15/09/2018 – Limiti alle progressioni verticali: per teste o per risorse?

Limiti alle progressioni verticali: per teste o per risorse?

 

Progressioni verticali, il limite del 20% dei posti consentito dalla riforma Madia si conta per teste e non in relazione al volume della spesa, secondo la Corte dei conti. Ma le linee di indirizzo sul piano dei fabbisogni mettono in discussione queste conclusioni.

La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Puglia, col parere 42/2018 ha interpretato la disposizione contenuta nell’articolo 22, comma 15, del d.lgs 75/2017 nel senso che esso autorizzi le amministrazioni ad indire progressioni verticali per il 20% del numero dei dipendenti da assumere previsti dal programma delle assunzioni.

La norma oggetto del parere recita: “Per il triennio 2018-2020, le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare le professionalità interne, possono attivare, nei limiti delle vigenti facoltà assunzionali, procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per

l’accesso dall’esterno. Il numero di posti per tali procedure selettive riservate non può superare il 20 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria”.

La Sezione Puglia ritiene che “l’esplicito riferimento letterale della norma al “…numero di posti…” non lascia alcun dubbio in merito alla computabilità numerica dei dipendenti da considerare ai fini delle progressioni verticali, indipendentemente dall’entità (percentuale) della spesa sulla quale tali “nuove assunzioni” possono incidere”. Un computo per testa, dunque. Quindi, se un programma triennale di assunzioni prevede 10 nuovi reclutamenti, solo 2 possono derivare da progressioni verticali.

C’è, però, da considerare che il parere della Sezione Puglia risale al 23 marzo 2018, data al ricorrere della quale non erano ancora state emanate da parte della Funzione Pubblica le linee di indirizzo previste dall’articolo 6-ter del d.lgs 165/2001, per disciplinare il nuovo sistema della programmazione dei fabbisogni, che entreranno in vigore il prossimo 24 settembre 2018.

Il di Palazzo Vidoni pare mettere in discussione le affermazioni della Sezione Puglia quando afferma che il nuovo concetto di “dotazione organica si risolve in un valore finanziario di spesa potenziale massima sostenibile” e non più in un elenco di personale. Le linee di indirizzo aggiungono, ancora, che “nell’ambito di tale indicatore di spesa potenziale massima” le amministrazioni “potranno coprire i posti vacanti nei limiti delle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente”. E, in particolare, Palazzo Vidoni dispone che “nel programmare le assunzioni per le professionalità da acquisire sulla base delle facoltà assunzionali vigenti o dei previsti tetti di spesa, occorre verificare se esistono margini di rimodulazione della dotazione organica, da esprimere nel PTFP, nel rispetto del limite finanziario massimo della “dotazione” di spesa potenziale individuato”.

La riconduzione della programmazione dei fabbisogni e della dotazione organica ad un valore finanziario pare sovvertire il ragionamento seguito dalla Corte dei conti e lascia propendere per la soluzione opposta: il 20% dei posti destinabili ad eventuali progressioni verticali può essere determinato non applicando la percentuale al numero dei posti, ma al valore finanziario consistente nelle facoltà assunzionali disponibili per fare fronte ai fabbisogni previsti. Valore finanziario che, poi, tradotto in posti, potrebbe consentire progressioni per un numero di “teste” anche superiore al 20%.

Resterebbe in ogni un limite pro capite. Infatti, l’articolo 22, comma 15, del d.lgs 75/2017 aggiunge che gli enti intenzionati ad attivare le progressioni verticali “speciali” ivi previste dovranno, in relazione al numero di posti individuati, ridurre corrispondentemente “la percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001”, cioè il 40%. Dunque le progressioni verticali speciali non potranno superare mai il 40% delle assunzioni da effettuare, quantificate una volta tradotta la grandezza finanziaria della programmazione in posti da coprire.

La chiara poca coerenza tra le norme sulle progressioni verticali e sulla programmazioni, insieme con le indicazioni restrittive della magistratura contabile, consiglierebbero però un urgente intervento chiarificatore di rango normativo.

 

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