15/02/2023 – Condizioni dell’azione ed eterogeneità dell’interesse legittimo. Modelli di giustizia amministrativa.

Abstract

L’interesse legittimo si caratterizza per un irriducibile polimorfismo. Questa sua caratteristica non è senza conseguenze sul piano processuale, ma porta con sé la necessità di adeguare l’ordinario atteggiarsi delle condizioni dell’azione alle mutevoli esigenze che, di volta in volta, l’interesse legittimo sottende.

Pertanto, in questa indagine, si è subito reso evidente che al modello di giustizia amministrativa enucleato in Costituzione si affiancano, di fatto, altri modelli di giustizia amministrativa nei quali le condizioni dell’azione presentano diversi presupposti, talvolta arrivando sino a porre dubbi di legittimità costituzionale.

Introduzione.

La giustizia evoca la risoluzione di una controversia in conformità alla norma giuridica, anche se quando assume la veste amministrativa, diviene polisensa e ambigua.  Essa può, infatti, essere intesa in diverse accezioni, tali da estendersi ad ogni mezzo previsto dall’ordinamento per assicurare la conformità dell’azione amministrativa alla legge e il miglior perseguimento dell’interesse pubblico al caso concreto. Colto nel suo spirito garantistico, tutto il diritto amministrativo finirebbe così per coincidere con la giustizia amministrativa[1].

In realtà, l’orientamento della dottrina dominante afferma una concezione più ristretta della giustizia amministrativa. Essa avrebbe una dimensione soggettiva nella tutela delle situazioni giuridiche sostanziali dei soggetti dell’ordinamento; e una dimensione oggettiva nella tutela dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata. Ciò non ostante, le ricostruzioni odierne sottolineano quasi esclusivamente l’aspetto soggettivo della tutela della sfera giuridica dei privati lesa da atti e comportamenti della pubblica amministrazione contrari al diritto.

Ciò si deve al fatto che tale concezione appare più conforme alla Costituzione, al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (artt. 24 e 113 Cost), e al mutamento intercorso nei rapporti del cittadino con la pubblica amministrazione i quali sono passati da uno stato di soggezione a una tendenziale parità, in particolar modo a seguito della l. 241/1990 sul procedimento amministrativo.

Diversamente, la concezione oggettiva sembra lasciar sopravvivere una posizione di supremazia della pubblica amministrazione che si giustifica con la necessità di assicurare la tutela dell’interesse pubblico affidato alla sua cura. Questa concezione può portare a giustificare deroghe ai principi comuni del diritto processuale che generalmente caratterizzano i rapporti paritari[2].

Tale distinzione ha origine risalente e già caratterizzò il dibattito dottrinale a partire dall’istituzione del giudice amministrativo con la creazione della IV Sez. del Consiglio di Stato con la l. 31 marzo 1889, n. 5822. Essa trova la sua perpetua attualità nell’ineludibile eterogeneità dell’interesse legittimo, che, come noto, è stato oggetto di un vivace dibattito dottrinale quanto alla sua natura e ha conosciuto diverse trasformazioni negli anni.

A ragione della teoria pacificamente prevalente, l’interesse legittimo è una situazione giuridica sostanziale che può essere riconosciuto e qualificato dalla legge come l’interesse privato al mantenimento o al conseguimento di un bene della vita; può essere individuato come l’interesse collettivo di una categoria o l’interesse diffuso di una collettività; può essere assegnato (entificato) come interesse pubblico alla legalità dell’azione amministrativa; si discute se possano autonomamente sussistere forme di interesse procedimentale e strumentale al bene della vita. 

Per ognuna delle forme di interesse legittimo le condizioni dell’azione assumono un diverso atteggiamento.

Fatta questa premessa di carattere generale, sembra possibile declinare il tema della natura del processo amministrativo lungo la direttrice della natura dell’interesse di cui si richiede tutela, dell’oggetto dell’impugnazione e delle condizioni dell’azione, con un occhio di riguardo alle conseguenze pratiche che scaturiscono dalla natura soggettiva e oggettiva del processo amministrativo.

