18/09/2018 – Ddl anticorruzione: si punta tutto sulle pene accessorie

Ddl anticorruzione: si punta tutto sulle pene accessorie

Di Giorgio Spangher – Pubblicato il 17/09/2018

 

Il Governo ha presentato il disegno di legge riguardante le “misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione”. Niente di nuovo quanto alla tecnica normativa: riforma del codice penale, del codice di procedura penale, della legge penitenziaria, della normativa sulla responsabilità degli enti, nonché di alcune previsioni del codice civile.

Le scelte della riforma vengono introdotte attraverso modifiche mirate dei dati normativi esistenti in relazione all’intera tipologia dei reati contro la pubblica amministrazione.

Niente di nuovo sul piano delle scelte penalistiche: inasprimento di alcune pene per renderle omogenee con le diverse fattispecie (art. 318 c.p. : in relazione alla corruzione per l’esercizio della funzione); ridefinizione di alcune ipotesi criminose (traffico di influenze illecite – art. 346 bis c.p. – con abrogazione del delitto di millantato credito – art. 346 c.p.); allargamento alla dimensione internazionale dei reati contro la pubblica amministrazione (funzionari europei e delle organizzazioni sovranazionali); inasprimento delle sanzioni a carico delle persone giuridiche e delle società.

Anche sotto il profilo procedurale niente di nuovo: superamento della procedibilità a querela, superamento della richiesta o dell’istanza; possibilità di procedere all’accertamento ai fini della confisca anche in caso di prescrizione dichiarata in grado di appello. Non può ritenersi una novità la possibilità di operare attraverso azione sotto copertura per l’azione di contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 9, Legge n. 146/2006.

Come già evidenziato dalla disciplina del trojan (captatore informatico) e dalla procedura di prevenzione (c.d. legge antimafia), la normativa per il contrasto dei reati contro la PA viene omologata a quella nei confronti della criminalità organizzata ed antiterrorismo.

Non può ritenersi un inedito l’argomento anche di quanto promesso, e non solo dato, nell’ammontare di quanto si dovrà versare con la condanna.

Anche la modifica delle norme sull’ordinamento penitenziario si connota nel segno della continuità: i reati contro la PA sono inseriti nel comma 4 bis legge n. 354 del 1975, con conseguente esclusione dei benefici penitenziari.

La prima significativa novità del disegno di legge è costituita da un’inedita ipotesi di una causa di non punibilità in caso di volontaria, tempestiva e fattiva collaborazione, per l’inadeguatezza dei mezzi di investigazione.

All’art. 323 ter c.p. si prevede che sia non punibile chi, prima dell’iscrizione a suo carico della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. e comunque entro 6 mesi dalla commissione del fatto, lo denunci volontariamente e fornisca indicazioni utili per assicurare le fonti di prova del reato e individuare gli altri responsabili. Deve essere, altresì, messa a disposizione l’utilità percepita o l’equivalente.

La vera novità è costituita dalla nuova disciplina delle pene accessorie del divieto di concludere contratti con la PA e dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Il convincimento che l’inasprimento delle pene non fornisca risultati apprezzabili, che gli strumenti premiali rischiano di attenuare gli effetti della condanna, che l’allungamento della prescrizione risulti di fatto irrilevante, ha convinto il legislatore ad operare sul piano delle pene accessorie ritenute, alla fine, quelle maggiormente afflittive.

L’idea di fondo è di sganciare il rapporto tra durata della condanna e durata della pena accessoria.

Si prevede al riguardo che, per i reati qui considerati, una condanna a pena superiore a due anni comporti l’applicazione perpetua delle riferite pene accessorie e che quella sotto i due anni implichi la loro operatività tra i cinque e i sette anni.

Si prevede, altresì, che in caso di riabilitazione, la perdita di efficacia della pena accessoria non possa essere disposta prima di anni dodici dalla riabilitazione.

Si prevede ancora che in caso di sospensione della pena il giudice possa disporre che la sospensione non estenda i suoi effetti alle pene accessorie.

Si prevede ulteriormente che la richiesta di patteggiamento possa essere condizionata dalla richiesta di esenzione delle pene accessorie, ma che il giudice possa rigettare la richiesta. Invero, con la sentenza di patteggiamento il giudice può applicare anche le pene accessorie.

Come è facile intuire si tratta di una significativa involuzione di segno autoritario e repressivo, giustificata da sollecitazioni internazionali, pulsioni interne legate alla ritenuta diffusività del fenomeno corruttivo, con pregiudizio del sistema democratico ed economico.

È scontato che dovendo configurarsi come strumento di “contrasto” e non di accertamento della responsabilità, si faccia riferimento all’armamentario della normativa anticriminalità e antiterrorismo.

Stratificazione delle norme, evanescenza delle fattispecie, pene spesso simboliche, ancorchè elevate, tempi lunghi per gli accertamenti, rischio di imputazioni non compiutamente sorrette dai dati probatori, pericolo di segnalazioni di fatti illeciti del tutto presunti, rischiano di accompagnare la riforma nella verifica delle aule giudiziarie.

Il processo penale è uno strumento da maneggiare con cura e la sua attivazione deve essere supportata da fatti, non da presunzioni.

(Altalex, 17 settembre 2018. Articolo di Giorgio Spangher)

(Altalex, 17 settembre 2018. Nota di Giorgio Spangher tratto da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)

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