in che misura la conoscenza degli atti e delle informazioni richiesti serva effettivamente a garantire il controllo sulla correttezza dell’operato delle autorità pubbliche e la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico.
Questa valutazione mira ad accertare che l’accesso civico generalizzato obbedisce a un’esigenza conoscitiva di rilevanza pubblica connessa alle finalità dell’istituto espresse dall’art. 5, 2°comma del d.lgs. n. 33/2013.
In seconda battuta, l’interprete dovrà controllare che l’oggetto della conoscenza conoscitiva rispetti i canoni di necessità, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza con riferimento al trattamento dei dati personali.
Dimodoché, se la richiesta di accesso universale realizza le finalità dell’art. 5, 2°comma e non si presenta sproporzionata, l’accesso andrà concesso; se viceversa, pur apparendo coerente con quegli scopi, si rivela eccedente e irragionevolmente lesiva della riservatezza dei controinteressati, si dovrà valutare la possibilità di ammettere un accesso parziale. Se risulta tale possibilità dovrà senz’altro essere preferita in quanto idonea a realizzare sia l’esigenza conoscitiva del cittadino sia quella del controinteressato a proteggere i propri dati personali.
 
dott. Gabriele Gagliardini
pubblicato il 16 agosto 2019
 
 

[1] A questo filone giurisprudenziale appartengono: Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2018, n. 5502; Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2018, n. 5503; Tribunale Amministrativo Regionale della Lazio, sede di Roma, sez. II, 14 gennaio 2019, n. 425; Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, sez. I, 18 ottobre 2018, n. 677; Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna, sede di Parma, 18 luglio 2018, n. 197. I testi delle pronunce sono reperibili sul sito www.giustizia-amministrativa.it.
[2] Nel senso dell’applicabilità dell’accesso civico generalizzato alle procedure di gara si sono espresse Cons. Stato, III sez., 5 giugno 2019, n. 3087; Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, sez., III, 17 aprile 2019, n. 577; Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, sez. I, 25 marzo 2019, n. 422; Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, sede di Milano, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 45; Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sez. VI, 22 dicembre 2017, n. 6028. I testi delle pronunce sono reperibili sul sito www.giustizia-amministrativa.it.
[3] Sulle struttura del sistema dell’accesso alle informazioni pubbliche e sui problemi di coordinamento tra le diverse fattispecie di accesso si è espressa Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817, reperibile sul sito www.giustizia-amministrativa.it.
[4] Si tratta delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché il per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
[5] La legge n. 241/90 s.m.i. afferma il principio di trasparenza come principio generale dell’attività amministrativa attraverso gli istituti della motivazione, della partecipazione procedimentale, dell’accesso ai documenti amministrativi; dal d.lgs. n. 150/2009, inizia a delinearsi una concezione di trasparenza diversa da quella intesa come accessibilità ai documenti detenuti dalle amministrazioni, rispetto ai quali si ha un interesse differenziato e personale alla conoscenza, desumibile dalla legge n. 241/90, nel senso che la nuova trasparenza si pone come accessibilità totale ai dati e documenti detenuti dalle amministrazioni, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali; la legge n. 190/2012 e il d.lgs. n. 33/2013 confermano la trasparenza come concepita dal d.lgs. n. 150/2009, configurandola altresì come strumento di contrasto e di prevenzione alla diffusione dei fenomeni corruttivi nelle amministrazioni; da ultimo, il d.lgs. n. 97/2016,  introduttivo dell’accesso libero e universale, implementa la trasparenza amministrativa intesa come accessibilità totale ai dati e documenti detenuti dalle amministrazioni.
Quest’evoluzione è stata recentemente registrata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 20 del 2019, reperibile sul sito www.cortecostituzionale.it, la quale rileva l’affermazione di un modello di trasparenza fondato sulla “disponibilità” dei dati e dei documenti detenuti dalle amministrazioni (d.lgs. n. 33/2013) accanto al preesistente modello fondato sulla sola “accessibilità” degli atti detenuti dall’amministrazione, rispetto ai quali il privato ha interesse per la tutela di una propria situazione giuridicamente rilevante (l. n. 241/1990).
