19/08/2019 – Diritto all’oblio può prevalere su vicende di cronaca passata – Secondo la Cassazione (sentenza n. 19681/2019) il giudice deve valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale all’identificazione dei protagonisti di vicende passate

Diritto all’oblio può prevalere su vicende di cronaca passata – Secondo la Cassazione (sentenza n. 19681/2019) il giudice deve valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale all’identificazione dei protagonisti di vicende passate

di Michele Iaselli – Pubblicato il 17/08/2019
In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. 

E’ quanto chiarito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza del 22 luglio 2019, n. 19681 (scarica il testo in calce).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con questa importante sentenza confermano l’orientamento giurisprudenziale favorevole al riconoscimento del diritto all’oblio, già disciplinato dal Regolamento UE n. 2016/679, laddove ovviamente ricorrano determinate circostanze.

Sommario

1. La vicenda 

2. Bilanciamento fra diritto di cronaca e diritto all’oblio

3. Il diritto di cronaca

4. Il diritto all’oblio

5. La normativa di riferimento

6. La giurisprudenza di riferimento

7. La decisione

8. Il principio di diritto 

 
1. La vicenda
Il caso di specie riguarda la pubblicazione su un quotidiano di un episodio di cronaca nera accaduto tempo fa che aveva visto il ricorrente come protagonista, in quanto responsabile dell’omicidio della propria moglie, omicidio per il quale era stato condannato ed aveva espiato dodici anni di reclusione.
La pubblicazione dell’articolo, dopo un lunghissimo lasso di tempo dall’episodio, non soltanto aveva determinato in lui un profondo senso di angoscia e prostrazione che si era riflesso sul suo stato di salute piuttosto precario, ma aveva anche causato un notevole danno per la sua immagine e per la sua reputazione, in quanto egli era stato esposto ad una nuova “gogna mediatica” quando ormai, con lo svolgimento della sua apprezzata attività di artigiano, era riuscito a ricostruirsi una nuova vita e a reinserirsi nel contesto della società, rimuovendo il triste episodio.
Il caso effettivamente è quello classico, potremmo definire “di scuola” del diritto all’oblio e nonostante questo sia il Tribunale che la Corte di Appello di Cagliari hanno respinto il ricorso dell’autore di quell’omicidio.
 
2. Bilanciamento fra diritto di cronaca e diritto all’oblio
La Suprema Corte, quindi, con il provvedimento in esame, al fine di eliminare ogni dubbio, decide di affrontare la tematica tanto discussa con la massima dovizia di particolari ritenendo opportuna addirittura un’ordinanza interlocutoria per chiarire che l’esame dei motivi di ricorso impone di affrontare il problema del bilanciamento tra il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione, e il diritto all’oblio, finalizzato alla tutela della riservatezza della persona; ed aggiunge che, in considerazione della specifica concreta vicenda, non viene in esame il problema del diritto all’oblio connesso con la realizzazione di archivi di notizie digitalizzati e fruibili direttamente on line.
 
3. Il diritto di cronaca
L’ordinanza rammenta, inoltre, che il diritto di cronaca, per pacifica e risalente acquisizione della giurisprudenza sia civile che penale, è un diritto pubblico soggettivo fondato sulla previsione dell’art. 21 Cost., che sancisce il principio della libera manifestazione del pensiero e della libertà di stampa. 
Tale diritto non è, peraltro, senza limiti, come la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto, indicando la necessità della sussistenza di tre condizioni, costituite dall’utilità sociale dell’informazione, della verità oggettiva o anche solo putativa dei fatti e della forma civile dell’esposizione, che deve essere sempre rispettosa della dignità della persona. 
Il diritto all’oblio “è collegato, in coppia dialettica, al diritto di cronaca”, posto che esso sussiste quando “non vi sia più un’apprezzabile utilità sociale ad informare il pubblico; ovvero la notizia sia diventata “falsa” in quanto non aggiornata o, infine, quando l’esposizione dei fatti non sia stata commisurata all’esigenza informativa ed abbia arrecato un vulnus alla dignità dell’interessato”.
 
