16/05/2023 – Incarichi di “assistenza” consentiti dalla Corte dei conti ai pensionati: una nuova frontiera della complicazione

Incertezze sugli incarichi consentiti per il personale pubblico in quiescenza. Il parere della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, 3 maggio 2023, n. 88, non coglie l’obiettivo di chiarire quali siano le attività che risulti possibile assegnare ai pensionati.

La Sezione compie una corretta ricognizione di ciò quanto non sia permesso assegnare ai pensionati, in applicazione dell’articolo 5, comma 9, del d.l. 95/2012, richiamando due circolari della Funzione pubblica:

  1. la circolare 4 dicembre 2014, n. 6, vieta:
    1. incarichi di studio e di consulenza,
    2. incarichi dirigenziali o direttivi,
    3. cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati.
  2. La circolare 10 novembre 2015, n. 4, che integra le indicazioni della precedente, aggiunge:
    1. collaborazioni e incarichi attribuiti ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165,
    2. collaborazioni e incarichi attribuiti ai sensi dell’art. 90 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Lo spettro degli incarichi vietati, quindi, riguarda tre sottoinsiemi:

  1. collaborazioni:
  1. finalizzate allo studio di particolari questioni, allo scopo di produrre per l’ente l’esito della ricerca, consistente in un lavoro di elaborazione dei dati e delle informazioni oggetto dello studio, con eventuali proposte operative;
  2. alla consulenza, che consiste, come noto, nell’esame di specifici casi operativi, allo scopo di produrre un parere circostanziato, contenente le ragioni in base alle quali poter scegliere di adottare una tra le possibili soluzioni legittime;
  1. cariche di governo: tutte vietate;
  2. incarichi nell’ambito di uffici di staff agli organi di governo, tutti vietati.

Le fattispecie ai numeri 2 e 3 dovrebbero apparire sufficientemente chiare. Invece, per quanto riguarda gli incarichi di studio e consulenza, manca una precisa loro definizione, sebbene l’attenta lettura della ormai sterminata giurisprudenza della magistratura contabile, tanto in sede di controllo quanto di giurisdizione, dovrebbe costituire validissimo supporto alla comprensione della fattispecie.

Ci si può limitare ad aggiungere che gli incarichi di collaborazione, in quanto tali, non debbono mai avere per oggetto la diretta definizione di procedure, con connessa quindi adozione di provvedimenti incidenti sulla sfera giuridica di terzi; il “prodotto” finale degli incarichi di studio o consulenza è, come evidenziato sopra, un rapporto, appunto uno studio, una relazione o un parere. Si tratta, cioè, di prodotti “intermedi” destinati non ad incidere sulla sfera giuridica di terzi come fossero atti negoziali e finali di procedimenti, ma rivolti, invece, agli organi della PA, competenti ad adottare le decisioni finali, che se ne avvalgono a fini di approfondimento dell’istruttoria.

Stando così le cose, non può considerarsi esaustivo e convincente il passaggio del parere della Sezione Lazio, ove si afferma che “le attività consentite per gli incarichi si ricavano a contrario, dovendosi le situazioni diverse da quelle elencate non essere ricomprese nel divieto di legge. Se il divieto riguarda l’attività di “studio e quella di consulenza”, infatti, può ritenersi consentita quella di “assistenza” nei limiti in cui si diversifica dalle altre due: assistenza che non comporti studio e consulenza, ossia attività caratterizzata, in negativo, dalla mancanza di competenze specialistiche e che non rientri nelle ipotesi di contratto d’opera intellettuale di cui agli artt. 2229 e ss. del codice civile (Sez. reg. contr. Basilicata, n. 38/2018/PAR; Sez. reg. contr. Lombardia, n. 126/2022/PAR)”.

La Sezione rimane generica e laconica: la motivazione appare affetta dal vizio della tautologia, che spesso la magistratura, contabile ed amministrativa, imputa ai provvedimenti delle PA: il vizio, cioè, della motivazione solo apparente, contenente un ragionamento il cui esito è ripetere, con parole diverse, il concetto che dovrebbe esplicitare.

Non v’è dubbio: sono consentiti gli incarichi non espressamente vietati. Sarebbe, però, uno sforzo definitorio, per non lasciare adito ad equivoci e zone grigie.

Ritenere possibile l’inusitata attività di “assistenza”, purché non si traduca in attività di studio o consulenza, davvero vuol dire ben poco, se non dà contenuto a tale assistenza. In cosa consiste? Nel portare la borsa, fare il caffè? Oppure, uscendo dall’ironia, nel tenere l’agenda, archiviare atti, compiere attività istruttorie od operative non richiedenti particolari competenze? Ma, allora, l’oggetto del contratto come potrebbe considerarsi definibile e rispettoso dei vincoli imposti dall’articolo 7, commi 5-bis e seguenti, del d.lgs 165/2001? Oppure, come una simile assistenza potrebbe essere riferita a competenze eccedenti quelle ordinarie, o non rientranti necessariamente tra quelle che l’ente deve garantirsi e “procacciarsi” nel modo corretto e lineare, cioè facendo fronte ai fabbisogni ordinari assumendo il personale necessario?

Le funzioni di “assistenza” molto difficilmente possono qualificarsi come di quel livello di specializzazione minimo imposto dal già citato articolo 7 del d.lgs 165/2001.

L’elemento sul quale il parere della Sezione Lazio appare convincente discende dalla lettura del seguente passaggio: “varie pronunce della Corte (Sez. contr. Basilicata, n. 38/2018; Sez. contr. Liguria, n. 60/2022 e Sez. contr. Lombardia, n. 126/2022) concordi nel ravvisare la ratio del divieto nel duplice obiettivo di favorire il ricambio generazionale nell’amministrazione e di conseguire risparmi di spesa”.

Ecco: nell’auspicare che gli incarichi ai pensionati nella PA siano una volta e per sempre eliminati, sarebbe opportuno interpretare le norme in modo rigoroso e restrittivo. Incaricare pensionati, in una PA funestata da decenni di tetti alle assunzioni e da un’età media dei propri dipendenti poco oltre i 50 anni, va esattamente contro l’obiettivo del ricambio generazionale, per altro oggetto espresso degli ultimi interventi di riforma di questi anni.

Consentire generici incarichi di “assistenza”, senza alcuno sforzo definitorio, non aiuta certo alla chiarezza e al conseguimento degli obiettivi del Legislatore.

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