17/03/2020 – Spunti per un’ermeneutica della Riforma del Terzo settore e dell’Impresa sociale

Spunti per un’ermeneutica della Riforma del Terzo settore e dell’Impresa sociale*
 Prof.  Andrea Fusaro – Professore ordinario di diritto privato comparato presso l’università di Genova
 
Indice. 1.Le radici della Riforma. 2.Soggettività e personalità giuridica. 3. Gli intrecci tra attività economiche ed enti non profit. 4.  L’esercizio di imprese da parte di enti a finalità non lucrativa. 5. L’ermeneutica della Riforma.
 
1. Le radici della Riforma.
L’attenzione verso le organizzazioni a scopo non lucrativo è cresciuta sulla scena giuridica occidentale a partire dagli anni settanta del secolo scorso, sulla scia dell’elaborazione nordamericana, dove quelle formazioni hanno ricevuto trattamenti fiscali di favore in considerazione della rilevanza sociale delle attività condotte rinunciando alla spartizione di utili[1]. Nel corso del successivo decennio in Italia fiorirono studi comparatistici ormai classici incentrati sull’analisi di quel modello, al fine di ricavarne indicazioni trasferibili nel nostro ordinamento, anche per aggiornare la disciplina degli enti del libro primo del codice civile. A partire dagli anni novanta quelle acquisizioni vennero recepite dalla legislazione speciale[2].
L’individuazione dei paradigmi di riferimento aggiunge la consapevolezza delle matrici culturali e tecniche delle discipline, consentendo quindi di cogliere frutti della comparazione. Intorno agli enti del libro primo si registra pertanto la stratificazione della sequela diacronica di una pluralità di modelli stranieri: dapprima il francese, incentrato sulla finalità non lucrativa, poi il tedesco, appoggiato sulla struttura[3]. Questi gli archetipi storici dell’intelaiatura della scarna regolamentazione degli enti contenuta nel libro primo del codice civile. Successivamente l’attenzione si è rivolta verso l’esperienza nordamericana, ove le no profit organizations hanno preso a catalizzare e veicolare iniziative socialmente apprezzate, perciò sono state incentivate con regole che la legislazione italiana ha mutuato negli anni novanta e duemila.
Nel nostro ordinamento il terzo millennio registra l’attuazione della sussidiarietà orizzontale[4], l’ingresso di privati nel sociale e la crescente neutralità delle forme giuridiche sia pubbliche, sia private. La considerazione dello scopo non si esaurisce nell’alternativa tra la connotazione altruistica e quella egoistica, ruota verso il grado di rilevanza sociale. Si tratta ora di consumare uno sforzo ricostruttivo per fissare le caratteristiche qualificanti il nuovo quadro e ricavarne indicazioni ermeneutiche, sia per l’applicazione dei decreti legislativi 112 e 117, sia per la prefigurazione dei termini della revisione del codice, oggetto di un disegno di legge delega[5].
L’adozione nel 2017 dei decreti legislativi 112 e 117 sull’Impresa sociale e il Terzo settore ha restituito attualità alla regolamentazione dei gruppi a scopo non lucrativo, che erano stati oggetto di specifica attenzione legislativa negli anni novanta- dal volontariato alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, fino alle associazioni di promozione sociale-, la quale aveva tuttavia inciso assai poco sul codice civile. Questa normativa speciale è stata innovata con le fonti citate, che hanno inteso dar corpo a una riforma organica, da cui il codice è ancora risparmiato[6].
Nell’ambito del Terzo Settore gli enti occupano una posizione centrale, quindi integrano uno dei segmenti della riforma meritevoli di maggior approfondimento. Il pendolo della storia giuridica registra il ritorno alla rilevanza di uno scopo qualificato, ma ora non più per accordare la giuridica esistenza (soggettività e autonomia patrimoniale perfetta), bensì per consentire l’ingresso nel recinto delle iniziative promosse. Il Decreto Legislativo 117/2017, assegnando ad associazioni e fondazioni il perseguimento di finalità di utilità sociale attraverso lo svolgimento di attività di interesse generale, affida loro compiti di interesse pubblico. Ciò ha segnato un’inversione di tendenza rispetto all’approdo della disciplina in tema di personalità giuridica, che con il d. p. r. 361/2000 si era attestata sulla sufficienza della liceità dei fini.
All’interprete compete prendere posizione circa molti profili, che trovano asse intorno alla questione del grado di specialità degli ETS rispetto alle figure del libro primo del codice. Anche in considerazione della rilevanza sociale delle finalità perseguite, spunti pregevoli possono ricavarsi da un recente contributo ove si teorizza l’edificazione di un diritto comune fondato su basi non già privatistiche, ma pubblicistiche[7], intrecciando le relative indicazioni metodologiche con la trattazione distesa degli istituti. Il volume non si esaurisce nella costruzione della sfida intellettuale, dal momento che intende riuscire adatto alla preparazione di esami e concorsi per giuristi; attraverso il proposito di fornire allo studente idee e principi guida per organizzare il diritto sostanziale privato e pubblico, amministrativo in specie, in vista del superamento delle prove, scritte e orali, è avanzata una visione originale, illustrata affiancandola a una rivisitazione critica delle nozioni e teorie correnti[8].
Sono preziosi i suggerimenti rivolti ad assecondare il trasferimento di regole e procedimenti del diritto amministrativo. La proposta riesce particolarmente appropriata rispetto all’affidamento a soggetti privati, quali sono associazioni e fondazioni, del perseguimento di obiettivi di utilità sociale, poiché consentirebbe di ovviare all’inadeguatezza del loro corredo normativo, della governance.[9]. Merita, dunque, condivisione l’invito ad estendere ad associazioni e fondazioni categorie e modelli dal diritto amministrativo, regole e modelli mutuati dal regime normativo degli enti pubblici incentrati sul procedimento; per questa via si aggiungerebbe trasparenza, si consentirebbe o comunque verrebbe agevolata la reazione nei confronti degli atti posti in essere dagli organi, e questo anche al di là delle indicazioni puntuali fornite dal legislatore delle Riforma.
