16/04/2019 – La storicità del diritto

La storicità del diritto

Prof. Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente di sezione del Consiglio di Stato

Pubblicato il 13 aprile 2019

1- Il libro IV della ‘Scienza nuova’ di Giambattista Vico ha ad oggetto la teoria del ‘corso che fanno le nazioni’ e costituisce lo svolgimento dei principi e dei criteri elaborati nella prima parte dell’opera, in base ai quali è possibile avere vera conoscenza solamente di ciò che si fa, ossia del mondo fatto dagli uomini e quindi della storia dell’umanità. Vico va alla ricerca di tutte le forme della mente umana che si realizza e si svolge in maniera ordinata nel tempo umano. Essa viene a determinarsi come ‘storia ideale eterna’, riferendosi alle determinazioni dell’ordine in cui si succedono le forme della civiltà.

La storia ideale eterna viene ripartita nelle famose tre età: la prima degli dei, la seconda degli eroi e la terza degli uomini.

Nel mondo della storia pensiero ed azione coincidono. Pertanto si può stabilire che nella sfera della conoscenza l’uomo passa dal ‘sentire senza avvertire, dall’avvertire con animo perturbato e commosso; infine dal riflettere con mente pura’. Tutte le manifestazioni della vita si conformano a questi tre tipi sociali. Viene così a delinearsi una storia universale ripartita in tre epoche fondamentali, caratterizzate da tre specie di natura: divina eroica umana. Da queste tre nature scaturiscono tre specie di costumi, e da questi emergono tre specie di diritti e di governi; a codeste serie corrispondono tre specie di lingue e di scritture, tre specie di autorità, di ragioni, di giudizi.

È stato notato come Vico insista troppo sulla ‘regola del tre’ e da qui si è dubitato che fosse accettabile una tal teoria della filosofia della storia.

Tuttavia la classificazione, per quanto rigida e meccanicistica, viene percorsa da una geniale e originale novità filologica, storica e sociologica. In fondo Vico è convinto che quella ripartizione metta comunque capo all’unità della storia, determinata dall’unità dello spirito che informa e dà vita all’umano corso. La vera grande intuizione consiste nel fatto che la fenomenologia civile è sorta e si è sviluppata in maniera spontanea, a seguito dei bisogni e delle necessità umane. Questo risulta evidente proprio nella ricerca delle origini del diritto e della vita politico sociale, laddove ripetutamente rifacendosi alla sua concezione antintellettualistica, afferma la storicità del diritto contro i sostenitori di un ideale diritto naturale e convenzionale, accusando il padre del diritto naturale e di cui aveva grande rispetto, Ugo Grozio, di aver scambiato il diritto naturale delle genti con una forma di diritto arbitrario di filosofi, di moralisti e teologi.

Per Vico il diritto sorge ‘naturalmente’, e in forma dialettica, in ogni nazione da contingenti umane necessità e, via via, dalla forza e dalla religione giunge al diritto umano dettato dalla ‘ragione tutta spiegata’. Lo stesso vale per tutte le forme della vita sociale e politica, degli Stati o delle Repubbliche, ivi comprese le autorità, i governi, i giudizi.

 

2- Da questo breve e alquanto scolastico riassunto si ricavano già sufficienti elementi per svolgere alcune considerazioni intorno al tema prescelto, che copre un ambito vastissimo della letteratura giuridica e da cui è bene tenersi alla giusta distanza in un contesto sostanzialmente composto da studenti di filosofia, ora intrattenuti dal sottoscritto, che non è né uno storico né un filosofo del diritto.

In realtà, l’intuizione della storicità del diritto va scritta al pensiero di Francesco d’Andrea che aveva già proposto uno studio storico del diritto, influenzato dalla Scuola Culta sorta in Francia. Tuttavia a Vico spettano due meriti: quello di aver elaborato il metodo della conoscenza storica e quindi della valutazione del fatto, scoprendo così la razionalità della storia; quello di aver individuato nel canone della conoscenza storica il presupposto fondamentale del relativismo storico del diritto. Il che non è poco.