Per una ricostruzione critica dell’evoluzione della trasparenza nell’ordinamento italiano si veda M. SAVINO, Il FOIA italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, in Giornale di dir. amm.: mensile di legislazione, giurisprudenza, prassi e opinioni, n. 5/2016, pp. 593 – 604.
[6] Al riguardo, si vedano i dati sulla corruzione negli appalti pubblici riportati nell’Allegato sull’Italia della Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione del 3 febbraio 2014 della Commissione Europea.
[7] L’accesso civico generalizzato è qualificato come diritto fondamentale dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica 30 maggio 2017, n. 2/2017 recante “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)”, reperibile in http://www.funzionepubblica.gov.it. In dottrina, l’accesso civico generalizzato è considerato come diritto fondamentale da M. SAVINO, Il FOIA italiano. La fine della trasparenza di Bertoldo, in Giornale di dir. amm.: mensile di legislazione, giurisprudenza, prassi e opinioni, n. 5/2016, pp. 593 – 604, cit..
[8] Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, (Grande Camera), 8 novembre 2016, Case of Magyar Helsinki Bizottság v. Hungary.
[9] Cfr. R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Molfetta – Roma, 2018, 798 e ss..
[10] In tal senso, Cons. Stato, III sez., 5 giugno 2019, n. 3087, cit., secondo cui «proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali “di controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5 co. 2 cit. d.lgs. 33). Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione»
[11] In questi termini, si è espressa Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817, cit., secondo cui «volendo utilizzare una formula sintetica (…) si dirà che – nel confronto tra accesso documentale e accessi civici, generico ed universale – si guadagna in estensione ciò che si perde in intensità».
[12] Cfr. Cons. Stato, sez. cons. per gli atti normativi, adunanza di sezione del 18 febbraio 2016, n. 515, secondo cui tra gli elementi della rinnovata visione della pubblica amministrazione si deve tener conto della «presa d’atto del mutato ruolo dello Stato, chiamato non solo a esercitare funzioni autoritative e gestionali, ma anche a promuovere crescita, sviluppo e competitività. Infatti, in tutti i maggiori paesi europei, le riforme amministrative del XXI secolo hanno tra gli obiettivi fondamentali sia il contenimento della spesa pubblica sia (soprattutto) quello della crescita economica e della protezione sociale».
[13] In tal senso si esprime Cons. Stato, sez. cons. per gli atti normativi, adunanza di sezione del 18 febbraio 2016, n. 515, cit. che ha affermato che «Lo schema di nuovo provvedimento ribalta l’attuale impostazione normativa in tema di trasparenza sotto un duplice profilo. Innanzitutto, riconosce al cittadino un vero e proprio diritto alla richiesta di atti inerenti alle pubbliche amministrazioni, a qualunque fine e senza necessità di motivazioni: dunque, la disclosure non è più limitata a quelle informazioni riguardo alle quali egli sia titolare di un interesse specifico e qualificato (“diretto, concreto e attuale”) idoneo a “motivare” la sua istanza di accesso, come disposto dalla legge sul procedimento amministrativo (l. 241/90). In secondo luogo, il decreto in discorso aggiunge alla preesistente trasparenza di tipo “proattivo”, ossia realizzata mediante la pubblicazione obbligatoria sui siti web di determinati enti dei dati e delle notizie indicati dalla legge (d.lgs. 33/2013), una trasparenza di tipo “reattivo”, cioè in risposta alle istanze di conoscenza avanzate dagli interessati. Il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine, cara a Filippo Turati, della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”. In dottrina, G. NAPOLITANO, La logica del diritto amministrativo, Bologna, 2017, 260 e ss. osserva che l’ordinamento italiano, tramite l’acceso civico generalizzato, affianca alla logica privatistica dell’accesso documentale, la trasparenza in funzione democratica ai fini del corretto funzionamento del sistema politico-amministrativo allineandosi, così, ai migliori standard europei e internazionali.
[14] In tal senso, si veda G. NAPOLITANO, La logica del diritto amministrativo, Bologna, 2017, 135 e ss., cit.
