18/07/2017 – Il Comune non può acquisire l’immobile da destinare a caserma dei carabinieri

Il Comune non può acquisire l’immobile da destinare a caserma dei carabinieri

di Michele Nico – Dirigente amministrativo di Ente locale

 

Nel vigente contesto normativo non è consentito ai Comuni utilizzare risorse pubbliche per l’acquisto di immobili da destinare a presidio fisso dell’Arma dei Carabinieri, sia per il regime giuridico restrittivo in tema di acquisizioni immobiliari, sia per il fatto che la materia dell’accasermamento rientra nelle finalità istituzionali dello Stato.

Questo l’importante principio affermato dalla Corte dei Conti, Sezione di controllo per la Basilicata, con la Delib. n. 40/2017/PAR del 14 giugno 2017 che si occupa del quesito posto da un Comune, ove la caserma dei carabinieri ha sede presso un immobile regolato da un contratto di locazione in scadenza, stante la volontà di disdetta che il proprietario ha formalmente comunicato al Ministero dell’interno.

In questo frangente la Prefettura ha chiesto al Comune di individuare soluzioni alternative, per cui l’ente interpella la Corte dei Conti riguardo all’ipotesi di acquistare un immobile da destinare a caserma per “scongiurare la delocalizzazione della Stazione Carabinieri”.

I giudici contabili, pur rammentando che la decisione in ordine all’acquisto dell’immobile rientra nell’esclusiva discrezionalità e responsabilità dell’ente locale, eseguono una ricostruzione accurata del quadro normativo in materia, giungendo a conclusioni che, nella sostanza, non lasciano margini di manovra alle decisioni del Comune.

La Sezione osserva, in primo luogo, che a partire dall’esercizio 2014 è venuto meno il divieto di procedere ad acquisti immobiliari per l’anno 2013 ai sensi del comma 1-quater dell’art. 12D.L. n. 98 del 2011, convertito in L. n. 111 del 2011.

Tale divieto, finalizzato al conseguimento di ulteriori risparmi di spesa oltre a quelli imposti dal rispetto del patto di stabilità interno, è stato in seguito mitigato e sostituito dal regime vincolato meno drastico – ma pur sempre stringente – previsto dal comma 1-bis del medesimo art. 12 suddetto.

In base a quest’ultimo disposto, a decorrere dal 1° gennaio 2014 l’acquisto di immobili può aver luogo secondo le modalità previste da un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, nonché “sulla base della documentata indispensabilità e indilazionabilità attestata dal responsabile del procedimento”, e sempre che la congruità del prezzo sia attestata dall’Agenzia del demanio.

Successivamente il D.M. 14 febbraio 2014 ha specificato che l’attestazione del responsabile del procedimento deve dimostrare che gli acquisti programmati sono nel contempo “indispensabili e non procrastinabili”.

Il decreto ha poi precisato che:

a) il requisito dell’indispensabilità attiene alla assoluta necessità di procedere all’acquisto di immobili in ragione di un obbligo giuridico incombente all’amministrazione nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali;

b) il requisito della indilazionabilità attiene “all’impossibilità di differire l’acquisto senza compromettere il raggiungimento degli obiettivi istituzionali o incorrere in procedimenti sanzionatori”.

In ogni caso, come è stato ribadito con una successiva circolare della Ragioneria generale dello Stato (n. 19 del 23 giugno 2014), occorre la sussistenza dell'”assoluta necessità” derivante dal rispetto di un obbligo di legge.

In tale cornice normativa, la Sezione Calabria tratteggia una sintesi delle condizioni necessarie per legittimare l’acquisto immobiliare da parte del Comune, e ravvisa l’esigenza che coesistano i seguenti elementi essenziali:

1) un obbligo di legge funzionale al perseguimento dei propri fini istituzionali ovvero obbligo di legge funzionale a concorrere al perseguimento di interessi pubblici generali meritevoli “di intensa e specifica tutela”;

2) la mancanza di soluzioni alternative equipollenti, in termini di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa e sana gestione delle risorse finanziarie;

3) l’indifferibilità dell’acquisto, pena la compromissione del fine perseguito ovvero la soggezione a specifiche sanzioni.

I suddetti requisiti devono sussistere ex ante rispetto alla decisione di acquisto, nonché essere comprovati e attestati dal responsabile del procedimento.

A fronte di ciò, occorre aggiungere che non sussiste una previsione di legge dia facoltà agli enti locali di procedere ad acquisti immobiliari da destinare all’esercizio delle funzioni di sicurezza della locale caserma dei carabinieri.

È perciò evidente che, in un siffatto contesto normativo, il responsabile di procedimento non potrà mai legittimamente accertare come “indispensabile ed indifferibile” un acquisto destinato ad assolvere a funzioni di sicurezza e ordine pubblico proprie dello Stato.

Appare altrettanto evidente che – rebus sic stantibus – qualsiasi accordo o convenzione interistituzionale dovrà necessariamente rispettare le distinte sfere di competenza dei rispettivi enti pubblici coinvolti, in quanto tale esigenza è imposta dalla struttura stessa dell’ordinamento giuridico e dalla gerarchia delle fonti.

In definitiva, i Comuni non possono utilizzare risorse pubbliche per l’acquisto di immobili da destinare a presidio fisso dell’Arma dei Carabinieri, non soltanto a causa del regime vincolato previsto per gli acquisti immobiliari, ma anche (e soprattutto) per la considerazione che la materia dell’accasermamento esula dalle finalità istituzionali degli enti locali, rientrando in quelle del Ministero dell’Interno.

Quest’ultimo aspetto riveste carattere dirimente e richiama una massima storica della Corte dei conti – lontana nel tempo, ma tuttora valida – a mente della quale “le competenze generali del Comune trovano un limite nelle esigenze di carattere locale e, in particolare, la capacità di intervento sul territorio dell’ente locale non può estendersi alle materie di competenza di altro ente pubblico o dello Stato e, ove ciò si verifichi, si realizza un nocumento per l’ente stesso in quanto l’utilizzo di risorse destinate per bilancio a determinate finalità, in materia difforme dalle previsioni, impedisce il perseguimento dei fini previsti ovvero la realizzazione di economie di esercizio” (Corte dei conti, Sez. I, sentenza n. 300 del 1991).

Corte dei Conti-Basilicata, Sez. controllo, Delib., 14 giugno 2017, n. 40

Art. 12, comma 1-terD.L. 6 luglio 2011, n. 98 (G.U. 6 luglio 2011, n. 155)

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