15/09/2018 – Legittima la demolizione “tardiva” di un immobile abusivo

Legittima la demolizione “tardiva” di un immobile abusivo

di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

La proprietaria di un appartamento aveva a suo tempo impugnato la determinazione dirigenziale con cui l’Amministrazione comunale le aveva ingiunto la demolizione (rimozione) di alcune opere abusivamente realizzate.

Il G.A. di prime cure (T.A.R. Lazio, Roma, n. 8587 del 2011), in parziale accoglimento del ricorso formulato dall’interessata annullava l’impugnato provvedimento nella parte che aveva riguardo al cambio di destinazione d’uso dell’appartamento (da abitazione ad ufficio) e respingeva, invece, i motivi di ricorso relativi alla realizzazione di una veranda.

Avverso tale capo della sentenza (inerente, con precisione, alla chiusura di una loggia) l’interessata ha proposto appello al Consiglio di Stato fondando la sua tesi difensiva, sulla circostanza che, alla luce del lungo lasso di tempo trascorso tra chiusura della loggia e azione dell’Amministrazione, la stessa confidava nella piena legittimità dell’opera e, quindi, il provvedimento di demolizione avrebbe dovuto essere sul punto ben motivato.

Nel rigettare l’appello l’adito Collegio di Palazzo Spada si riporta al recente – ma ormai bel consolidato – insegnamento della sentenza resa dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2017 secondo cui, espressamente: «il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino».

Quando dunque l’agire della P.A. con riferimento al suo potere-dovere di curare l’interesse pubblico al corretto esercizio dell’attività edilizia sia improntato ad «inerzia» quest’ultima:

– da un lato, è assolutamente inidonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo. L’edificazione sine titulo, pertanto, è (e resta) abusiva;

– dall’altro lato, non radica alcun legittimo affidamento in capo al proprietario dell’abuso.

Si è detto: «Per tali illeciti il decorso del tempo rileva solo per quanto riguarda la declaratoria in sede penale dell’estinzione del reato per prescrizione, in presenza dei relativi presupposti.

Invece, sotto il profilo amministrativo, si devono applicare il principio di tipicità del provvedimento e quello di legalità» (Cons. di Stato, Sez. III, 27 marzo 2017, n. 1386).

Il decorso del tempo è invero irrilevante ai fini della doverosità degli atti volti a perseguire l’abusivismo edilizio attraverso l’adozione della relativa sanzione ragion per cui – in tale settore – l’ordinanza di demolizione non deve essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata.

E quindi tale ordine (di demolizione) è adeguatamente motivato con il mero richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, irrilevanti dimostrandosi i principi elaborati in tema di autotutela decisoria.

Si vuol dire, cioè, che al tema dell’abuso edilizio non si applica quel complesso di acquisizioni che, in materia di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per l’ipotesi (differente) dell’autotutela decisoria.

Come ha più volte rilevato la giurisprudenza (Cons. di Stato, Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4892Cons. di Stato, Sez. V, 26 maggio 2015, n. 2605), la sanatoria di opere edilizie abusive può essere disposta, in sede amministrativa, solo nei casi previsti espressamente dalla legge, e cioè:

a) nei casi di c.d. “condono” (v.: L. n. 47 del 1985L. n. 724 del 1994L. n. 326 del 2003);

b) nei casi in cui vi può essere il c.d. “accertamento di conformità” ai sensi dell’art. 36D.P.R. n. 380 del 2001.

Ove non sia applicabile questa tipologia di disposizioni, e non risulti accoglibile la relativa istanza dell’interessato, le opere realizzate senza titolo vanno demolite, con le conseguenze previste dalla legge.

E quindi, l’ordinanza di demolizione del manufatto edilizio abusivo, anche se emessa a lunga distanza di tempo dalla realizzazione dell’opera, deve essere motivata esclusivamente con il richiamo al carattere abusivo dell’opera stessa.

Infatti, il lungo periodo di tempo intercorrente tra la realizzazione dell’opera abusiva ed il provvedimento sanzionatorio è circostanza che non rileva ai fini della legittimità di quest’ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell’opera (che il protrarsi del comportamento inerte del Comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell’abuso edilizio), sia in relazione alla sussistenza in capo all’Amministrazione procedente di un ipotizzato ulteriore obbligo di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto, ove si consideri che, di fatto, la lunga durata nel tempo dell’opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo (Cons. di Stato, Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4892Cons. di Stato, Sez. V, 11 luglio 2014, n. 3568).

Al più rileva, in questo settore, il terzo periodo del comma 4-bis dell’art. 31D.P.R. 380 del 2001 secondo cui «la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente».

Se ne deduce, agevolmente, che il decorso del tempo dal momento del commesso abuso all’adozione del provvedimento di demolizione non priva la P.A. del potere di adottare tale provvedimento, configurando piuttosto specifiche conseguenze in termini di responsabilità in capo al dirigente, o al funzionario, responsabili dell’omissione, o del ritardo, nell’adozione di un atto che è doveroso e tale rimane nonostante il trascorrere del tempo.

Orbene, poiché la demolizione degli abusi edilizi – come visto – non richieda nessuna specifica motivazione (necessaria invece in casi di contrarie determinazioni) e poiché l’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività del manufatto, ne consegue che la repressione degli abusi edilizi è espressione di attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione.

In altre parole, la misura repressiva intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso.

Invero, l’illecito edilizio ha carattere permanente, che si protrae e che conserva nel tempo la sua natura, e l’interesse pubblico alla repressione dell’abuso è “in re ipsa”.

Di conseguenza l’interesse del privato al mantenimento dell’opera abusiva è necessariamente recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza della normativa urbanistico – edilizia e al corretto governo del territorio.

Ai fini di questo suo argomentare – precisa ancora il Consiglio di Stato nella sentenza qui in esame – è del tutto irrilevante altresì che l’attuale proprietario dell’immobile non sia il responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi (ciò in continuo con l’insegnamento facente capo alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2017 cit.).

La demolizione, invero, è misura ripristinatoria a carattere reale finalizzata al ripristino di valori di primario rilievo che non si pone in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell’abuso.

Tale alterità soggettiva può rilevare, al più, a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell’abuso e il suo avente causa.

Cons. di Stato, Sez. VI, 5 settembre 2018, n. 5204

D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (G.U. 20 ottobre 2001, n. 245, S.O.)

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