[15] Cfr. Delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 recante LINEE GUIDA RECANTI INDICAZIONI OPERATIVE AI FINI DELLA DEFINIZIONE DELLE ESCLUSIONI E DEI LIMITI ALL’ACCESSO CIVICO DI CUI ALL’ART. 5 CO. 2 DEL D.LGS.  33/2013 Art. 5- bis, comma 6, del d.lgs. n. 33 del 14/03/2013 recante «Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni».
[16] Cfr. Delibera A.N.A.C. n. 1309 del 28 dicembre 2016, cit.
[17] Si veda la Circolare n. 2/2017 – “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)”, cit. che al paragrafo 2.2 “Criteri applicativi di carattere generale” afferma che «dal carattere fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato e dal principio di pubblicità e conoscibilità delle informazioni in possesso delle Pubbliche Amministrazioni derivano alcune implicazioni di carattere generale che è opportuno richiamare, in quanto utili come criteri guida nell’applicazione della normativa in esame. I) il principio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo. Nei sistemi FOIA il diritto di accesso va applicato tenendo conto della tutela preferenziale dell’interesse a conoscere. Pertanto, nei casi di dubbio circa l’applicabilità di una eccezione, le amministrazioni dovrebbero dare prevalenza all’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare (v. anche Linee Guida A.N.A.C., § 2.1.)»
[18] Cfr. Nota del Presidente del Garante privacy, Antonello Soro, al Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, in tema di attuazione delle norme in materia di accesso civico – 30 maggio 2017.
[19] Parere n. 115 del 23 maggio 2019 del Garante per la protezione dei dati personali, reperibile in https://www.garanteprivacy.it/
[20] Cfr. Delibera A.N.A.C. n. 1309 del 28 dicembre 2016, cit.
[21] Nella prospettiva della tesi dell’esclusione, questa parte dell’art. 5-bis, 3°comma, se riferita esclusivamente a singoli casi sarebbe inutile e superflua, perché le situazioni specifiche sono già contemplate dai divieti di accesso e di divulgazione contenuti nella stessa disposizione. Tuttavia, riferire la causa di esclusione in commento ai singoli casi riassume significato se inquadrata nella diversa prospettiva dell’applicazione dell’accesso civico generalizzato agli atti di gara, come si sostiene in questo contributo.
[22] In tal senso, si veda il commento di ANTONIO AVINO M. a Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. I, 19 maggio 2018, n. 5583, in Urb. e app., pp. 692 e ss.
[23] Cfr. D.lgs.11 maggio 2018, n. 63 – Attuazione della direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio,  dell’8  giugno  2016,  sulla  protezione   del   know-how riservato  e  delle  informazioni  commerciali   riservate   (segreti commerciali) contro  l’acquisizione,  l’utilizzo  e  la  divulgazione illeciti.
[24] Emblematico è il caso deciso dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise, con la sentenza del 22 marzo 2018, n. 161, ove l’amministrazione aggiudicatrice non ha condotto la verifica in applicazione del concetto di segreto commerciale e, di conseguenza, ha finito per ritenere oggetto di segreto gli atti attestanti la data e il contenuto della corrispondenza intercorsa con l’impresa aggiudicataria, di conseguenza comprimendo ingiustificatamente il diritto di accesso dell’altra impresa concorrente alla gara.
[25] Cfr. DIRETTIVA (UE) 2016/943 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO dell’8 giugno 2016 sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti.
[26] In tal senso, milita anche la giurisprudenza amministrativa (Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, 7 gennaio 2015, n. 2) italiana secondo cui non può ricadere nella definizione di segreto commerciale «qualsiasi elemento di originalità dello schema tecnico del servizio offerto, perché è del tutto fisiologico che ogni imprenditore abbia una specifica organizzazione, propri contatti commerciali, e idee differenti da applicare alle esigenze della clientela. Schermare dall’accesso ognuna di queste componenti equivarrebbe alla secretazione di tutte le offerte tecniche. La qualifica di segreto tecnico o commerciale deve invece essere riservata a elaborazioni e studi ulteriori, di carattere specialistico, che trovano applicazione in una serie indeterminata di appalti, e sono in grado di differenziare il valore del servizio offerto solo a condizione che i concorrenti non ne vengano mai a conoscenza». Pertanto, «qualora la dimostrazione dell’esistenza di un vero e proprio segreto non sia fornita in modo puntuale, torna a prevalere il principio di accessibilità dell’offerta, a tutela del diritto di difesa dei concorrenti» (Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sez. III 15 gennaio 2013 n. 116).