 

Modello generale di giustizia amministrativa.

Inizialmente, la dottrina aveva interpretato l’interesse al ricorso richiesto dalla legge come una implicita esclusione di un’azione popolare, e quindi come la facoltà attribuita dal legislatore di ricorrere solo ai soggetti portatori di un interesse qualificato e differenziato da quello proprio dei cittadini. Secondo questo orientamento, l’interesse legittimo aveva in tal modo una natura processuale, ponendosi come condizione di ammissibilità al ricorso. Tale configurazione dell’interesse legittimo come figura processuale portava con sé una visione oggettiva del processo amministrativo, ossia improntato ad una tutela oggettiva diretta alla tutela dell’interesse pubblico alla legalità dell’azione amministrativa e alla rimozione del provvedimento invalido.

Nel tempo, la concezione dell’interesse come interesse sostanziale ha assunto carattere prevalente. In tal guisa, l’interesse, e il relativo rapporto di diritto pubblico, diviene l’oggetto del ricorso e non condizione di ammissibilità dello stesso. In quanto tale, presenta un legame indissolubile con la legittimazione ad agire intesa come la titolarità in concreto dell’interesse sostanziale dedotta in giudizio in funzione di condizione dell’azione.  Questo orientamento porta con sé una concezione soggettiva del processo amministrativo, volto alla protezione di una situazione giuridica qualificata e differenziata relativa ad un bene della vita, anche intermedio[3], che trova tutela in occasione della tutela dell’interesse pubblico.

Così, l’interesse legittimo è una situazione giuridica individuale riconosciuta e differenziata dalla norma attributiva del potere pubblico. Al suo titolare l’ordinamento riconosce la possibilità di avvalersi di un novero di azioni diverse in giudizio, esperibili a seconda delle modalità con cui l’amministrazione procedente ha leso la sua sfera giuridica nel perseguimento dell’interesse pubblico.

L’amministrazione pone in essere l’attività di interesse pubblico con atti e provvedimenti, silenzi significativi e non, contratti e accordi. Possono inoltre, essere posti comportamenti materiali non espressione di un potere pubblico ai quali consegue il sorgere di situazioni giuridiche di diritto soggettivo. Alla pluralità dei moduli procedimentali il legislatore fa corrispondere una pluralità di rimedi esperibili dall’interessato a tutela delle sue ragioni giuridiche.

L’azione, con cui sono fatti valere i rimedi, si propone nel processo amministrativo che, alla luce degli artt. 24, 103 e 113 Cost, si pone come luogo naturale di tutela dell’interesse legittimo e di natura soggettiva[4]. In tal modo, un ricorso al giudice amministrativo affinché non possa dirsi inammissibile deve necessariamente essere provvisto della legittimazione ad agire e dell’interesse ad agire.

La configurazione delle condizioni dell’azione è un tema ampiamente dibattuto, sovente strettamente collegato al più centrale dibattito circa la natura del processo amministrativo e della posizione giuridica soggettiva ivi azionata. In particolare, l’atteggiarsi delle condizioni dell’azione muta a seconda della situazione giuridica soggettiva che il ricorrente mira a tutelare, nonché della natura dell’atto impugnato.

In ragione della concezione concreta dell’azione, la legittimazione ad agire nel processo amministrativo viene ricondotta alla titolarità di una posizione di interesse legittimo qualificato e differenziato o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di un diritto soggettivo.

