17/09/2016 – «Democrazia in pericolo Renzi si fermi in tempo»

«Democrazia in pericolo Renzi si fermi in tempo»

Un grido d’allarme sulla riforma della dirigenza ministeriale viene da un pezzo da novanta dell’Amministrazione dello Stato

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Un grido d’allarme sulla riforma della dirigenza ministeriale viene da un pezzo da novanta dell’Amministrazione dello Stato, Roberto Alesse, dirigente generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal 2011 al 2016 Presidente dell’Autorità di garanzia per gli scioperi nei servizi pubblici essenziali, attualmente è direttore generale degli affari generali e del personale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Il Tempo lo ha intervistato.

 

Il Governo si accinge ad approvare, in via definitiva, il decreto legislativo di riordino della dirigenza pubblica, in attuazione della legge Madia. In veste di rappresentante del Comitato dei dirigenti per la difesa degli articoli 97 e 98 della Costituzione, cosa ne pensa?

«È una riforma sbagliata da un punto di vista tecnico, perché risponde, per volontà politica, a una logica punitiva nei confronti di tutti coloro che servono lo Stato fedelmente e in modo responsabile. Se venisse approvata senza modifiche entreremmo in una fase di vera e propria emergenza democratica».

 

Perché, in primo luogo, è sbagliata sul piano tecnico?

«Perché è inapplicabile sul piano pratico. Con le nuove norme, si crea un farraginoso meccanismo di conferimento degli incarichi che incepperà tutti gli uffici della pubblica amministrazione, gettandoli nel marasma. La riforma mette i dirigenti l’uno contro l’altro e saranno i cittadini a pagarne le conseguenze, con l’erogazione di servizi ancora meno efficienti. Saranno loro la vittima sacrificale di una riforma confusa e “cattiva”. E questo ciò che si vuole?».

 

Si spieghi meglio. Perché non può funzionare?

«Ricordo a tutti che il cosiddetto “Ruolo Unico dei dirigenti dello Stato” è già esistito in passato ed è fallito miseramente, perché non si sapeva come farlo funzionare concretamente. L’idea che possa rappresentare il luogo di incontro tra domanda e offerta è irrealizzabile, oltre al fatto che si tratta di ripristinare un progetto vecchio e antistorico. In tutti i paesi avanzati le burocrazie pubbliche rispondono al principio delle alte specializzazioni. Qui da noi, invece, si vorrebbe consentire a qualche ex segretario comunale di dirigere uffici tecnici delle amministrazioni centrali, magari spedendo in periferia alcuni “reprobi”. È un’impostazione “provinciale”, che, però, nasconde il vero intento politico. Quello di fare una colossale operazione di spoil system a 360°».

 

Ne è proprio sicuro?

«Il decreto prevede incredibilmente la cancellazione automatica dei diritti acquisiti della dirigenza apicale, la quale, una volta parcheggiata, senza fare niente (con danno all’erario), all’interno del Ruolo Unico, verrà gradualmente sostituita da coloro che verranno scelti dal vertice politico di turno. È fin troppo facile immagine che, appena la riforma entrerà in vigore, sorgerà un ampio contenzioso di fronte al giudice del lavoro, alla Consulta e alla Corte di giustizia europea per lesione del principio di affidamento. Si cancellano volutamente, con effetti retroattivi, le storie umane e professionali dei civil servant, ma non sarà difficile trovare, prima o poi, un giudice a Berlino, compreso quello penale, se ci saranno storture evidenti nella selezione della nuova classe dirigente».

 

In che modo, secondo lei, la politica condizionerà le nuove nomine nei ministeri?

«L’idea, ad esempio, di far gestire, in prima fase, le selezioni dei nuovi direttori generali dello Stato a un’apposita Commissione costituita, per legge, dal Presidente dell’Autorità anticorruzione, dal Segretario generale della Farnesina, dal Ragioniere dello Stato, e così via, è la classica foglia di fico dietro la quale si nasconde la longa manus del governo, qualunque esso sia, di condizionare le nomine. C’è da chiedersi, infatti, chi nomini lor signori. La risposta è la seguente: il governo. Va da sé, pertanto, che questo sistema non offre le adeguate garanzie di imparzialità ai fini della scelta finale dei dirigenti che hanno diritto, a legislazione vigente, avendo vinto dei concorsi pubblici, a rimanere nei loro posti di lavoro, a meno che non si dimostri, prove alla mano, che hanno compiuto atti contrari ai loro doveri di ufficio. Ogni ipotesi contraria è un’avventura irresponsabile. La storia ce lo insegna».

 

Come se ne esce allora?

«Se ci fosse l’onestà intellettuale di ammettere, sia pure in articulo mortis, che è opportuno fermarsi un attimo, magari attraverso una moratoria dei termini, per riflettere attraverso un confronto libero e aperto nell’interesse esclusivo del sistema-Paese, si dovrebbe ammettere che stiamo scivolando verso una soluzione che non funzionerà e che farà perdere credibilità all’Italia. Le riforme, pure le più coraggiose, non vanno fatte contro una categoria, ma devono essere inclusive e ponderate, guardando alla stabilità dell’ordinamento che non può cambiare ogni secondo».

 

È per questo che avete dato vita a un Comitato dei dirigenti pubblici per la difesa della Costituzione?

«Sì. Tutta la dirigenza di prima e seconda fascia viene colpita da questo provvedimento in modo gratuito e viene precarizzata per rispondere, in termini elettoralistici, alle pulsioni tribali dell’antipolitica. Ma si rischia di fare l’ennesima riforma sbagliata. È falso che questo provvedimento premierà il merito. L’opinione pubblica lo deve sapere e il tempo lo dimostrerà».

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