15/12/2023 – Ancora sulle certificazioni non sostituibili dal silenzio assenso: le interpretazioni fuorvianti dei principi di risultato, tempestività e fiducia.

Dopo le discussioni infinite sulla circolare del Mit 298/2023 che afferma l’ovvio, cioè l’applicazione necessaria dei principi del Trattato UE anche nel sotto soglia, altrettanto dibattito sta scatenando altro atto dal contenuto a sua volta pressochè scontato e di nessuna innovatività.

Si tratta dei pareri 57 e 57-bis dell’Anac, con i quali si enuncia quel che qualsiasi operatore della PA meno che minimamente avveduto e formato non può che avere come cognizione proprio basica: ai certificati non si può applicare il silenzio assenso.

Molti osservano che, allora, così però per giungere all’aggiudicazione si impiega troppo tempo, che non ci si fida delle dichiarazioni, che è tutto burocrazia, che il codice allora da strumento per semplificare e velocizzare si trasforma in impedimento e consumo inutile di tempo.

Si continua a confondere la tempestività con la corsa contro il tempo. La tempestività è semplicemente il rispetto di termini programmati, non la riduzione di una durata.

Dal vocabolario on line Treccani: “tempestivo agg. [dal lat. tempestivus, der. di tempestas nel sign. originario di «tempo, circostanza»]. – 1. a. Che avviene o si fa al tempo o al momento giusto, quindi utile, opportuno: il tuo aiuto […] al tempo giusto, nel momento opportuno, o, più spesso, in tempo utile: occorreva intervenire tempestivamente; il contratto mi è stato tempestivamente rinnovato; sorretta dall’unica forza che molte persone possiedono, quella della propria insicurezza”.

Non è tempestivo, quindi, ciò che si realizza “di corsa”, ma quel che appunto avviene o si fa al momento giusto.

Il senso del “giusto” è in astratto diverso per ciascun soggetto. Ma, per convenzione, si considera “giusto” quel che dispone la legge.

Poichè il codice dei contratti stabilisce che lo stand still scatti successivamente all’acquisizione di efficacia dell’aggiudicazione, i 35 giorni necessari allo stand still non pregiudicano affatto la “tempestività”, poichè nel processo di formazione dei contratti il legislatore ha ritenuto “giusto” dover disporre questo lasso di tempo nel quale permettere agli interessati di proporre ricorso avverso l’aggiudicazione.

Quindi, è onere delle stazioni appaltanti programmare i tempi necessari per la gara, sapendo che essi sono comprensivi dei 35 giorni necessari per lo stand still.

Il che dovrebbe sollecitare le amministrazioni ad utilizzare strumenti di velocizzazione come:

  1. gli avvisi di preinformazione e conseguente riduzione dei termini;
  2. l’inversione procedimentale nelle procedure aperte.

In ogni caso, il ritardo da parte di un’amministrazione certificante nel mettere a disposizione del fascicolo virtuale dell’operatore il certificato necessario o nel rispondere alla domanda di verifica della dichiarazione sostitutiva è certamente circostanza che consente al Rup di adottare il provvedimento motivato di proroga dei termini, ai sensi dell’articolo 5 dell’allegato I.3 al codice.

Per altro, il ritardo o l’inerzia dell’amministrazione certificante:

  1. costituisce causa delle responsabilità disciplinari e penali previste dall’articolo 72, comma 2, del dPR 445/2000 in capo al responsabile dell’amministrazione certificante che cagioni detto ritardo;
  2. costituisce, ulteriormente, causa anche di responsabilità civile ed erariale dell’amministrazione certificante, ove dal ritardo derivino danni alla stazione appaltante o all’aggiudicatario;
  3. esime la stazione appaltante da qualsiasi responsabilità, nel caso in cui l’operatore economico proponga ricorso al Tar per far valere il silenzio inadempimento: infatti, anche laddove il Tar accogliesse il ricorso, non potrebbe legittimamente imporre nulla alla stazione appaltante, poichè l’aggiudicazione risulta ritardata non da inerzia della stazione appaltante, ma da inerzia dell’amministrazione certificante.

Si dovrebbe, semmai, prevedere nell’ordinamento un sistema anche di commissariamento delle amministrazioni certificanti inerti o in ritardo, per scongiurare il rischio che la loro azione pregiudichi la conclusione dei contratti pubblici.

Pensare al silenzio assenso sui certificati o sulle verifiche in merito alla veridicità delle dichiarazioni sostitutive implica travisare completamente l’articolo 20 della legge 241/1990, il quale consente tale istituto esclusivamente per la formazione di provvedimenti amministrativi. E’ provvedimento amministrativo una formazione di volontà che costituisce, modifica o estingue situazioni giuridiche. Un certificato o una verifica di una dichiarazione sostitutiva non ha alcuno di questi effetti: esprime verso terzi situazioni contenute in registri pubblici o base dati. Dunque, il silenzio assenso è impensabile.

I rimedi contro i ritardi delle amministrazioni certificanti non possono che essere:

  1. la rinuncia totale alle verifiche, con accollo del rischio di contrattare con operatori economici che evadano tasse, contributi previdenziali, oppure non assumano le categorie protette, siano oggetto di infiltrazioni mafiose, siano sull’orlo del fallimento, siano popolate da persone che abbiano commesso reati incompatibili con relazioni negoziali con la PA, in nome del principio della “fiducia”;
  2. la creazione di una banca dati efficiente davvero a consultazione immediata delle stazioni appaltanti sui requisiti degli appaltatori, che contenga, però tutti gli elementi, cosa che attualmente il sistema non garantisce (antimafia e verifiche sulla legge 68/1999 sono fuori);
  3. la già citata attivazione di commissariamenti ad acta e connesse sanzioni nei riguardi delle amministrazioni certificanti ritardatarie.

Il combinato disposto degli articoli da 94 a 99 del d.lgs 36/2023 impone:

  1. di escludere dalle gare e comunque di non sottoscrivere contratti con operatori economici non in possesso dei requisiti e, prescindendo totalmente da un modo di intendere la “fiducia” come affidamento acritico alle dichiarazioni sostitutive degli operatori economici;
  2. di verificare necessariamente la veridicità di quanto dichiarato nel Dgue o in altro modo, posto che le verifiche sono il presupposto necessario per l’adozione di un provvedimento di aggiudicazione efficace.

Pertanto, immaginare che il Dgue o le altre possibili dichiarazioni consentano di non effettuare le verifiche è, appunto, frutto dell’immaginazione di istituti che non sono vigenti.

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