Mentre nel processo civile vige una concezione astratta della legittimazione ad agire, per cui è sufficiente l’astratta titolarità del diritto affermata dall’attore, nel processo amministrativo la giurisprudenza ritiene necessaria l’effettiva titolarità della posizione qualificata. Ciò si spiega in quanto, nel processo civile la legittimazione ha una valenza processuale; se coincidesse con la titolarità effettiva del diritto l’accertamento della legittimazione ad agire sarebbe nel merito e di natura sostanziale, mentre nel processo civile è l’accertamento della titolarità del diritto che chiude il processo con una sentenza di merito sostanziale. Diversamente, la legittimazione ad agire nel processo amministrativo ha valenza sostanziale in quanto la titolarità effettiva della posizione qualificata non dà diritto al bene della vita. Ne consegue che, mentre nel processo civile la sentenza di rigetto del ricorso per difetto di legittimazione ad agire non ha alcun contenuto dichiarativo ma squisitamente processuale, nel processo amministrativo la sentenza che dichiara inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione svolge anche un accertamento di merito di valenza sostanziale[5]. Inoltre, la questione di legittimazione, intesa in senso processuale, può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio; mentre intesa in senso sostanziale, come titolarità effettiva del diritto fatto valere, una volta intervenuta la sentenza di primo grado non può essere eccepita per la prima volta in appello[6].

La legittimazione ad agire dei singoli può sorgere anche dal fatto. In modo particolare, si fa riferimento alla tutela di un interesse oppositivo di terzi avverso provvedimenti, solitamente ampliativi in materia edilizia, ma più genericamente lesivi di un bene della vita a loro ascrivibile (oltre al dirimpettaio, si pensi agli enti titolari di interessi diffusi).

Tale particolare tipo di legittimazione si radica attraverso il criterio della vicinitas inteso quale stabile collegamento tra il ricorrente e l’area dove si trova il bene oggetto di contestazione. A questo riguardo, occorre ricordare che il criterio richiamato come elemento di individuazione della legittimazione, in virtù della distinzione e autonoma dignità delle due condizioni dell’azione ribadita dall’Adunanza Plenaria, non vale da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato[7].

L’interesse ad agire, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a., richiede altresì che il ricorrente ottenga un’effettiva utilità dal ricorso. In altre parole, l’interesse ad agire postula la possibilità, per il ricorrente, di trarre un’effettiva utilità dal vittorioso esperimento del ricorso intesa come riparazione o reintegrazione di una lesione della propria sfera giuridica che sia una lesione personale, concreta e attuale; tre requisiti che si pongono come corollari dell’interesse ad agire[8]. Tale interesse deve permanere per tutto il processo fino al momento della decisione; se difetta al momento del ricorso, esso è dichiarato inammissibile. Non può aver rilievo in questa sede l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata.

Diverse sono le conseguenze al suo venir meno a seconda della motivazione. Se viene meno nel corso del processo a seguito di un mutamento della situazione di fatto o di diritto tale per cui il ricorrente non trarrebbe più alcuna utilità, il ricorso è dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse con sentenza di rito. Per converso, se nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara cessata la materia del contendere con sentenza di merito, idonea, per tale ragione, al giudicato sostanziale quanto all’accertamento di un assetto di interessi favorevole al ricorrente e satisfattivo della pretesa azionata. Di fatto, mentre l’improcedibilità postula l’impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente, la cessazione della materia del contendere postula la realizzazione piena dell’interesse sostanziale.

Nella tutela degli interessi legittimi pretensivi e oppositivi, proprio la necessità che sussista un interesse al ricorso, e dunque, la connotazione soggettiva del processo amministrativo, comporta che non tutti gli atti siano autonomamente e immediatamente impugnabili.

Sul piano degli atti normativi secondari, in ragione della distinzione tra regolamenti volizione-preliminare e regolamenti volizione azione, solo i primi sono caratterizzati da una natura normativa sostanziale in quanto provvisti dei requisiti di generalità e astrattezza. Per questa ragione, essi non sono immediatamente impugnabili in quanto, in assenza di una lesione personale, concreta e attuale che difficilmente può scaturire da un provvedimento con destinatari indeterminabili, un eventuale ricorso sarebbe inammissibile per difetto dell’interesse ad agire. Le condizioni dell’azione si diranno presenti solo laddove intervenga il provvedimento amministrativo puntuale che, in applicazione dell’atto presupposto, sia lesivo dell’interesse legittimo del destinatario. Egli potrà così impugnare il regolamento tramite la doppia impugnazione dell’atto puntuale lesivo e dell’atto presupposto.