Il diritto, che non è la legge positiva posta dall’autorità, nasce con l’organizzazione della comunità di riferimento (ibi societas, ibi ius), ossia le nazioni. Quindi l’attività giuridica degli uomini, comprende in sé tutte le altre: l’attività economica, l’attività politica, l’attività sportiva, l’attività letteraria e così via. Lo studio dell’esperienza del diritto pone al centro della sua indagine l’attività giuridica, che può avere un carattere prevalentemente storico, ivi compresa la storia delle istituzioni, oppure può essere direttamente rivolta al diritto positivo. Tuttavia la vicenda storica, e le ragioni politiche che l’hanno determinata, non vanno disgiunte dall’analisi tecnica degli istituti giuridici. Il che può confondere lo studente, laddove immagina che il diritto sia solo un fatto tecnico per addetti ai lavori, fatto di leggi e leggine, sentenze e decreti ministeriali, difese di avvocati e prove testimoniali. In altri termini anche lo studente di oggi può provare lo stesso disagio del giovanissimo Vico quando, consigliato dal padre alla pratica forense, comprese che quello praticato nei fori dell’epoca non era il diritto ma il suo svilimento.

Il problema è quello di comprendere “che cosa” il diritto qualifichi giuridicamente nell’ambito dei rapporti sociali. Nello studio del mondo antico Vico trova la soluzione. Infatti in esso società e diritto in qualche modo tendono effettivamente a confondersi. Invece nelle società moderne società e diritto sono distinti, non nel senso che il diritto non sia un’esperienza sociale, ma nel senso che all’interno delle tante esperienze sociali, è un’esperienza definita e fortemente caratterizzata. Da sempre però si può considerare diritto ciò che i consociati considerano tale.

 

3- Tornando al suo pensiero, dalla lettura della sua opera sembra emergere chiaro il rapporto tra organizzazione e ordinamento giuridico, anzi le forme dell’organizzazione sono già diritto. L’organizzazione giuridica è la forza organizzata di un gruppo sociale. Il processo di incivilimento delle società umane vede una costante proprio nell’esigenza di porre regole per una vita ordinata della comunità, in assenza delle quali regna la forza bruta e la barbarie.

Sicchè, il diritto nasce quando la comunità garantisce uno spazio di libertà al singolo individuo, assicurandogli la possibilità di curare da sé i propri materiali interessi, senza che ciò debba necessariamente essere in contrasto con l’interesse generale della collettività. Quando tale contrasto, unitamente a quello pure possibile tra singoli individui, non può comporsi spontaneamente, scatta il rimedio del giudizio celebrato da parte di un giudice terzo che lo compone applicando le regole, processuali e sostanziali, all’uopo previste. Questo, che potrebbe sembrare uno schema elementare, costituisce invece una costante dello sviluppo dei popoli e delle nazioni civili.

 A tal proposito è utile segnalare il pensiero di un giurista che più di altri si è rifatto a Vico, Giuseppe Capograssi, laddove ha ritenuto che è proprio nel processo che va individuato il luogo in cui il diritto si svolge, ossia il luogo dove si assiste alla trasformazione della legge generale in legge del caso concreto. Nel processo si realizza l’attuazione della giustizia giusta, che non è “una proposizione comandata, ma un’esperienza ordinata” (Piovani). Il diritto lo si intuisce all’interno del processo, dove si realizza l’incontro tra la disposizione legislativa e l’insieme dei valori e degli interessi, che emergono nell’attività interpretativa svolta dal giurista. L’attività interpretativa contribuisce a trasferire i valori dall’ambito strettamente sociale a quello più propriamente giuridico. Questo impedisce di ritenere che tutto si risolva in un’applicazione formalistica della legge e che l’attività giurisprudenziale si riduca solamente a dirimere la controversia. La giurisprudenza contribuisce ad offrire anche soddisfazione sociale.

Tuttavia il punto più importante è invece un altro, ossia che le regole -dapprima intrise di credenze religiose, miti, passioni e costumi sociali-  variano nel tempo storico e nello spazio geografico, tranne alcune che non sembrano essere scalfite dai processi storici e dalle latitudini geografiche. E’ cosi che viene in rilievo ‘il diritto naturale delle genti’.

