18/01/2022 – Il disconoscimento di un atto prodotto in giudizio va effettuata con querela di falso oppure comunque in maniera puntuale

Sentenza del 09/01/2023 n. 9 – Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo Sezione/Collegio 1

Intitolazione:

Il disconoscimento di un atto prodotto in giudizio va effettuata con querela di falso oppure comunque in maniera puntuale – Sussiste

Massima:

Chi ha interesse a disconoscere un documento prodotto in giudizio, ove non formuli querela di falso (attribuita a differente giurisdizione) deve indicare in che cosa consista la difformità, non potendo operare un disconoscimento generico e vago, tanto più se incoerente con quello altrettanto generico e vago proposto in primo grado. L’assenza di tale specificazione, unitamente ad un non chiaro riferimento ai profili giuridici derivanti dalla eventuale difformità tra originale e copia ed all’evidente irragionevolezza di un deposito da parte di due Uffici pubblici degli stessi documenti contraffatti, rende l’eccezione non meritevole di accoglimento.

 

Testo:

Il signor F. impugnava l’estratto di ruolo indicato in epigrafe eccependo che le sottostanti cartelle di pagamento non gli sarebbero mai state notificate.

La commissione tributaria di Teramo, prima sezione, con sentenza n. 126/2021 del 7 / 21 giugno 2021, riuniti i tre ricorsi 148/2020, 236/2020 e 239/2020, li dichiarava inammissibili con conseguente condanna alle spese. In particolare la Commissione rilevava che “il contribuente non contesta le intimazioni di pagamento prodotte in giudizio dall’agente della riscossione all’atto della propria costituzione, limitandosi di contro a far rilevare come il ricorso sia stato notificato tempestivamente rispetto alle notifiche delle intimazioni medesime anch’esse non contestate. Ebbene, considerando che il ricorso è imperniato proprio sulla mancata notifica degli atti presupposti lamentando il ricorrente l’inesistenza giuridica della notifica degli stessi e degli avvisi di accertamento presupposti, l’assenza di valide notificazioni, la prescrizione e/o decadenza delle pretese tributarie, la documentata e non contestata esibizione delle intimazioni di pagamento pare altrettanto dirimente ai fini dell’accoglimento delle eccezioni di inammissibilità formulate dalle resistenti.

Gli atti in questione in effetti rappresentano, oltre agli avvisi di accertamento esecutivi, gli atti presupposti agli estratti di ruolo. Vero è che con ricorso introduttivo il ricorrente stende la richiesta di annullamento a tutti gli atti conseguenti e collegati ai ruoli oggetto di impugnazione diretta, ma poi, nonostante l’esibizione in giudizio delle intimazioni da parte dell’agente della riscossione, non risulta formulato alcun rilievo avverso le stesse.

Conclusivamente la mancata espressa impugnazione delle intimazioni, di cui non si contesta neanche la notificazione, determina l’inammissibilità del ricorso stesso avverso gli estratti ruolo”.

Propone appello il contribuente con atto del 21 gennaio 2022 rilevando in primo luogo in punto di rito la non contestazione della documentazione disconosciuta dal contribuente (punti 1 e 2), e quindi la nullità della sentenza “per inutilizzabilità della documentazione autoconformata dall’ente impositore” (punto 3); nel merito la nullità della sentenza per carenza di motivazione sul disconoscimento della documentazione depositata dall’agente della riscossione (punto 2); ancora la nullità della sentenza per carenza di motivazione sull’inapplicabilità dell’istituto della piena conoscenza agli atti impugnati (punto 4); ancora la nullità della motivazione sul mancato deposito delle notifiche (punto 5); erroneità del processo notificatorio (punto 6); erroneità nella liquidazione delle spese di lite (punto 7).

Si costituiscono sia l’Agenzia delle entrate di Teramo sia l’Agenzia delle entrate riscossione, le quali insistono per la correttezza del proprio operato e dunque per la conferma della decisione di primo grado.

All’udienza del 3 novembre 2022, rigettate le richieste di rinvio del contribuente perché non documentate ed ascoltate le parti presenti come da verbale, il giudizio veniva riservato a decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso in appello è infondato.

Lo stesso presenta sostanzialmente due ordini di censure, la prima riguardante la conformità della documentazione depositata dall’Agenzia delle entrate di Teramo rispetto agli originali, la seconda riguardo alle modalità di notifica degli atti cosiddetti presupposti.

Con riferimento alla prima censura la stessa è palesemente infondata, se non addirittura strumentale, in quanto colui che ha interesse a disconoscere un documento prodotto in giudizio, ove non formuli querela di falso (attribuita a differente giurisdizione) deve indicare in che cosa consista la difformità, non potendo operare un disconoscimento generico e vago, peraltro incoerente con quello altrettanto generico e vago proposto in primo grado.

L’assenza di tale specificazione, unitamente ad un non chiaro riferimento ai profili giuridici derivanti dalla eventuale difformità tra originale e copia ed all’evidente irragionevolezza di un deposito da parte di due Uffici pubblici degli stessi documenti contraffatti, rende l’eccezione non meritevole di accoglimento. 

Anche la seconda censura è infondata. Se infatti è vero che l’impugnazione di un estratto di ruolo, di per sè inammissibile, può essere compiuta quando difetta totalmente l’atto presupposto, o lo stesso non è stato regolarmente notificato, è altrettanto vero che nel caso di specie la notifica degli atti presupposti appare regolare.

Tale notifica è stata effettuata dal messo notificatore, che non ha reperito il contribuente (contribuente che dalle ricerche effettuate risulta trasferito in luogo sconosciuto), ai sensi dell’art. 60 lett. e) del DPR 600/1973, norma che impone soltanto l’effettuazione di una ragionevole ricerca da parte dello stesso messo notificare riferibile alla persona del destinatario dell’atto.

Conseguentemente, trattandosi di irreperibilità assoluta e non relativa, appare sufficiente il deposito dell’atto nella casa comunale e l’affissione del relativo avviso, non essendo necessario l’invio della raccomandata stabilito dall’art. 140 c.p.c.

Infine la questione delle spese legali, che non andrebbero liquidate in caso di soccombenza del contribuente perchè l’Amministrazione finanziaria si difende a mezzo dei propri funzionari è anch’essa infondata, in quanto la normativa prevede esclusivamente una riduzione del 20% sui compensi della tariffa forense: riduzione logicamente incompatibile ove non si dovesse applicare il principio della soccombenza.

La decisione della Cassazione 27444/2020 si riferisce ad un giudizio avanti il Giudice di pace e non è pertanto applicabile alla presente controversia.

Tutte le altre questioni, in questo ordine d’idee, possono essere assorbite. La decisione di primo grado merita pertanto piena conferma. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, prima sezione, rigetta l’appello e conferma la decisione di primo grado. Condanna l’appellante a rimborsare all’Amministrazione finanziaria la complessiva somma di euro 5.000,00= (cinquemila) oltre accessori se dovuti.

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