Diversamente, i regolamenti volizione-azione, sprovvisti dei caratteri della generalità e dell’astrattezza, sono in tutto assimilabili a provvedimenti amministrativi puntuali e, per questa ragione, potenzialmente, immediatamente lesivi della sfera giuridica dei destinatari. Per tanto, essendo idonei a far sorgere nel destinatario l’interesse a ricorrere, essi sono immediatamente impugnabili alla stregua di ogni provvedimento amministrativo puntuale.

Sul piano degli atti amministrativi generali, allo stesso modo, le condizioni dell’azione variano in ragione della natura, generale o puntale, dell’atto. Nel primo caso vige la regola della doppia impugnazione; nel secondo l’impugnazione è immediata. Le prescrizioni escludenti o irragionevoli che impediscono la partecipazione ai bandi di gara rientrano nel regime delle prescrizioni puntuali e, ai sensi dell’art. 120, comma 5 c.p.a., devono essere tempestivamente impugnate nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione del bando. Tuttavia, una clausola escludente prevista al di fuori delle cause di esclusione tassativamente previste dall’art. 83 Codice Appalti è nulla e l’azione di nullità, ai sensi dell’art. 31, comma 4, c.p.a., si propone nel termine di decadenza di centottanta giorni. Le due norme non sono coordinate; il termine per far valere la nullità difficilmente può conciliarsi con il termine breve di impugnazione del rito abbreviato.

L’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, investita della questione, ha ritenuto che la clausola del bando nulla perché in contrasto con il principio di tassatività è improduttiva di effetti e non si estende al provvedimento nel suo complesso. Tale nullità non deve essere fatta valere immediatamente con l’azione di nullità nel relativo termine. Solo nel caso di adozione di atti che si fondino su quella clausola, essi devono considerarsi annullabili e impugnabili secondo il relativo regime. La Plenaria non sembra richiedere la doppia impugnazione[9].

Con riferimento alla legittimazione ad agire, l’orientamento prevalente della giurisprudenza impone l’onere della presentazione della domanda di partecipazione alla gara ai fini del riconoscimento della legittimazione ad impugnare le clausole che non siano immediatamente escludenti[10].

Sul piano degli atti amministrativi puntuali, l’impugnazione dell’atto lesivo è immediata. Alcune puntualizzazioni occorrono in relazione ad alcuni atti endo-procedimentali e provvedimentali delle procedure di gara.

Quanto all’impugnazione del provvedimento di esclusione e del provvedimento di ammissione altrui alla procedura di gara, essa ancorché suscettibile di essere posta immediatamente, secondo una giurisprudenza consolidata, deve necessariamente essere seguita dall’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto nel corso del giudizio, a pena di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse È solo l’aggiudicazione che rende definitiva la lesione dell’interesse azionato dal soggetto escluso; infatti, l’eventuale annullamento della esclusione, che ha effetto viziante e non caducante, lasciando sopravvivere l’aggiudicazione non impugnata, non è idoneo ad attribuire al ricorrente alcun effetto utile (cfr. fra le tante, Cons. Stato, III, 24 marzo 2021, n. 2501; 20 maggio 2020, n. 3200).

Alla luce di quanto esposto, dalla diversa struttura degli atti amministrativi di volta in volta in rilievo ne discende che il rapporto tra doppia impugnazione o impugnabilità immediata è regolato dalla relazione che sussiste tra regola ed eccezione. Mentre la doppia impugnazione è la regola, l’impugnazione immediata è l’eccezione.

Questa soluzione si inserisce in un modello generale di giustizia amministrativa che riconosce natura soggettiva al processo, fondato sul principio della domanda, e che in quanto tale richiede, ai fini della proposizione dell’azione di impugnazione, la sussistenza delle condizioni rappresentate dalla legittimazione ad agire e dall’interesse ad agire.