In effetti concepire il diritto come esperienza storica costituisce un problema rispetto al discorso sul diritto naturale, all’epoca molto attuale in virtù degli studi di Grozio, di cui Vico era grande estimatore, come già ricordato.

 Infatti il diritto naturale veniva presentato come un sistema normativo contraddistinto dal suo carattere unico e invariabile nel tempo, ossia a-storico. L’immutabilità del diritto naturale postula l’esistenza di un suo sistema normativo slegato dalla storia e quindi dalla variazione delle circostanze temporali. Come è stato segnalato (Fassò), l’autentico contrasto non è tanto quello tra diritto naturale e diritto positivo, quanto piuttosto quello tra diritto naturale e storia.

Da qui l’originalità del pensiero di Vico, per il quale i valori e i principi giuridici comuni alla maggior parte dei popoli sono quelli rispondenti alla lex naturae, che le leggi di uno Stato non devono comprimere o addirittura sopprimere. Poiché essi sono stati dettati dalla ragione umana, l’origine del diritto naturale si identifica con il verum e con l’equum di tutte le genti civilizzate.

Per Vico la lex naturae non è una trascendenza, bensì il risultato migliore raggiunto dai vari popoli nel loro percorso di incivilimento.

In altri termini è l’espressione massima del percorso compiuto dalla volontà umana e dal pensiero giuridico. Essa finisce con l’essere la stessa di tutti i paesi civili, pur essendo sconosciuti tra loro. Pare che da questa intuizioni sia poi nato il metodo comparatistico degli studi giuridici. Ecco l’importanza dell’affermazione per cui il fatto nella sua fissità non porta a risultati fecondi, essendo invece necessario lo studio del fatto nel suo farsi, ossia lo studio della dinamica del fatto storico-giuridico determinata da fattori contingenti in una prospettiva antropologica, che non ha nulla a che vedere con la necessità deterministica di cui sono affetti coloro i quali vedono nella lex naturae un imperativo trascendente cui l’uomo si deve adeguare.

 Di matrice senz’altro giusnaturalistica è l’insistenza di Vico sui tre diritti inalienabili di ogni essere umano, ossia la libertà, la proprietà privata, l’incolumità personale. Tuttavia, nonostante questo riconoscimento, Vico non segue Grozio nell’implicita affermazione dell’antistoricismo del diritto naturale, laddove concepisce la natura umana come in un ideale astratto posto al di fuori della storia degli uomini. Vico invece propone uno ius naturale fhilosophicum , ossia la pura esigenza dello spirito, espressiva del giusto e dell’ideale dettato dalla lex naturae, cui giuristi devono aspirare; ed è proprio questa tensione ideale degli ordinamenti umani che attrae il diritto naturale nei corsi e ricorsi storici .

Il filosofo elogia l’immutabilità delle leggi romane, che si giustifica sia perché ispirate al giusto sia perché i romani, attraverso l’istituto della fictio juris –ossia attraverso il riconoscimento ai ‘pellegrini’ degli strumenti dello Jus civile, fingendo appunto che fossero cittadini romani-  seppero adattare ed estendere le norme preesistenti ‘ai sempre cangianti costumi di un popolo, il quale di giorno in giorno si inciviliva, si ingrandiva, si corrompeva’, come è stato notato da Vincenzo Cuoco.

Pertanto il ruolo del giudice (il praetor) nella diffusione del diritto romano è stato fondamentale, poiché egli accordava l’actio in base a una valutazione di giustizia sostanziale anche a chi non poteva vantare lo ius rinvenibile nel codice civile per definizione non applicabile se non ai cives (ubii actio ibi ius). Poi gli ordinamenti sono andati nella direzione opposta, laddove tutti i soggetti possono avere diritti e quindi avere a disposizione gli strumenti di tutela previsti (ubi ius ibi actio). Il fenomeno è conosciuto come il movimento, ovviamente storico, che va dallo status al contratto, che poi ha portato alle grandi codificazioni napoleoniche dell’Ottocento sino al nostro codice civile vigente, che, all’art. 1, fissa l’acquisto della capacità giuridica delle persone fisiche al momento della nascita.