[27] Cfr. Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, 7 gennaio 2015, n. 2
[28] Parere del 23 maggio 2019 [9124946] del Garante per la protezione dei dati personali, cit.
[29] Cfr. Delibera A.N.A.C. n. 1309 del 28 dicembre 2016, cit.
[30] Quest’orientamento rigoroso sull’accesso parziale è stato criticato da A. BERTI, in Note critiche sulla “funzionalizzazione” dell’accesso civico generalizzato, 11 maggio 2018, reperibile sul sito www.giustiziamministrativa.it, il quale ha rilevato che l’esclusione dell’accesso parziale in base al criterio della re-identificazione dei soggetti in base alle ulteriori informazioni del documento detronizza l’operatività della norma non potendo quasi mai escludersi in modo assoluto la possibilità di una “re-identificazione” dei soggetti menzionati in documento amministrativo attraverso le informazioni ivi contenute. L’Autore osserva che «questo non essere sufficiente ad escludere l’accesso parziale mediante la tecnica degli omissis, dovendo piuttosto verificarsi, caso per caso, se sia non solo “possibile, ma “altamente probabile” la re-identificazione dei soggetti, perché solo in tal caso potrà dirsi che il pregiudizio derivante dalla ostensione è “altamente probabile”. Con l’ulteriore precisazione che neppure l’alta probabilità della “re-identificazione” è di per sé sufficiente a escludere l’accesso parziale dovendo verificarsi se, nonostante detta re-identificazione dei soggetti questi ricevano effettivamente un “concreto pregiudizio».
Va dato atto, per completezza, che il Garante privacy, nel parere n. 363 del 28 agosto 2017, reperibile in https://www.garanteprivacy.it/ ha invitato l’amministrazione a valutare un accesso parziale cioè l’ostensione della dichiarazione sulla insussistenza di incompatibilità ai fini dell’assunzione dell’incarico di commissario straordinario, in una procedura di amministrazione straordinaria, con l’oscuramento dei dati personali.
[31] Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, con la sentenza 3 settembre 2014, n. 508 ha affermato che «i contrasti giurisprudenziali che possono giustificare la rimessione di cui all’art. 99, comma 1, c.p.a. – in assenza di difformi indicazioni ricavabili dalla citata previsione processuale e secondo una lettura estesa della previsione volta a valorizzare massimamente la funzione nomofilattica della Plenaria – possono essere anche quelli relativi all’interpretazione fornita dai giudici di primo grado, qualora quest’ultima si presenti disallineata rispetto a quella espressa dal giudice di appello, non imponendo la norma che il conflitto esegetico rilevante sia unicamente quello tra sezioni di tale secondo giudice».
[32] Riguardo al rapporto tra accesso civico e accesso civico generalizzato, il Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. cons. per gli atti normativi, adunanza di sezione del 18 febbraio 2016, n. 515, cit.) ha affermato che «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A) rappresenta (…) una forte implementazione della versione vigente dell’accesso civico fino ad ora limitato a mero contraltare dell’obbligo di pubblicazione di documenti, dati e informazioni (…) tanto che il comma 1 del nuovo articolo 5, che si limita a consentire l’accesso civico sui documenti da pubblicare, appare del tutto assorbito dal più ampio accesso di cui al comma 2 e può essere espunto».
[33] Si tratta della posizione di C. DEODATO, in La difficile convivenza dell’accesso civico generalizzato (FOIA) con la tutela della privacy: un conflitto insanabile?, pubblicato il 20 dicembre 2017 e reperibile sul sito www.giustiziamministrativa.it.
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