 

Modello diffuso di giustizia amministrativa.

Al modello generale di accesso alla giustizia amministrativa il legislatore ha affiancato una serie di eccezioni in ragione del particolare polimorfismo dell’interesse legittimo, il quale sovente può caratterizzarsi per una titolarità diffusa a cui consegue un diverso atteggiarsi delle condizioni dell’azione.

Tra i modelli alternativi in parola rileva primamente la tutela degli interessi sovraindividuali; una tutela che si caratterizza proprio per la problematica individuazione dei soggetti legittimati all’azione giurisdizionale. Gli interessi super-individuali fanno capo a gruppi di persone più o meno estesi, il che li pone in contraddizione con la natura soggettiva del processo amministrativo.

Quanto agli interessi collettivi, le norme possono riconoscere rilevanza ad un interesse collettivo che fa capo ad un gruppo organizzato inserito in un ente. A questo riguardo, se l’ente agisce per far valere l’interesse collettivo si tratta di stabilire se l’ente agisca per far valere un interesse proprio o un interesse altrui con il rischio di incombere nel divieto di sostituzione processuale di cui all’art. 81 c.p.c..

L’orientamento prevalente ritiene che l’ente agisca a tutela di un interesse legittimo collettivo proprio o di categoria in presenza di alcuni requisiti prestabiliti. Anche se può sembrare una forzatura entro gli schemi del modello generale di legittimazione sostanziale, ai fini del riconoscimento della legittimazione ad agire, è necessario che i) la questione attenga in via immediata alla finalità statutaria dell’ente stesso; ii) la produzione degli effetti del provvedimento deve risolversi in una lesione diretta del suo scopo istituzionale; iii) l’interesse tutelato con l’azione deve essere comune a tutti gli associati e omogeneo; iv) non devono esistere conflitti interni all’associazione[11]. In tal modo, si ritiene che l’ente faccia proprio l’interesse collettivo facente capo a soggetti determinati, membri dell’ente stesso.

La legittimazione dell’ente non esclude la possibile concorrenza di situazioni giuridiche individuali che possono essere azionate in giudizio in via autonoma.

In termini più problematici si è posta la questione circa gli interessi diffusi. Ancorché nominato in alcuni tesi normativi, l’interesse diffuso non trova una specifica definizione normativa.

Secondo l’interpretazione prevalente, l’interesse è diffuso tra più soggetti quando, mancando un titolare chiaramente individuato, è un interesse adespota. I settori di diritto amministrativo particolarmente interessati dalla nozione di interesse diffuso sono l’ambiente e il paesaggio.

Ciò chiarito, in merito alla struttura dell’interesse, si tratta di individuare in capo a chi possa essere riconosciuta la legittimazione ad agire. L’orientamento prevalente elaborato dalla giurisprudenza amministrativa afferma che possono agire a tutela dell’interesse diffuso le associazioni che abbiano assunto come proprio compito istituzionale la finalità di tutelare quell’interesse diffuso. Si ammette l’accesso alla giustizia in capo a chi abbia raccolto tali interessi e che sia per ciò legittimato. In questa prospettiva, la tutela degli interessi diffusi può essere esperita solo dagli enti collettivi.

È stata posta la questione circa il criterio di legittimazione degli enti ovvero, se la legittimazione sia tipica delle sole associazioni che abbiano determinati requisiti previsti dalla legge oppure sia atipica.

Per il primo orientamento, è necessaria, ai sensi dell’art. 81 c.p.c., un’espressa previsione normativa affinché l’ente possa esercitare con legittimazione la tutela degli interessi diffusi, in ragione del fatto che l’ente farebbe valere in giudizio un interesse altrui, ovvero di coloro al quale l’interesse diffuso è riconducibile.