E’ importante notare come attualmente sia in atto un ‘ricorso storico’, ossia un ritorno al rimedio giurisdizionale fondato unicamente sull’esistenza di una situazione giuridica sostanziale tutelabile a prescindere dalle categorie, pur esse storiche, del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo in cui può essere trasformato l’interesse materiale del soggetto che assume di essere stato leso. In altri termini la tutela è possibile là dove il giudice legittima il soggetto ad aprire un giudizio di merito.

 

4- L’approccio storico al diritto, mentre, da un lato, consente di cogliere i bisogni politici, economici e culturali dell’epoca e del luogo di riferimento, dall’altro, non facilita l’analisi tecnica degli istituti giuridici creati ed adoperati nel contesto storico indagato.

Questa è la ragione per cui Vico, pur conoscendo la lingua latina e gli istituti del diritto romano, non è stato mai un cultore estremamente tecnico del diritto dell’antica Roma. In altri termini egli è stato irriducibilmente un filosofo (e non un giurista), che, pur studiando il movimento evolutivo dei fatti storici, ha considerato il diritto, nel suo complesso, il cardine del processo di incivilimento dei popoli.

La storia di Roma, ma la storia di tutte le civiltà succedutesi nel tempo, alla fin fine non è altro che la storia del diritto da esse creato e praticato.

Infatti nella prima edizione della Scienza Nuova egli afferma: <>.

Quindi per Vico, l’esperienza giuridica è solo un fatto da indagare, ma con il suo metodo, ossia come quel fatto si è prodotto attraverso la vita concreta degli uomini.

 

5- Non si può sottacere l’importanza del pensiero di Vico, laddove egli, inserendosi in un movimento molto più vasto di contestazione del principio di autorità, utilizza alcuni dei criteri da lui applicati alla ricerca storica in generale, e in particolare alla valutazione del fatto, anche allo studio del diritto romano. La semplice applicazione del metodo storico consentiva di mettere in discussione anche l’autorità del corpus iuris civilis; tanto più che la scuola Culta francese e gli umanisti, attraverso l’analisi filologica del testo giustiniano, avevano già individuato la grave alterazione degli originari testi giurisprudenziali classici compiute dai compilatori bizantini.

Il principio di autorità del testo scritto aveva dominato la società romana e l’alto medievo. Nell’antica Roma la verità del diritto si era identificata prima con la volontà degli dei, poi con il parere del collegio pontificale e infine con l’autorità dei giureconsulti e dei principi. Nel medioevo l’autorità nel campo del diritto era rappresentata dal corpus iuris civilis, dal diritto canonico e dal diritto naturale.

Giambattista Vico è stato uno dei primi filosofi ad opporre un netto rifiuto all’accoglimento passivo dell’astrazione, dell’esoterismo, del sovrannaturale, della fede acriticamente vissuta, del diritto calato dall’alto. Il frequente richiamo del filosofo napoletano alla ‘Provvidenza’ vuole solo significare che gli uomini, nel loro concreto agire, pur ritenendo di perseguire il proprio utile attuano appunto il disegno razionale della ‘Provvidenza’, che si serve degli umani fini particolari per realizzare l’assoluto, che nella storia si incarna. La tesi del diritto come esperienza postula la storicità di esso e la centralità della persona umana. Quindi la nozione di esperienza giuridica approda alla storicità del diritto.

Vico è stato uno dei primi filosofi, insieme con Cartesio, a rompere con la tradizione e ad indicare nell’analisi e nell’evidenza l’unico criterio di verità. La differenza sostanziale tra i due grandi filosofi è data dal fatto che, mentre il filosofo francese rinunciava consapevolmente all’approccio immediato con la realtà, riducendo la conoscenza alla ragione geometrica e la certezza alla evidenza e alla dimostrazione, Vico opponeva, pur praticando lo stesso metodo di indagine, all’astrazione della filosofia cartesiana la vita umana operante nella storia, ovvero la storia degli esseri ragionevoli nell’incontro con i loro simili. In questo percorso conoscitivo, Vico si immergeva totalmente nella ‘carnalità del fatto’, convinto che la ricerca della verità dovesse partire dall’evidenza e dall’esperienza delle cose (Solarino).