Tradizionalmente l’impossibilità di ricondurre a unità diritto privato e amministrativo era argomentata anche attraverso la “paura dello Stato”- da ricondurre alla recente esperienza politica -, che tra l’altro induceva a trovare riparo nell’ambito delle c.d. società intermedie. Inizialmente il punto di contatto tra queste e la P. A. era il riconoscimento della personalità giuridica, che era di carattere concessorio ed è diventato normativo con il d.p.r. 361[10].  Uno dei criteri distintivi era la rilevanza esterna della sola attività amministrativa, anche se sono impugnabili pure molte deliberazioni di organi interni di enti privati. La legge sul procedimento ha colmato la disuguaglianza, guardando all’attività piuttosto che al soggetto. Atteso che anche l’iniziativa dei privati interferisce con interessi pubblici, occorre concentrarsi su questi anziché sui soggetti.
2. La nozione di ente contiene sia le persone giuridiche, sia gli altri centri di imputazione di diritti e doveri. Entrambi sono dotati di soggettività, ma soltanto le prime godono di autonomia patrimoniale perfetta, sinonimo di completa protezione dei membri dell’organizzazione, in particolare degli amministratori, dall’esposizione debitoria.  Con espressione icastica si è esemplificato dicendo che -nelle associazioni riconosciute e nelle fondazioni -rispetto all’associato e all’amministratore le obbligazioni dell’ente sono in posizione analoga a quelle gravanti su un altro soggetto: come i debiti del signor Rossi rispetto al signor Bianchi[11]. Tale è la condizione delle associazioni riconosciute, delle fondazioni, delle società a responsabilità limitata e quelle per azioni, ai creditori delle quali è consentito aggredire il solo patrimonio sociale.
Com’e noto, nelle società di persone verso i creditori sono esposti anche tutti i soci o alcuni soltanto, similmente nei comitati e nelle associazioni non riconosciute sussiste la responsabilità illimitata ora dei promotori del comitato, ora di quanti hanno agito in nome e per conto dell’associazione; questa è l’espressione impiegata dall’art. 38 c.c., la cui lettura è controversa tra la tesi che collega la responsabilità alla titolarità della rappresentanza dell’associazione, e quella che la riferisce all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e tradottasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi[12]. Si tratta di regole contenute nel libro primo del codice civile, che la previgente legislazione sugli enti non lucrativi – a partire dal volontariato – dava per presupposte, ben raramente riproducendole (come invece fa l’art. 22, VII comma, D. l. vo 117/17), oppure interferendo con esse[13].
L’associazione può versare nella condizione “non riconosciuta” (qualcuno preferisce “in attesa di riconoscimento”) cui, nel difetto di indicazioni legislative, è ormai assegnata la soggettività giuridica, inclusiva della capacità immobiliare[14]. E’ controversa l’estensione alle fondazioni di questa condizione, in ragione della dubbia ammissibilità – sul piano concettuale – della fondazione non riconosciuta; la tesi negativa esclude la soggettività se il perfezionamento dell’atto costitutivo non è seguito dall’iscrizione nel Registro[15].
Il beneficio dell’autonomia patrimoniale perfetta è da sempre subordinato al superamento di controlli rivolti a verificare sia la meritevolezza- o almeno la liceità – dell’iniziativa, sia l’adeguatezza della dotazione rispetto al perseguimento dello scopo prefigurato, in considerazione della circostanza che il patrimonio rappresenta l’unica garanzia per i creditori, nell’assenza di esposizione dei membri dell’organizzazione e degli amministratori; si registra qui una divaricazione tra la disciplina dettata per le società e quella riguardante le associazioni e le fondazioni. Com’è noto rispetto alle seconde la superiore variabilità delle finalità perseguibili ha per lungo tempo legittimato un controllo penetrante, sia sulla liceità sia circa la meritevolezza, ed è parsa incompatibile pure con la predeterminazione dell’ammontare minimo della dotazione patrimoniale iniziale. Sul primo fronte la situazione si è semplificata con l’entrata in vigore del d. p. r. 361/2000 che, all’art. 1, III comma, per associazioni e fondazioni ha ritenuto sufficiente il vaglio di possibilità e liceità dello scopo.
Con il d.p.r. 361/2000 sul riconoscimento delle persone giuridiche è stata, dunque, abbandonata la pretesa circa la pubblica utilità dello scopo[16], a lungo avanzata quale contrappeso alla garanzia dell’autonomia patrimoniale perfetta, all’isolamento di una porzione del patrimonio, alla immunizzazione degli amministratori da responsabilità. Il requisito, a lungo avvolto nell’incertezza, è andato annacquandosi nell’interpretazione giurisprudenziale finché il d. p.r. 361/200 ha ritenuto sufficiente la liceità, che sopravvive per le persone giuridiche in generale; esso non ha, invece, posto fine alla vaghezza delle indicazioni circa la consistenza del patrimonio che l’art. 1, III comma, pretende “adeguato alla realizzazione dello scopo”. La concretizzazione di questa generica direttiva è affidata all’Autorità amministrativa[17].
La Riforma del Terzo Settore ha innovato sia circa l’ammontare della dotazione patrimoniale, sia in ordine ai requisiti dello scopo. Sul primo fronte ha fissato soglie minime, mutuando la soluzione vigente per le società di capitali; sul secondo per gli ETS ha chiesto il perseguimento di finalità di utilità sociale.