Un secondo orientamento, prevalente, ritiene che la legittimazione sia atipica e che può essere sia legale in quanto riconosciuta agli enti che rispondano ai requisiti previsti dalla legge, sia giurisprudenziale ovvero riconosciuta agli enti che abbiano i requisiti individuati dalla giurisprudenza negli indici di selezione: i) l’omogeneità dell’interesse; ii) la vicinitas territoriale; iii) il grado di rappresentatività; iv) le finalità statutarie di protezione dell’interesse di cui si chiede tutela[12].

Come affermato dall’Adunanza Plenaria, la situazione giuridica azionata dall’associazioni è loro propria, ed è relativa ad interessi diffusi nella comunità o categoria, che vivono sprovvisti di protezione fino a quando qualche ente non li incarni in forza di un’individuazione e specificazione degli interessi da proteggere. In questa prospettiva non trova applicazione l’art. 81 c.p.c. posto che gli enti fanno valere una situazione giuridica propria. L’interesse diffuso, a seguito dell’azione giudiziale, diventa un interesse collettivo dell’ente.

Tali implicazioni, dovute alla particolare morfologia degli interessi super-individuali, consentono di mantenere una natura soggettiva del processo amministrativo, atteso che ad agire è pur sempre un ente titolare di una situazione giuridica soggettiva autonoma; tuttavia, lasciano altresì scorgere la possibilità di posizioni legittimanti non riconducibili alla classica titolarità dell’interesse legittimo.

La valenza meta-individuale della posizione giuridica fatta valere comporta un diverso atteggiarsi della legittimazione ad agire in riferimento agli atti normativi secondari. In virtù della generalità e dell’astrattezza dei regolamenti volizione-preliminare, se la lesione dell’interesse omogeneo non può essere fatta valere dal singolo in quanto egli è sprovvisto di una posizione qualificata e differenziata, essa può esser fatta valere dall’ente in capo al quale quell’interesse si soggettivizza. Proprio il suo carattere indifferenziato e seriale fa si che la norma regolamentare generale e astratta possa provocare un pregiudizio immediato e attuale a cui consegue la possibilità di un’immediata impugnazione della stessa in capo all’ente[13].

Dunque, attraverso il riconoscimento legislativo degli interessi collettivi e la conseguente legittimazione ad agire a loro difesa riconosciuta agli enti che di essi sono portatori, come lucidamente osservato dall’Adunanza da ultimo richiamata, si assiste sempre più alla comparsa di un interesse legittimo che, sebbene dal versante dell’interesse legittimo individuale, tende a quello più generale[14], determinando un mutamento dell’interesse a ricorrere per cui “non è affatto necessario che la tutela dell’interesse collettivo ridondi anche in un materiale ed effettivo vantaggio per tutti i singoli componenti della comunità o della categoria che, in relazione agli atti contestati, vantino un interesse individuale, concreto e qualificato”; ovvero, una tendenza verso la tutela dell’interesse pubblico vero proprio, la cui cura, in virtù del principio di legalità, è rimessa unicamente all’amministrazione[15].

Modello oggettivo di giustizia amministrativa e casi discussi.

Alla giurisdizione soggettiva preposta alla tutela di interessi legittimi si contrappone una legittimazione ad agire sui generis che fonda l’accesso alla giustizia amministrativa su una previsione di legge, dando adito ad un modello di giurisdizione oggettiva preposta alla tutela dell’interesse pubblico.

In presenza di un’espressa previsione di legge, l’interesse pubblico, la cui tutela è generalmente prerogativa della Pubblica Amministrazione secondo il principio di legalità, può eccezionalmente trovar tutela anche per il tramite dell’esercizio di un’azione giurisdizionale da parte del privato. In tal caso, la giurisdizione amministrativa, esercitata nell’interesse pubblico, assume natura oggettiva. Sul piano processuale, la conseguenza più evidente è che, il venir meno dell’interesse del privato all’esercizio dell’azione giurisdizionale nel corso del processo non può dar luogo ad improcedibilità del ricorso. Esso proseguirà l’iter processuale fino alla sentenza, in ragione dell’interesse pubblico che lo sottende.

