16/11/2017 – Legittimo il diniego del rimborso delle spese legali in caso di assoluzione in sede penale in presenza di un conflitto di interessi

Legittimo il diniego del rimborso delle spese legali in caso di assoluzione in sede penale in presenza di un conflitto di interessi

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

 

I fatti di causa riguardano l’assoluzione di un dipendente pubblico, benché non contrattualizzato ma i cui principi sono estensibili anche al pubblico impiego privatizzato, assolto dal giudice penale perché il fatto non sussiste. Il processo era stato attivato per il reato di concussione, avendo riscontrato in casa dell’indagato una serie di apparecchi elettronici (un computer e due cellulari) considerati dazione per l’esercizio delle attività espletate dal pubblico dipendente. Il Tribunale aveva, invece assolto il dipendente, in quanto veniva appurato che il possesso dei predetti apparecchi era giustificato dal fatto che gli stessi provenivano dal fratello della persona che aveva trattenuto rapporti di ufficio con il dipendente, il quale possedeva un grosso supermercato di elettrodomestici, avendoli per tale fatto potuti acquistare ad un prezzo ribassato.

A fronte dell’assoluzione avvenuta, il dipendente richiedeva il rimborso delle spese legali sostenute, ma l’Amministrazione negava il rimborso in quanto si trattava di attività di natura prevalentemente privata e non istituzionale dei rapporti tra il ricorrente e la sua querelante, emergendo una situazione di conflitto di interessi tra il dipendente e l’amministrazione datrice di lavoro. In presenza di un conflitto di interessi, il costante orientamento della giurisprudenza esclude la ripetibilità delle spese legali sostenute dal dipendente.

A fronte del citato diniego ricorre il dipendente innanzi il Tribunale amministrativo, in considerazione dell’obbligazione da parte della PA di tenere indenni i pubblici dipendenti dalle spese legali sopportate in connessione con le attività di servizio.

Le motivazioni dei giudici amministrativi

Evidenzia il Collegio amministrativo, in via preliminare, come il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente, nei giudizi di responsabilità civile, penale e amministrativa, sono rintracciabili nelle disposizioni legislative di cui all’art. 18D.L. 25 marzo 1997, n. 67secondo cui “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato“. Le citate disposizioni legislative sono poi state trasfuse nei vari contratti collettivi.

Precisato il riferimento legislativo, i giudici amministrativi di prime cure precisano alcuni principi civilistici, rintracciabili nelle obbligazioni che legano il mandante al mandatario (art. 1720 c.c.), tanto da giustificare la non rimborsabilità delle spese legali in presenza di un conflitto di interessi tra dipendente e pubblica amministrazione. Inoltre, evidenziano come:

– Il presupposto per il riconoscimento del beneficio delle spese sostenute da un dipendente assolto è l’avvenuto pagamento delle somme delle quali è previsto il rimborso;

– Una volta effettuato il pagamento di cui il dipendente ne chiede alla propria Amministrazione il rimborso, va verificato se esista o meno una necessaria e diretta correlazione fra comportamento e status di pubblico dipendente e fra questi ed il giudizio di responsabilità civile, penale o amministrativa e quello della mancanza di situazioni di interessi contrapposti. In altri termini, l’istituto del rimborso delle spese legali è inapplicabile laddove i fatti per i quali il dipendente sia stato inquisito (e poi assolto) siano ricollegabili alla sua vita di relazione e alle sue motivazioni private, rispetto alle quali lo “status” di pubblico dipendente si pone in termini di strumentalità, di mera occasionalità od opportunità, piuttosto che in termini di diretto e necessario svolgimento delle sue funzioni e mansioni istituzionali. L’ambito di tale strumentalità è rintracciabile, quindi, nel nesso diretto tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto o della condotta che hanno portato al giudizio di responsabilità, nel senso che il dipendente pubblico non avrebbe assolto ai suoi compiti se non ponendo in essere quel determinato atto o quella determinata condotta.

Effettuate le citate precisazioni il Collegio amministrativo esclude che l’amministrazione avrebbe dovuto procedere al rimborso delle spese legali, non avendo il dipendente dato prova o allegato l’avvenuto pagamento al suo difensore delle somme di cui si chiede il rimborso. In ogni caso, anche nel caso in cui il ricorrente avesse allegato il citato pagamento, lo stesso non avrebbe potuto beneficiare di tale rimborso in quanto nel caso di specie si è in presenza di un conflitto di interessi con la propria amministrazione, oltre alla mancanza di strumentalità diretta del coinvolgimento nel giudizio di responsabilità penale nello svolgimento dei suoi compiti istituzionali. I fatti oggetto del procedimento penale riguardano, infatti, situazione che trovano la loro giustificazione al di fuori del rapporto di servizio con l’amministrazione, dove lo status di dipendente è solo l’occasione che ha visto coinvolto il dipendente con la querelante. Nel caso di specie il dipendente chiede il rimborso delle spese sostenute a fronte della frequentazione avuta con la querelante al di fuori dello svolgimento di attività e prestazioni istituzionali, per concludere affari privati a prezzi di favore.

Conclusioni

Il ricorso, pertanto, va rigettato in quanto non risulta dovuto alcun rimborso delle spese legali a fronte dei comportamenti posti in essere dal ricorrente, essendo gli stessi preordinati a soddisfare interessi prettamente personali di carattere economico, ciò che esclude del tutto da ogni funzione o mansione riferibile al rapporto di servizio, ponendosi, anzi, in aperta collisione con l’interesse all’immagine, al buon nome e all’affidabilità dell’amministrazione di appartenenza. Rispetto a tali comportamenti, lo status di pubblico dipendente ha rappresentato solo l’occasione e lo strumento per indurre una cittadina a favori di carattere patrimoniale ed esclusivamente privato.

T.A.R. Toscana, Sez. I, 10 novembre 2017, n. 1369

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