In tema di statuti figurano scelte ora innovative, ora allineate alla sedimentazione normativa maturata a margine dei modelli offerti dal codice civile e dalla leggi speciali. Nel Codice del Terzo settore si trovano riprodotte, in particolare nell’ambito dello scopo (art.8), poi nella disciplina delle associazioni e fondazioni (artt. 20- 31), le accennate integrazioni del codice civile operate dalla giurisprudenza teorica e pratica, a partire dalla sottolineatura e articolazione normativa dello scopo di lucro, sino alla replica del modello della fondazione di partecipazione, transitando per il rinvio ad articoli dettati per le società di capitali in tema di governance, burocrazia interna, canoni di condotta dei titolari delle cariche sociali. Gli aspetti rilevanti sono molteplici. Intanto occorre segnalare che si tratta della recezione di orientamenti maturati nella vigenza di indicazioni legislative nel frattempo in parte superate. Inoltre il provvedimento in questione per un verso è dedicato congiuntamente ai profili civilistici e a quelli tributari, per altro riguarda i soli enti che operano nel sociale; esso deborda rispetto al perimetro civilistico e opera una selezione all’interno del vasto mondo degli enti senza scopo di lucro
3. La riforma del 2017 dedica attenzione anche agli intrecci tra impresa e organizzazioni a scopo non lucrativo, raccogliendo una recente, ma già corposa tradizione normativa, collegata all’intensificarsi della conduzione di iniziative commerciali da parte di associazioni e fondazioni registrato negli ultimi decenni. Il fenomeno è apparso pienamente compatibile con lo scopo non egoistico dell’ente purché i saldi attivi non vengano distribuiti tra i membri del gruppo, nondimeno ha sollecitato l’elaborazione di regole apposite, da noi identificate nell’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale, poi nell’imitazione del più articolato modello americano delle no profit organization.
Impresa e no profit sono settori comunicanti, spesso intrecciati, talora sovrapposti, sotto il profilo sia dell’attività sia dei soggetti. Per un verso, è ormai acquisita la capacità degli enti a scopo non lucrativo di gestire iniziative attività economiche e la compatibilità della loro condizione con le regole dello statuto dell’imprenditore, anche commerciale; per altro verso, l’impresa tradizionale persegue talora pure finalità non strettamente lucrative, prefiggendosi anche obiettivi di portata sociale.
La prima acquisizione rappresenta l’approdo di un dibattito che – dopo aver occupato a lungo la dottrina – sembra ormai attestato sulla posizione affermativa[18], condivisa dalla giurisprudenza[19]. La legislazione speciale ha contemplato ripetutamente l’esercizio di imprese da parte di organizzazioni a scopo non lucrativo, sollevando l’interrogativo circa la necessaria coerenza dell’attività esercitata con la specifica finalità dell’ente o – in difetto – la sua marginalità[20]. Sul terreno costituzionale si sono stagliate le questioni relative alla compatibilità con la garanzia dell’art. 18 Cost. di limitazioni all’esercizio delle attività, poi alla legittimità di trattamenti differenziati tra gli enti non lucrativi e quelli lucrativi.
L’impresa condotta da un ente senza scopo di lucro coinvolge la legalità[21] sotto profili più numerosi e diversi, talora ulteriori, rispetto all’ordinario con riguardo a una pluralità di fronti, attinenti gli oblatori, i fruitori dell’attività, i membri della formazione, le altre imprese[22]. A propria volta l’attività filantropica solleva delicati interrogativi circa la sua affidabilità in termini di continuità, qualità delle prestazioni, parità di trattamento. Sono tutti aspetti assenti, oppure diversamente inquadrati, rispetto all’impresa lucrativa. 
L’originaria preclusione italiana è stata superata anche grazie all’osservazione del modello nordamericano[23], dove gli enti a scopo non (soggettivamente) lucrativo vengono identificati come “not for profit”. Nel nostro lessico ha fatto ingresso la terminologia anglosassone, veicolo di quella cultura giuridica, nel cui ambito queste figure sono contrassegnate dal divieto di spartizione degli utili (non distribution constraint); in quel contesto tali figure hanno conosciuto una stagione di favore che è stata ricondotta al fallimento dello Stato e del mercato in certi settori- in specie sanità e servizi alla persona-, ossia all’incapacità del fruitore di valutare la qualità del servizio offerto, cosicché la mira non lucrativa del gestore rappresenterebbe un fattore atto a orientare la scelta. Con “no profit” si intende talora la preclusione alla produzione di utili (lucro oggettivo).
Negli Stati Uniti tali figure sono giuridicamente rilevanti soprattutto per il diritto tributario, nel cui ambito sono destinatarie di agevolazioni[24]. Esse sono state assegnate al Third Sector, espressione che identifica gli enti che operano e si collocano in ambiti non riconducibili né al mercato né allo Stato.
Ne è derivato impulso allo studio su indicatori ad alta componente sociale come il VAS- valore aggiunto sociale- che aspirano a compensare gli indicatori puramente economici con le performance sociali dell’impresa, non solo nel Terso settore, ma anche nella competizione tra imprese lucrative, sotto il profilo della Social Responsability[25]. Come s’è notato[26]la Corporate Social Responsability o Responsabilità Sociale d’Impresa[27] segna il passaggio dal Terzo al Quarto settore, ancorché ne sia stata denunciata l’incerta collocazione tra le regole etiche e quelle giuridiche[28].
Su questo sfondo si colloca la Società benefit, introdotta dalla legge di stabilità 2016[29], la quale all’esercizio di un’attività economica, finalizzata alla produzione di utili da dividere tra i soci, asseconda l’affiancamento di “una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse”(comma 376). Le finalità di cui al comma 376 sono indicate specificatamente nell’oggetto e sono perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento con l’interesse dei soci e con l’interesse di coloro sui quali l’attività sociale possa avere un impatto. La veste benefit si addice a ciascuna società del libro V, titoli V e VI, del codice civile, nel rispetto della relativa disciplina[30].