Tra le fattispecie particolarmente dibattute in ordine ad una eventuale loro configurabilità come ipotesi di giurisdizione oggettiva vi sono le forme di legittimazione ex lege sprovviste della titolarità di un interesse legittimo.

In primo luogo, si rinvengono le azioni popolari in cui la legittimazione ad agire sussiste a prescindere dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva, essendo sufficiente la mera affermazione della qualità di cittadino[16].

L’art 9, comma 1, d.lgs. 267/2000 attribuisce al cittadino elettore il potere di far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano all’ente locale. L’azione ha natura sostitutiva o suppletiva, e non è di tipo correttivo (l’attore non mira, in contrasto con l’ente stesso, a rimuovere gli errori e le illegittimità da questo commessi): il suo presupposto necessario va dunque rinvenuto soltanto nell’omissione, da parte dell’ente, dell’esercizio delle proprie azioni. L’art. 9 cit., infatti, costituisce uno dei casi in cui, per espressa previsione di legge, può aversi un legittimo fenomeno di sostituzione. Tale disposizione conferisce al cittadino elettore dell’ente locale una forma di legittimazione speciale la quale, pur non fondata sulla titolarità propria e diretta di una posizione giuridica, costituisce titolo autonomo, basato solo sulla previsione di legge e sul presupposto della cittadinanza, per adire il giudice.

L’art. 70 d.lgs. 267/2000 attribuisce al cittadino elettore il potere di promuovere la decadenza dalla carica di Sindaco, Presidente della Provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale.

L’art. 130 c.p.a., nell’ambito del giudizio elettorale, prevede che, conclusa la fase preparatoria del comizio elettorale, è ammessa la proposizione del ricorso da parte di qualsiasi candidato o elettore contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all’indizione dei comizi elettorali. In questi casi, il cittadino fa valere un interesse pubblico al corretto svolgimento delle operazioni elettorali; pertanto, il processo ha natura oggettiva e, in virtù di un’espressa previsione di legge, ai sensi dell’art. 81 c.p.c. sì deroga al modello generale di accesso alla giustizia.

Non del tutto definiti sono una serie casi in cui, le diverse opinioni circa la natura dell’interesse azionabile in giudizio, non permettono un unanime apprezzamento della natura del processo.

Si fa riferimento alla class action pubblica prevista dal d.lgs. n. 198/2009, espressione della concezione di un’amministrazione di risultato, fondata sul principio costituzionale di buon andamento ex art. 97 Cost nonché sul diritto ad una buona amministrazione di cui all’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[17]

L’azione si propone in caso di violazione dei termini del procedimento, di mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori da emanarsi entro e non oltre un termine fissato dalla legge, di violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi, di violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti. È esclusa la possibilità di ottenere un risarcimento dei danni. La legittimazione attiva spetta ai titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di persone i quali ricevono una lesione diretta, concreta e attuale dei propri interessi.

Secondo una prima tesi, questa azione sarebbe assimilabile ad una azione popolare posta a tutela dell’interesse pubblico correlato all’esatta erogazione di un servizio o al corretto svolgimento della funzione[18].

L’orientamento prevalente ritiene che si tratta di un’azione a tutela di un interesse diffuso, anche se resta indefinito quale sia il bene o l’interesse cui si correla[19].

Indefinite risultano anche la legittimazione ex lege dell’Agcm e dell’Anac, rispettivamente ai sensi dell’art. 21- bis l. 287/1990 e dell’art 211 d.lgs. 50/2016[20].

Una prima tesi ritiene che, qualora l’Autorità impugni atti che ledano le sue prerogative, sussista una giurisdizione di tipo oggettivo in quanto l’Autorità esercita l’azione a tutela dell’interesse pubblico. Come è stato puntualmente osservato, la natura oggettiva di questa giurisdizione si riflette inevitabilmente sull’atteggiamento delle condizioni dell’azione e della situazione sostanziale fatta valere in giudizio[21].

