18/06/2019 – La mobilità volontaria penalizza il dipendente che ambisce alla progressioni orizzontali sia nella PA di partenza che nella PA di destinazione

La mobilità volontaria penalizza il dipendente che ambisce alla progressioni orizzontali sia nella PA di partenza che nella PA di destinazione

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
Un dipendente pubblico, transitato per mobilità volontaria presso altro comune, richiedeva al Comune di partenza e di conseguenza a quello di destinazione, di fruire della progressione orizzontale a parità degli altri dipendenti del Comune. Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte di appello negavano il diritto a tale progressione, riconoscendo non fondato l’assunto del dipendente per il quale la contrattazione decentrata, nell’escludere rilevanza all’anzianità pregressa decorsa presso enti locali diversi dal Comune interessato, ai fini della progressione orizzontale, sarebbe nulla in quanto in contrasto con le disposizioni sia del D.Lgs. n. 165 del 2001 sia dei contratti dei contratti collettivi nazionali. In particolare, secondo i giudici di appello la negazione della richiesta, e quindi l’infondatezza del ricorso, discendeva dal principio di diritto del giudice di legittimità secondo cui è ammissibile l’esclusione della rilevanza dell’anzianità maturata ad alcuni fini, ivi compreso quello della progressione orizzontale e, pertanto, legittima la disposizione di cui al contratto integrativo del Comune di provenienza che ammetteva alla progressione orizzontale solo il personale presente in servizio alla data decisa della progressione orizzontale. Non a miglior sorte è giunto il ricorrente rivolgendo il suo ricorso in Cassazione, la quale con sentenza 29 maggio 2019 n. 14687 ha dichiarato inammissibile il ricorso per l’aver il ricorrente denunciato non la violazione e falsa applicazione del contratto collettivo nazionale, ma di quello decentrato. I contratti collettivi decentrati attivati dalle amministrazioni su singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione. Il ricorso è stato, quindi, dichiarato inammissibile con conseguente addebito delle spese di lite.
Il secondo caso
La vicenda riguarda l’esclusione, disposta anche in questo caso dal contratto decentrato, da parte dei dipendenti che non avessero maturato almeno un anno di servizio presso l’amministrazione che indiceva la procedura di progressioni orizzontale. In questo caso i dipendenti esclusi, nonostante avessero maturato il pregresso servizio presso altra amministrazione per essere giunti in quella di destinazione per mobilità volontaria, si sono rivolti al giudice del lavoro al fine di far dichiarare l’illegittimità della clausola escludente, dovendo essere considerati utili anche gli anni di servizio maturati prima del passaggio alle dipendenze del Comune che aveva indetto la selezione. Il Tribunale di primo grado ha accolto il ricorso ma la cui sentenza, tuttavia, è stata successivamente riformata dalla Corte di appello. Secondo i giudici di appello il fatto che il contratto decentrato contenesse una clausola che prevedesse per i dipendenti partecipanti alle progressioni orizzontali di aver maturato almeno un anno di servizio nella posizione inferiore alle dipendenze del Comune, era giustificata dal fatto che essa si riferiva ad una quantità predeterminata di risorse economiche con diretto riscontro numerico dei dipendenti interessati alla data individuata, di qui la sua legittimità che ha giustificato il sacrificio di altri dipendenti non appartenenti al Comune a quella data individuata dalle parti sindacali e datoriali.
I dipendenti estromessi dalla progressione economica si sono rivolti in Cassazione lamentando che la Corte territoriale, nell’escludere la continuità giuridica in caso di mobilità volontaria prevista dall’art. 30D.Lgs. n. 165 del 2001, avrebbe disatteso il principio affermato dal giudice di legittimità (tra le tante Cass. civ., Sez. Unite, 10 novembre 2010, n. 22800). Inoltre, si dolgono anche di una non corretta interpretazione, fornita dalla Corte di appello, del contratto integrativo per non aver adeguatamente valorizzato che anche la precedente anzianità nella categoria rivestita dai ricorrenti avrebbe dovuto essere computata. Secondo la Cassazione (Cass. civ. ordinanza 5 giugno 2019 n. 15281) i ricorsi proposti non sono fondati. Infatti, da tempo il giudice di legittimità ha evidenziato che in tema di passaggio di lavoratori ad una diversa amministrazione, le disposizioni normative che garantiscono il mantenimento del trattamento economico e normativo, non implicano la parificazione con i dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione (tra le tante: Cass. civ. 3 agosto 2007 n. 17081Cass. civ. 17 luglio 2014, n. 16422). Infatti, la prosecuzione giuridica del rapporto, se da un lato rende operante il divieto di reformatio in peius, dall’altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore. E’ stato anche precisato che l’anzianità di servizio, di per sé non costituente un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporterebbe un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito. Nel caso specifico l’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da dipendente transitato per mobilità volontaria per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario, né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti (non delle aspettative) già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto. Pertanto, il datore di lavoro è legittimato, ai fini della progressione di carriera, a valorizzare l’esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto di lavoro. La stessa direttiva europea è orientata nel medesimo senso di quella nazionale, ossia di assicurare il mantenimento dei diritti già acquisiti dai lavoratori trasferiti e che l’anzianità maturata presso il cedente non costituisce di per sé “un diritto di cui i lavoratori possano avvalersi nei confronti del cessionario, ciò nondimeno essa serve, se del caso, a determinare taluni diritti pecuniari dei lavoratori, che pertanto devono essere salvaguardati, in linea di principio dal cessionario allo stesso modo del cedente”. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, in quanto la limitazione imposta nel contratto decentrato integrativo, nell’escludere la pregressa esperienza non svolta presso il datore di lavoro, non ha comportato un peggioramento retributivo al momento del passaggio da un’amministrazione all’altra per effetto del mancato riconoscimento dell’anzianità maturata presso il cedente, ma di una scelta delle parti collettive dell’amministrazione di destinazione di attribuire rilievo all’esperienza professionale maturata presso quel comparto e così di riconoscere la progressione economica solo in favore di quei dipendenti che entro un’indicata data avessero maturato un’anzianità di almeno un anno nella posizione economica inferiore.

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