Il senso della società benefit si individua nella coesistenza tra missione egoistica e compiti afferenti la sfera sociale[31]; essa incarna una visione le cui radici sono risalenti nel panorama comparatistico, com’è stato puntualmente documentato[32], evocando il dibattito rispecchiato dai contributi pubblicati nel 1932 sull’Harvard Law Review da due eminenti cultori di diritto societario circa lo scopo precipuo della public corporation[33]
Il rilievo della società benefit è stato variamente inteso. Alcune voci autorevoli hanno esultato[34]. Una posizione più scettica ne ha ridimensionato la portata innovativa, considerando come sia già consentita l’introduzione di clausole altruistiche negli statuti di società lucrative, inoltre sottolineando che nelle cooperative è ammessa la mutualità esterna o di sistema; sarebbero, insomma, reperibili indici normativi concludenti nel senso della necessaria coerenza “tra il sistema degli incentivi di quanti hanno i poteri decisionali sull’ente, l’affidamento dei terzi e le regole che disciplinano la destinazione egoistica o altruistica del risultato dell’attività sociale”. L’argomento più significativo è tratto dalle disposizioni in materia di trasformazioni eterogenee, ove sono individuate regole imperative  stringenti, sottolineando che gli artt. 2500 septies  e octies attribuiscono un notevole rilievo al vincolo di non distribuzione degli utili: “si tratta di una disciplina che ben si presta a una lettura in chiave neo istituzionale nella prospettiva della teoria dei costi transattivi in relazione alla tutela dei soggetti che fanno affidamento sui vincoli statutari”, così da ritenere opposti i sistemi di lucro soggettivi e non[35]. Critiche sono state rivolte alla tesi[36] che propone quale stregua della correttezza della gestione sociale il modello normativo desumibile dalla disciplina della direzione e coordinamento ai sensi degli arti. 2497 ss c.c.. Per la disciplina della convivenza di finalità diverse si è invece suggerito il riferimento ai parametri delle azioni correlate (art.  2350, 2 c) e dei patrimoni destinati, dove è realizzato l’apprezzamento settoriale sotto il profilo del ritorno dell’attività d’impresa senza contraddire l’unitarietà del patrimonio sociale e la coerenza della gestione. Si è, tuttavia, denunciato l’assai modesto successo di entrambi gli strumenti ed è stato ricondotto alla difficile coesistenza di finalità imprenditoriali diverse, da cui trae alimento lo scetticismo circa la commistione tra finalità profit e non.
Rimane la constatazione che il potere oggi si manifesta nelle imprese, le quali pertanto devono essere governate anche con regole (quali le istanze alla parità di genere) un tempo lette solo nella dinamica del diritto pubblico[37].
4. La legislazione speciale italiana, soprattutto a partire dagli anni novanta, contempla spesso l’esercizio di imprese da parte di associazioni e fondazioni, pretendendone ora la strumentalità rispetto al perseguimento dello scopo statutario, ora la sua marginalità. La disciplina fiscale- basti citare quella sulle Onlus – ha incarnato la mutazione del modello, adottando regole sollecitate dalla preoccupazione di prevenire la replica del lucro soggettivo diffuso – in quanto tipicamente societario-, nonché dei conflitti di interesse, mentre sullo sfondo affiorano i rapporti con i patrons[38]. Si è denunciata la carenza di strumenti normativi rivolti a prevenire le distorsioni alla concorrenza[39].
Sul terreno costituzionale sono affiorate le questioni relative alla conciliabilità con la garanzia dell’art. 18 Cost. di limitazioni all’esercizio delle attività, poi alla legittimità di trattamenti differenziati tra gli enti non lucrativi e quelli lucrativi. Di fronte alla Corte sono state portate numerose questioni legate a imposizioni di vincoli statutari collegati alla concessione di incentivi, in particolare a margine della legislazione sul volontariato[40]. Perspicue analisi dottrinali[41] hanno individuato diversi modelli che variano dalla prefigurazione di statuti giuridici speciali allo stanziamento di finanziamenti pubblici[42]
Sono state considerate limitazioni scollegate da incentivi, in quanto connesse semplicemente alle iniziative intraprese: la loro legittimità è stata valutata all’interno del bilanciamento tra gli artt. 18 e 41 Cost., in ragione della riferibilità alla sfera di quest’ultimo- secondo la tesi maggioritaria- non solo dell’impresa, ma anche delle “altre forme di attività economiche produttive comunque destinate allo scambio, con esclusione soltanto di quelle erogative”[43]. La Corte ha ammonito che la libertà associativa non può consentire l’aggiramento dei vincoli posti da “particolari discipline pubblicistiche”, e ha così legittimato le medesime restrizioni all’attività che valgono generalmente. In dottrina se ne è tratto spunto per ribadire le riserve espresse nei confronti della tesi – accreditata in giurisprudenza[44] – che disapplica la disciplina commerciale nei confronti delle imprese gestite dagli enti a scopo non lucrativo per finalità strumentali, in quanto “la ragione ideologica che aveva indotto ad un trattamento di favore può ascriversi alla propensione a far coincidere la causa non lucrativa col realizzarsi d’un fine di pubblica utilità”[45].
   Allorché l’attenzione si è fermata sulle regole coniate per gli enti non lucrativi al fine di agevolarli nell’esercizio di attività economiche sono state convalidate le restrizioni finalizzate a prevenire l’impiego strumentale del modello associativo[46]. Si è puntualmente rilevato[47] che, laddove gli enti a scopo non lucrativo che conducano attività economiche vengano dispensati dal rispetto di vincoli generalmente imposti, sorgono delicati problemi di tutela della concorrenza tra imprese, in ragione della discriminazione in danno delle iniziative lucrative: invero “il confine del mercato delle iniziative riservate agli aderenti è assai labile e soprattutto suscettibile di estensione, almeno potenzialmente, all’infinito poiché la struttura aperta del contratto associativo consente di allargare a dismisura la cerchia degli aderenti” e per questa strada “aree anche estese di mercato possono essere portate all’interno dell’organizzazione associativa”[48].
   In questa prospettiva l’estraneità alla disciplina comunitaria sulla libera circolazione dei servizi rispetto alle prestazioni rese dalle associazioni ai propri iscritti[49] è stata giustificata principalmente sulla base della previsione normativa che testualmente eccettua  gli enti senza scopo di lucro, e solo subordinatamente in ragione della stretta inerenza al rapporto associativo[50]; è stata revocata in dubbio[51]la fondatezza della negazione in capo agli enti senza scopo di lucro della qualità di soggetti passivi di azioni di concorrenza sleale[52].    