4. Il diritto all’oblio
L’ordinanza interlocutoria, inoltre, osserva che il diritto all’oblio è stato oggetto di alcune recenti pronunce della Prima Sezione Civile le quali hanno riconosciuto, a determinate condizioni, la prevalenza del medesimo sul diritto all’informazione.
In particolare, l’ordinanza interlocutoria si sofferma sui principi enunciati dall’ordinanza 20 marzo 2018, n. 6919, la quale ha affermato che il diritto all’oblio può essere recessivo, rispetto al diritto di cronaca, solo in presenza di determinate condizioni, fra le quali il contributo arrecato dalla diffusione della notizia ad un dibattito di interesse pubblico, l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione, la grande notorietà del soggetto rappresentato, le modalità in concreto impiegate e la preventiva informazione dell’interessato finalizzata a consentirgli il diritto di replica prima della divulgazione.
D’altra parte, la materia è stata oggetto anche di un recente intervento della legislazione Europea, con il Regolamento UE n. 2016/679, il cui art. 17 prevede che, a determinate condizioni, l’interessato abbia diritto a chiedere la rimozione dei dati personali che lo riguardano e che siano stati resi pubblici.
 
5. La normativa di riferimento
La Corte ritiene, quindi, che sia divenuta ormai “indifferibile l’individuazione di univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto (ed ai consociati) di conoscere preventivamente i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sé relativa, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione”.

Ma nel provvedimento la Suprema Corte, al fine di esaminare la questione nella sua completezza, delinea un quadro sintetico della normativa sia nazionale che europea e quindi in primo luogo gli artt. 2, 3 e 21 della nostra Costituzione, la legge sulla stampa n. 47/1948, le norme sulla diffamazione, la legge n. 675/96, il d.lgs. n. 196/2003, il codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (emanato per la prima volta in data 29 luglio 1998 con provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali e poi in ultimo ribadito con il recente provvedimento del 29 novembre 2018 della medesima Autorità, sulla scia delle numerose modifiche introdotte dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101).  

Inoltre è da considerare anche il Testo unico dei doveri del giornalista che il Consiglio nazionale dell’ordine ha approvato in data 27 gennaio 2016, il quale contiene una serie di preziose indicazioni. Ovviamente particolare rilevanza ha assunto anche la normativa comunitaria ed in particolare l’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata nel nostro Paese con la L. 4 agosto 1955, n. 848, il quale dispone che ogni persona “ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”; l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che nel ribadire la formula del citato art. 8, sostituisce al termine “corrispondenza” quello più moderno di “comunicazioni”, mentre l’art. 8 della medesima Carta prevede il diritto di ogni persona “alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano” e dispone che tali dati siano trattati “secondo il principio di lealtà”, sotto il controllo di un’autorità indipendente. Ed anche l’art. 16 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nella versione consolidata risultante dal Trattato di Lisbona, prevede il diritto di ogni persona “alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”. 
Di recente, infine, l’Unione Europea è tornata ad occuparsi della materia emanando il Regolamento 2016/679/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che ha ad oggetto la “protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”, atto che abroga la precedente direttiva 95/46/CE e che contiene, nel suo art. 17, un preciso riferimento al diritto alla “cancellazione” (tra parentesi definito come “diritto all’oblio”).
 
6. La giurisprudenza di riferimento
Particolarmente nutrita è anche la rassegna giurisprudenziale che la Corte riporta nel provvedimento: la sentenza 9 giugno 1998, n. 5658; la sentenza 24 aprile 2008, n. 10690; la sentenza 5 aprile 2012, n. 5525; la sentenza 26 giugno 2013, n. 16111; la sentenza 6 giugno 2014, n. 12834; l’ordinanza 20 marzo 2018, n. 6919; la sentenza 22 giugno 2017 (3 agosto 2017), n. 38747. 
Si tratta di provvedimenti dove la Suprema Corte ha riconosciuto il diritto all’oblio chiarendo che il trascorrere del tempo viene a mutare il rapporto tra i contrapposti diritti; per cui, fatta eccezione per il caso di una persona che rivesta un ruolo pubblico particolare o per quello in cui la notizia mantenga nel tempo un interesse pubblico, “la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare la violazione del fondamentale diritto all’oblio”.