Ogni scienza, anche quella storica, ha come obiettivo la ricerca della verità. Anche Vico dunque è andato alla ricerca del verum, che non si poteva che trovare dentro la realtà concreta, ossia il factum. Essi si convertono l’uno nell’altro e finiscono con il coincidere. Tuttavia siccome la verità non si trova nell’osservazione del fatto, ma nell’esame di come il fatto si fa -poiché il vero non è nella sua immobilità ma nel suo divenire, ossia nel suo farsi- la verità, data l’irripetibilità del fatto accaduto, si converte a sua volta nel verosimile. Solo quest’ultimo è accessibile alla conoscenza umana.

In fondo il giudice nel processo, quando accerta i fatti accaduti per arrivare al giudizio finale, non fa altro che ricostruire la verosimiglianza dei fatti, che, siccome una volta accaduti non si possono più riprodurre nella loro fattualità concreta, rivivono solo nell’idea (libero convincimento) del giudice, che però è tenuto a motivare le ragioni su cui ha fondato la decisione.

 

6- In conclusione, la storicità del diritto, non è soltanto una teoria giuridica, ma un metodo, una maniera di impostare il discorso giuridico che tenga conto di tutti gli aspetti che lo riguardano; un modo di concentrare lo sguardo contemporaneamente alla teoria giuridica e alla sua storia. Ma anche a volerla considerare soltanto una teoria giuridica, bisogna riconoscere che è quella che maggiormente si avvicina alla verità.

Essa si contrappone sia al pensiero giuridico di matrice illuministica, dove manca il legame tra il diritto e la vita, sia al legicentrismo di marca positivistica e statualistica, dove si sacrifica al testo scritto tutto ciò che lo ha prodotto, oltre a relegare nell’irrilevanza la formazione spontanea del diritto.

La visione storicistica del diritto condiziona anche la pratica giuridica, laddove si pone a difesa della particolarità contro l’universalità e il fatto specifico si contrappone alla logica formale delle decisioni giuridiche. Quindi è un modo di concepire il diritto in contrapposizione sia al giusnaturalismo razionalistico sia al formalismo giuridico.

Il metodo storicistico consente l’incontro tra diritto e tempo, nella consapevolezza che il diritto è prima di tutto il suo passato, ossia tutto ciò che ha reso possibile e necessaria una determinata norma giuridica, assegnandole la dimensione del relativo e non dell’assoluto. Pertanto il ‘sistema giuridico’ non va inteso come uno schema di connessioni astrattamente fissate al quale ricondurre il caso empirico, ma è un ‘sistema’ di connessioni concrete che si dipanano lungo la storia e non si fermano alle sole norme.

La visione storica del diritto inoltre consente di cogliere che il diritto è generato dai costumi e dalle credenze popolari e solo dopo dalla giurisprudenza. Da qui l’esaltazione della consuetudine come fonte primigenia della produzione giuridica, che poi costituisce anche la radice del cosiddetto diritto giurisprudenziale.

Grandi maestri del diritto come Savigny e Jhering, in stretta continuità con il pensiero di Vico, sono arrivati alla conclusione che è l’uomo a fare la storia e quindi anche a fare il diritto; fa il diritto anche quando pensa di non farlo.

In questa visione, giurisprudenza e scienza del diritto sono i garanti di quel ‘diritto vivente’ che, nella prospettiva storicistica, appare come il diritto più vero, perché più vicino alla vita. Storicità significa non isolamento del diritto dalla realtà circostante, che è sempre una realtà storicamente determinatasi e che la norma giuridica, con la volontà che essa manifesta, non si sottrae al corso del tempo, bensì subisce l’irruzione del tempo attraverso l’interpretazione e l’applicazione a tutti i singoli casi pratici dalla norma stessa contemplati (T. Greco).

Tutto questo, ma tanto altro ancora, trova radice nelle prospezioni vichiane, sempre più attuali.

Forse è il caso di chiudere queste considerazioni con quello che considero il più alto insegnamento di Vico: <>.

                                                      Prof. Gianpiero Paolo Cirillo

                                        Presidente di sezione del Consiglio di Stato

Pubblicato il 13 aprile 2019

*Lectio magistralis tenuta in occasione del XII Certame Vichiano il 10 aprile 2019 presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli

 

 

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