 
In sede di legittimità ha trovato accoglienza la proposta rivolta all’applicazione analogica dell’art. 2201 c.c., in modo da riservare lo statuto dell’imprenditore commerciale all’ente che svolge attività di impresa in via prevalente o esclusiva[53]; le corti di merito si sono allineate, reprimendo gli abusi della personalità giuridica in particolare attraverso l’estensione del fallimento personale ai soggetti che hanno agito[54]. Per gli enti del libro primo l’iscrizione presso il Registro delle Imprese è pertanto rimasta affidata al riscontro degli estremi della commercialità, secondo i criteri dell’art. 2201 c.c., con l’inconveniente che una pubblicità – dispensatrice di certezza – rimane condizionata a presupposti di incerto rilievo[55]
Dell’assetto tratteggiato sono state denunciate incongruenze e inadeguatezze. L’assoggettabilità a fallimento rischia di ridursi a poca cosa sia nella prospettiva della tutela dei terzi, sia sul piano sanzionatorio: sul primo profilo incide l’assenza di disposizioni a presidio dell’integrità del patrimonio, che – insieme con il difetto di alcuna soglia minima di capitale iniziale – eleva il rischio di inconsistenza della massa; la situazione è, poi, aggravata dalla resistenza di molti tribunali a estendere il fallimento agli amministratori, talora pure a coloro che si trovano nella situazione descritta dall’art. 38 c.c.. Tale circostanza al tempo stesso affievolisce l’efficacia deterrente dell’assoggettabilità a procedure concorsuali, facendo corpo con la dubbia applicazione delle sanzioni penali in ragione del divieto di analogia (se si eccettua il ricorso alla figura dell’institore, per attingere alle pene appositamente comminate dalla legge fallimentare).
5. La riforma adottata nel 2017, spesso identificata con il cognome del Premier all’epoca in carica, si articola nei due decreti legislativi dedicati, rispettivamente, alla revisione della disciplina dell’impresa sociale (contrassegnato con il numero 112[56]) e al codice del Terzo settore (numero 117[57]).
Nel d. l. vo 117/2017 sono disciplinati gli Enti del Terzo Settore (E.T.S.), succedanei delle varie tipologie contemplate dalla legislazione speciale, che vengo riassorbite in essi. Trova spazio anche la gestione di realtà commerciali da parte di ETS: delle attività di interesse generale, elencate all’art 5, poche sono di pura erogazione, mentre le altre si profilano come economiche, talora espressamente qualificate commerciali (lettera o). L’art. 6 consente la connduzione di attività diverse, purché lo statuto lo preveda e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale. L’art.13, 4 comma, impone agli ETS che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale di tenere le scritture contabili; il comma successivo (quinto) prescrive loro di depositare il bilancio redatto in conformità agli artt. 2434 ss c.c..
Nell’impianto del d. l. vo 112/2017 l’impostazione dell’impresa sociale (I.S.) è ribaltata rispetto al previgente d. l. vo 155/2006: l’interesse generale è riferito direttamente all’attività, anziché alle sue finalità. Viene offerto un elenco non più di ciò che deve intendersi per utilità sociale, ma di impresa di interesse generale. L’art. 1 d. l. vo 112-2017 include tra le imprese sociali ogni ente, anche le società, che esercitano in via stabile e principale una attività di impresa di interesse generale senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche, e di utilità sociale, adottando modalità conformi alle indicazioni fornite.
Si è denunciato come la nuova disciplina abbia inteso conformare l’impresa al criterio dell’economicità, ma sia carente circa la delimitazione delle finalità rileva sul piano filologico per delimitare l’i. s.[58]. E’ stato sollevato l’interrogativo circa l’inclusione degli elementi qualificativi dell’i.s. nella ponderazione dell’azione concorrenziale per soddisfare il canone competitivo, in particolare se il tradizionale giudizio di correttezza debba essere rivisto inserendo nella formula allocativa anche le utilità diverse da quelle economiche, includendo anche il valore sociale o il benessere.
Nell’ambito del Terzo settore si postula questo supplemento di caratterizzazione dello scopo e si dettano regole più puntuali, più costrittive, della governance dell’Ente.  Com’è stato correttamente osservato, il problema di fondo degli ETS è la loro irriducibilità al regime proprio delle forme giuridiche soggettive di riferimento. Merita, dunque, di essere condivisa la proposta di far capo all’attività e ai procedimenti in cui essa si articola, assegnando rilievo alla circostanza che la medesima è al servizio di interessi generali, che oltrepassano i privati e i pubblici, mutuando regole dal diritto amministrativo, che per sua conformazione mira alla garanzia di tutti i rapporti giuridici[59], coltivando anche il tema della giurisdizione, prendendo a base l’art. 7, 2 comma, del codice del processo amministrativo[60], che pone appunto al centro il procedimento. La concretizzazione di queste direttrici rispetto all’attuazione della Riforma del Terzo Settore e dell’impresa sociale, in particolare circa la posizione degli EALS, dovrebbe condurre ad applicare alla loro azione la disciplina del procedimento amministrativo[61].
 
 Prof.  Andrea Fusaro – Professore ordinario di diritto privato comparato presso l’università di Genova
 Pubblicato il 16 marzo 2020
 
*Il presente testo riproduce l’intervento formulato alla presentazione del libro di G. P. Cirillo, “Sistema Istituzionale di diritto comune”, Cedam, 2019, presso l’Università degli Studi di Genova il 16 dicembre 2019.
 
 

[1] G. PONZANELLI, Le non profit organizations, Milano, 1985; D. PREITE, La destinazione dei risultati nei contratti associativi, Milano, 1988
[2] Con particolare evidenza nell’ambito degli artt. 10 ss. d. l. vo 460/1998, in tema di  o. n. l. u.s.
[3] Ho documentato questa circolazione di modelli nella monografia L’associazione non riconosciuta – Modelli normativi ed esperienze atipiche, Cedam, 1991
[4] Come noto, la sussidiarietà orizzontale fu promossa dalla legge 59/1997 e dalla legge 265 / 1999 (poi legge 267/2000) e ha assunto rango costituzionale attraverso la legge 3/2001, che ha modificato il titolo quinto, parte seconda, Cost, atterrando nell’art. 118, quarto comma.