Non potevano ovviamente mancare riferimenti alla giurisprudenza comunitaria dove effettivamente si sono avuti casi molto noti: la sentenza 13 maggio 2014 della Corte di giustizia dell’Unione Europea (in causa C-131/12 Google Spain) oppure la pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 19 ottobre 2017.

Dopo questo ampio excursus normativo e giurisprudenziale la Suprema Corte conclude che quando si parla di diritto all’oblio ci si riferisce, in realtà, ad almeno tre differenti situazioni: quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione; quella, connessa all’uso di internet ed alla reperibilità delle notizie nella rete, consistente nell’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale (è il caso della sentenza n. 5525 del 2012); e quella, infine, trattata nella citata sentenza Google Spain della Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati.
 
7. La decisione
Il caso di specie corrisponde alla prima delle tre ipotesi suindicate e rappresenta, per così dire, un caso classico, cioè un caso connesso col problema della libertà di stampa e la diffusione della notizia a mezzo giornalistico, rimanendo perciò escluso ogni collegamento con i problemi posti dalla moderna tecnologia e dall’uso della rete internet. Si tratta cioè dell’ipotesi in cui non si discute della legittimità della pubblicazione, quanto, invece, della legittimità della ripubblicazione di quanto è stato già a suo tempo diffuso senza contestazioni.

Ai fini della soluzione del problema in esame, le Sezioni Unite ritengono di dover innanzitutto spostare la prospettiva dell’indagine rispetto all’ordinanza interlocutoria la quale, come detto, ha chiesto di indicare quale sia la linea di confine tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio. 

La corretta premessa dalla quale bisogna muovere è che quando un giornalista pubblica di nuovo, a distanza di un lungo periodo di tempo, una notizia già pubblicata – la quale, all’epoca, rivestiva un interesse pubblico – egli non sta esercitando il diritto di cronaca, quanto il diritto alla rievocazione storica (storiografica) di quei fatti. 
Ciò non esclude, naturalmente, che in relazione ad un evento del passato possano intervenire elementi nuovi tali per cui la notizia ritorni di attualità, di modo che diffonderla nel momento presente rappresenti ancora una manifestazione del diritto di cronaca (in tal senso già la citata sentenza n. 3679 del 1998); in assenza di questi elementi, però, tornare a diffondere una notizia del passato, anche se di sicura importanza in allora, costituisce esplicazione di un’attività storiografica che non può godere della stessa garanzia costituzionale che è prevista per il diritto di cronaca.
Naturalmente, sostiene la Corte, la decisione di un quotidiano, di un settimanale o comunque di una testata giornalistica di procedere alla rievocazione storica di fatti ritenuti importanti in un determinato contesto sociale e territoriale non può essere messa in discussione in termini di opportunità. Ciò che, al contrario, può e deve essere verificato dal giudice di merito è se, essendo pacifico il diritto alla ripubblicazione di una certa notizia, sussista o meno un interesse qualificato a che essa venga diffusa con riferimenti precisi alla persona che di quella vicenda fu protagonista in un passato più o meno remoto in quanto l’identificazione personale, che rivestiva un sicuro interesse pubblico nel momento in cui il fatto avvenne, potrebbe successivamente divenire irrilevante.
 
8. Il principio di diritto
Proprio alla luce delle suesposte considerazioni la Suprema Corte accoglie il ricorso ritenendo che “In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti.
Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (nella specie, un omicidio avvenuto ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale)”.

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