[5] Disegno legge 28 febbraio 2019
[6] Sulla riforma: E. ROSSI – L. GORI, La legge delega n. 106 del 2016 di riforma del Terzo settore, in Osservatorio sulle fonti, 2016, 2, p. 23. A. ALBANESE, I rapporti fra soggetti “non profit” e pubbliche amministrazioni nel d.d.l. delega di riforma del Terzo settore: la difficile attuazione del principio di sussidiarietà, in Non profit, 2014, p. 3, pp. 153-161; S. BENVENUTI – S. MARTINI, La crisi del “welfare” pubblico e il “nuovo” Terzo settore: la via tracciata dalla legge delega n. 106/2016, in Osservatorio costituzionale, 2017, 2, p. 22; G. PONZANELLI, Terzo settore: la legge delega di riforma, in Nuova giur.civ. comm., 2017, 5, p. 726 ss.; M.V. DE GIORGI, Terzo settore. Il tempo delle riforme, in Studium iuris, 2017, p. 142; M. GORGONI (a cura di), Il codice del Terzo settore. Commento al Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, Pisa, 2018; M. CEOLIN, Il c.d. Codice del del Terzo Settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117): un’occasione mancata? in Nuove leggi civ. comm., 2018, p. 1 ss.; G. MARASÀ, Appunti sui requisiti di qualificazione degli enti del Terzo settore: attività, finalità, forme organizzative e pubblicità, in Nuove leggi civ. comm., 2018, p. 675; E. QUADRI, Il terzo settore tra diritto speciale e diritto generale, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 708; L. GORI e F. ZANDONAI, I confini del Terzo settore: una mappa costantemente da riscrivere, in Impr. Soc., 2018, n. 11; R. BRIGANTI, La Riforma della disciplina del “Terzo settore” tra sussidiarietà orizzontale e impresa sociale, in Notariato 5/2018, p. 1 ss. ; P.DE CARLI, Enti del Terzo settore: una nozione innovativa e la necessità di alcune correzioni, in Iustitia,  2018, 155 ss.; F.LOFFREDO, Gli enti del Terzo settore, Giuffré, 2018; F. Donati, F. Sanchini, Il codice del terzo settore, Giufré, 2019;  A. BUSANI, D. CORSICO, Atto costitutivo e Statuti degli enti del terzo settore, Ipsoa 2020. Segnalo anche i miei contributi: La revisione della disciplina degli Enti del libro primo del codice civile, in Riv. dir. civ. 6/2019, p. 1358 ss.; Attuazione o correzione della riforma degli enti del terzo settore? in Pol. Dir., 4/2019, pp. 673 ss.; Le fondazioni tra gli Enti del Terzo Settore, in Il diritto ecclesiastico, n. 1-2/2019, pp. 1 ss.
[7] G. P. Cirillo, Sistema Istituzionale di diritto comune, Cedam, Padova, 2019.  
[8] “Il diritto amministrativo non si rassegna a diluirsi nel diritto privato, ma aspira a diventare il nuovo diritto comune dei rapporti giuridici complessi”: G. P. Cirillo, Sistema Istituzionale di diritto comune, cit., p.2
[9] Basti pensare all’incertezza che avvolge il regime di formazione della volontà del consiglio di amministrazione delle associazioni e delle fondazioni, specialmente quanto al regime della reazione nei confronti delle delibere degli organi amministrativi o direttivi, su cui si segnalano i contributi di P. FERRO-LUZZI, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge e all’atto costitutivo, Milano, 1993, nota 181, p. 191; A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, p. 98 e ss.. Nel senso che la controversia in ordine alla nomina, decadenza, revoca di amministratori di fondazioni è devoluta al giudice ordinario si è pronunciato Cons. Stato, Sezione quarta, 29 aprile-17 giugno 2003, n. 3405, al termine di un lungo contenzioso del cui avvio aveva dato atto già A. ZOPPINI, Problemi e prospettive per una riforma delle associazioni e delle fondazioni di diritto privato, in Riv. dir, civ, 2005, 365 ss. Circa l’impugnazione di delibere di associazioni riconosciute si segnala Trib. Roma, 23 febbraio 2015, n. 4233, in Il Caso.it.
[10] Anticipato dell’abrogazione degli artt. 17, 600, 786 c.c. per opera della legge 127/1997, che altresì ha determinato la soppressione del parere del Consiglio di Stato.
[11] F. Galgano, Delle Persone Giuridiche, Comm. al codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1969, p. 249; id., Le associazioni, le fondazioni, i comitati, in I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, 2, Padova, 1987, p. 113 ss.
[12] Per Cass., sez. III civile, 29. 12. 2011, n. 29733: “Nell’associazione non riconosciuta la responsabilità personale grava esclusivamente sui soggetti, che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, attesa l’esigenza di tutela dei terzi che, nell’instaurazione del rapporto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti, non potendo il semplice avvicendamento nelle cariche sociali comportare alcun fenomeno di successione del debito in capo al soggetto subentrante, con l’esclusione di quello che aveva in origine contratto l’obbligazione. Ne consegue che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile tra le garanzie ex lege assimilabile alla fideiussione, con conseguente applicazione dei principi contenuti negli art. 1944 e 1957 c.c.”. Per Cass., sez. III civile,  25. 8. 2014, n. 18188: “La responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38, secondo comma, cod. civ. per colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente”.
[13] Questo era accaduto per le Associazioni di Promozione Sociale con l’art. 6, II c, legge 383/2000 il quale aveva introdotto il carattere sussidiario della responsabilità di coloro che avessero agito in nome e per conto dell’associazione, previsione che risulta abbandonata dalla riforma in esame.
[14] L’art. 2659, I comma, n. 1, cod. civ., introdotto dalla legge 52/1985, ha incluso le associazioni non riconosciute tra i soggetti della pubblicità immobiliare.
[15] Al’interno delle disposizioni testamentarie riguardanti una fondazione occorre distinguere se esse la creano- magari invitano a darvi vita – dotandola del patrimonio, oppure effettuano attribuzioni a una fondazione preesistente. Nel primo caso si configura in pari tempo costituzione e dotazione patrimoniale inscindibilmente connesse. Nel secondo, invece, sussiste un lascito a un ente autonomo, il quale deve già esistere al momento in cui si apre la successione, in ossequio alla regola generale dell’art. 462 c.c., salvo equiparare al concepito la condizione della fondazione di cui alla morte del decuius era già stato redatto l’atto costitutivo, ancorché non fosse ancora intervenuta l’iscrizione. In tema rinvio a quanto esposto nel contributo, pubblicato con Guido Alpa, La costituzione di fondazione, in G. Bonilini (dir.), Trattato di diritto delle successioni e donazioni, II, Giuffré, Milano 2009.
[16] Rinvio al contributo preparato con G. Viotti, Commento all’art. 1 d.p.r. 361/2000, Procedimento per l’acquisto della personalità giuridica, in M.V. De Giorgi – G. Ponzanelli – A. Zoppini, Il riconoscimento delle persone giuridiche, Ipsoa, Milano, 2001, p. 41 ss..
[17] La quale, ai sensi dell’art. 1, quinto comma, d. p. r. 361/2000, entro centoventi giorni -centottanta in ipotesi di integrazioni- deve provvedere all’iscrizione nel Registro (regionale o prefettizio), che attribuisce appunto la personalità giuridica
[18] Il dibattito ha ricevuto numerosi riepiloghi, tra cui si segnalano quelli di G. Ponzanelli, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, Torino, II ediz., 2000, 177 ss.; M.V. De Giorgi, Fondamenti di diritto degli “enti non profit”, Padova, 1997,  90 ss.; F. Galgano, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, Padova, II ediz., 1996, 24 ss.; A. Barba, Associazione, fondazione e titolarità di impresa, Napoli, 1996, 43 ss.; A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, 164 ss.; A. Fusaro, L’associazione non riconosciuta. Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova, 1991, 249 ss.. Fuori dal coro si è collocato R. Di Raimo, Associazioni non riconosciute. Funzione, disciplina, attività, Napoli, 1996, 148 ss.
[19] Gli itinerari giurisprudenziali meno recenti furono ripercorsi da V. Giarmoleo, Attività commerciale ed enti non profit, Padova, 2003.
[20] Rinvio al mio saggio I modelli imprenditoriali nella legislazione del terzo settore, in Riv. crit. dir. priv., 2002, 299.
[21] Lo statuto delle imprese- legge 11.11.2011, n.180 – all’art.2 tra i principi generali fissa il “riconoscimento e la valorizzazione degli statuti delle imprese ispirati a principi di legalità, solidarietà e socialità”(1 comma, lett. p).
[22] F. Rigano, La tutela della “corretta” concorrenza fra associazioni non lucrative e imprese, in Giur. Cost, 1994, 400
[23] Segnalo ancora un mio lavoro Le organizzazioni a scopo non lucrativo nella Law and Economics, in Contr. Impr., 2017, p. 57 ss.
[24] Tale panorama è stato illustrato da PONZANELLI, Le non profit organizations, cit; PREITE, La destinazione dei risultati nei contratti associativi, cit.
[25] Rapporto Iris Network L’impresa sociale in Italia a cura di P. Venturi e F. Zandonai
[26] M. Stella Richter, Corporate Social Responsibility, Social Enterprise, Benefit Corporation: magia delle parole? in Vita not., 2017, n.2, p. 953 ss.
[27] Nel volume curato da G. Conte, La responsabilità sociale dell’impresa. Tra diritto, etica ed economia, Laterza, 2008, sono raccolti parecchi saggi, tra cui si segnala quello di G. Alpa, Dalla riforma degli enti non profit alla nuova disciplina dell’impresa sociale e la nota conclusiva di G. Oppo
[28] G. Oppo, Una nota conclusiva sulla responsabilità sociale dell’impresa, in G. Conte, La responsabilità sociale dell’impresa. Tra diritto, etica ed economia, cit.
[29] Legge 28. 12. 2015 n. 208, commi 376-384
[30] “Ai fini di cui ai commi da 376 a 382, si intende per: a) «beneficio comune»: il perseguimento, nell’esercizio dell’attività economica delle società benefit, di uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi, su una o più categorie di cui al comma 376;  b) «altri portatori di interesse»: il soggetto o i gruppi di soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, dall’attività delle società di cui al comma 376, quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione e società civile;  c) «standard di valutazione esterno»: modalità e criteri di cui all’allegato 4 annesso alla presente legge, che devono essere necessariamente utilizzati per la valutazione dell’impatto generato dalla società benefit in termini di beneficio comune; d) «aree di valutazione»: ambiti settoriali, identificati nell’allegato 5 annesso alla presente legge, che devono essere necessariamente inclusi nella valutazione dell’attività di beneficio comune.”(comma 378)
[31] Si staglia, quindi, la connessione con la Responsabilità sociale d’impresa, riguardante le implicazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa: una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività.
[32] Riepilogo ne è stato operato da L.A. Stout, Bad and Not-so-Bad Arguments for Shareholder Primacy (2002). Cornell Law Faculty Publications, 448, in Southern California Law Review, vol. 75, no. 5 (July 2002).
[33] Da un lato Adolph A. Berle, Jr., Corporate Powers as Powers in Trust, in Harvard Law Review Vol. 44, No. 7 (May, 1931), p. 1049 ss. Bearle fu coautore del classicoThe Modern Corporation and Private Property, i riferimenti al quale ormai riguardano la seconda edizione: AA Berle and GC Means The Modern Corporation and Private Property (2 ediz. Harcourt, Brace and World, New York 1967). Bearle parteggiava per quella che attualmente è definita “shareholder primacy”, la visione per cui la corporation esiste solo per fruttare denaro agli azionisti. Icastica l’espressione secondo cui “tutti i poteri assegnati a una corporation o ai suoi amministratori… o a qualsiasi altro organo o comitato al suo interno. … [are] at all times exercisable only for the ratable benefit of all the shareholders as their interest appears.”. Dall’altro lato E. Merrick Dodd, Jr., For Whom Are Corporate Managers Trustees?, in Harvard Law Review Vol. 44, No. 7 (May, 1931), pp.1145 ss.  portatore della concezione secondo cui “le attività di impresa sono permesse e incoraggiate dalla legge perché sono un servizio alla società piuttosto che fonte di profitto per i suoi proprietari”
[34] Per tutte quella di L. Bruni, S. Zamagni, L’economia civile, Il Mulino, 2015, in particolare S. Zamagni secondo cui “dopo quasi ottant’anni, le B Corporation realizzano l’intuizione vincente del celebre giurista americano”, alludendo a Dodd, cosicché “si tratta ora di non demordere, non prestando ascolto a falsi maestri”
[35] A. Zoppini, Un raffronto tra società benefit ed enti non profit: implicazioni sistematiche e profili critici, in Orizzonti del diritto commerciale, 2017, n. 2
[36] Circolare Assonime, 20 giugno 2016, n. 19
[37] A. Zoppini, Un raffronto tra società benefit ed enti non profit, cit.
[38] Avevo offerto un primo commento in Gli enti non commerciali secondo il decreto legislativo 4. 12. 1997, n. 460, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1999, II, 291, p. 6 ss.
[39] In termini F. Rigano, La tutela della “corretta” concorrenza fra associazioni non lucrative e imprese, in Giur. Cost., 1994, 391
[40] Accurata rassegna critica fu offerta da G. Parodi, La l. n. 266 del 1991 del 1991come legge di principio, in Regioni,, 1993, 102
[41] F. Rigano, La libertà assistita. Associazionismo privato e sostegno pubblico nel sistema costituzionale, Padova, 1995, spec. cap. I, nonché G. Gemma, Costituzione ed associazioni: dalla libertà alla promozione, Milano, 1993
[42] F. Rigano, La tutela, cit., 392; G. Napolitano, Le associazioni private “a rilievo pubblicistico”, in Riv. crit. dir. priv., 1994, 583
[43] F. Rigano, La tutela, cit., 401, il quale riporta adesivamente la tesi di A. Baldassarre, Iniziativa economica privata, in Enc. dir., 1971, vol. XXI, 588, nonché di M. Luciani, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1983, 12 ss. e voce Economia nel diritto costituzionale, in Dig. disc. pubbl., vol. V, Torino, 1990, 380. Diversamente altri circoscrive l’art. 41 Cost. all’impresa: V. Spagnuolo Vigorita, l’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli, 1959, 71 ss
[44] A partire dalla sentenza guida Cass. 9 novembre 1979, n. 5770, in Foro it., 1980, I, 363
[45] A. Zoppini, Enti non profit ed enti for profit: quale rapporto?, in L. Bruscuglia ed E. Rossi (cur.) , Terzo settore e nuove  categorie giuridiche:le organizzazioni non lucrative di utilità sociale. Aspetti giuridici, economici e fiscali. Atti del convegno di Pisa, 27- 28 marzo 1998, Milano, 2000, 157 ss., spec. p.159, il quale segnala come lo stesso W. Bigiavi, La professionalità dell’imprenditore, Padova, 1948, p. 86 ss. argomentasse l’applicazione estensiva dell’art. 2201 c.c. sulla base della presunzione del perseguimento di fini di pubblica utilità, quindi contando sull’eterodestinazione del risultato.
[46] Altro è la loro previsione ad opera della legislazione regionale, che – come è stato sottolineato – vulnera l’omogeneità della disciplina del settore: F. Rigano, La tutela, cit., 405; nonché M. Atelli, Associazioni private a scopo di turismo sociale e rapporto associativo “sulla fiducia” in una recente sentenza della Corte Costituzionale, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 535, il quale stigmatizza il criterio dell’anzianità di iscrizione in quanto riferito soltanto alla fruizione dei sevizi turistici, non al complesso dei diritti endoassociativi, suggerendo piuttosto l’introduzione di una simmetria, quale adottata dal legislatore a proposito del diritto di voto nell’assemblea delle società cooperative (attualmente art. 2538, I c., c.c.).
[47] A. Zoppini, Enti non lucrativi, cit., p. 161
[48] F. Rigano, Le associazioni non lucrative a confronto con la disciplina comunitaria del mercato, in Giur. Cost., 1997, 3542, spec. p. 3547
[49] Affermata da Corte Cost. 365/97, cit
[50] F. Rigano, Le associazioni non lucrative, cit., p.3548
[51] A. Zoppini, Enti non profit, cit., p. 159.
[52] Talora professata in giurisprudenza: Trib. Grosseto, 15 ottobre 1985, in Riv. giur. circol. trasp., 1985, 793, Pret. Torino, 26 novembre 1996, in Riv. dir. ind., 1995, II, 99, con nota di G. Tincani; ma respinta da Trib. Roma, 21 dicembre 1988, in Riv. dir. ind., 1990, II, 38, con nota di G. Tassone.
[53] Cass. 9 novembre 1979, n. 5770; Cass. 18 settembre 1993, n. 9589, in Giust. civ. 1994, I, 65, Dir. fall. 1994, II, 436, Foro it. 1994, I, 3503
[54] Trib. Milano 16.7.1998 ha dichiarato il fallimento diretto nei confronti dei soggetti che agirono utilizzando la fondazione quale schermo per la limitazione della responsabilità; Trib. Milano 22.1.1998 ha configurato un’associazione tra i soggetti che operarono spendendo il nome della fondazione, assoggettandoli a fallimento in proprio
[55] Come avevo a suo tempo illustrato nel saggio Le associazioni imprenditrici e il registro delle imprese, in Contr. Impr., 1995, 617
[56] D. L. vo 3 luglio 2017 n. 112, Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’articolo 2, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106. (17G00124) (GU n.167 del 19-7-2017)
[57] D. l. vo 3 luglio 2017, n. 117, Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106
[58] G. MEO, Impresa sociale e valori d’impresa, in Riforma del c.d. Terzo Settore, Quad. Fond. Not., 2017, p.59
[59] P. Cirillo, Sistema Istituzionale di diritto comune, cit., p.3
[60] Art. 7, comma 2, Codice del processo amministrativo approvato con il Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 aggiornato con le modifiche apportate dal D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 giugno 2019, n. 55: “Per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo.”
[61] Ciò potrebbe tradursi nella generale impugnabilità delle deliberazioni di organi interni non solo quando incidano direttamente su posizioni private, ma pure qualora siano prodromiche, secondo la logica dell’atto presupposto
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