A tale riguardo, non può dirsi che le Autorità siano titolari di un interesse legittimo in senso proprio, figurando, altresì, più come tutela di un interesse pubblico alla tutela della concorrenza e della legalità. Pertanto, la legittimazione ad agire non scaturisce da una situazione di titolarità della situazione soggettiva fatta valere ma sorge, bensì, per volontà della legge. Sfuma, in tal modo, anche l’interesse ad agire. Avendo per presupposto un interesse personale, attuale, concreto al ricorso che persegua un’effettiva utilità per il ricorrente, non può ravvedersi nell’azione dell’Autorità a presidio della concorrenza o della legalità la cura di un interesse personale, bensì di un valore che, sebbene entificabile, non è intestabile in quanto patrimonio della collettività e, dunque, interesse pubblico.

Una seconda tesi ritiene che le norme contemplino un’azione a tutela di un interesse diffuso[22], prevedendo così la titolarità di un interesse legittimo e superando le censure in punto di tendenza alla giurisdizione oggettiva. Tuttavia, questo orientamento sconta un’interpretazione del concetto di interesse legittimo eccessivamente ampia, che rischia di svuotarlo di contenuto.

In ultima analisi, sembra opportuno interrogarsi sulle conseguenze del mutato orientamento giurisprudenziale in ordine alla natura escludente del ricorso incidentale.

Le parti resistenti in giudizio e i controinteressati, come noto, possono “proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale” ex art 42 c.p.a..

La cognizione del ricorso incidentale è attribuita, salvo eccezioni, al giudice competente per il ricorso principale. Affinché il ricorso sia ammissibile, occorre la legittimazione ad agire; specularmente, il difetto determina l’inammissibilità del ricorso. La questione è stata oggetto di un vivace dibattito con riferimento al settore dei contratti pubblici.

In particolare, in tale settore la legittimazione si dimostra mediante la legittima partecipazione alla gara. Solo il concorrente che poteva validamente concorrere nella procedura di gara è titolare di un interesse legittimo ad impugnarne gli atti.

Su queste premesse, un orientamento risalente della giurisprudenza sosteneva la natura escludente e paralizzante del ricorso incidentale. Secondo questo orientamento, il ricorrente incidentale che avesse provato che la stazione appaltante avrebbe dovuto escludere dalla procedura di gara il ricorrente principale, per difetto dei requisiti di partecipazione, avrebbe fatto venir meno la legittimazione ad agire di quest’ultimo e, dunque, l’ammissibilità del suo ricorso[23]. Ciò comportava sempre il prioritario scrutinio del ricorso incidentale sul principale, il quale, se inammissibile, non veniva esaminato.

Questo orientamento è stato oggetto di censure da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea[24], la quale ha ritenuto che questa regola processuale e la prassi conseguente, non fosse conforme al diritto europeo.

In un primo momento, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, pur ribadendo la regola del previo esame del ricorso incidentale con finalità escludente, ha riconosciuto, in via di eccezione, la necessità di provvedere al contestuale esame del ricorso principale e incidentale nei casi in cui, la gara abbia registrato due concorrenti, e sia necessario assicurare il rispetto del principio della parità delle parti nel processo[25].  In tali casi, il ricorrente principale fa valere un vizio relativo alla stessa fase della procedura cui si riferisce il vizio fatto valere dal ricorrente incidentale, realizzando una simmetria escludente, per cui si rende necessario procedere all’esame contestuale delle censure prospettate in entrambi i ricorsi.

Successivamente, nel caso c.d. Puligienica[26], la Corte di Giustizia ha ribadito la contrarietà al diritto europeo della regola processuale per cui l’esame prioritario di un ricorso incidentale può portare, qualora sia fondato, all’irricevibilità di un ricorso principale diretto ad ottenere l’esclusione del concorrente che ha agito in via incidentale.

In giurisprudenza si è registrato un acceso dibattito sulla portata applicativa di questa pronuncia.

Secondo un primo orientamento, l’esame del ricorso principale, in presenza di un ricorso incidentale escludente e fondato, è doveroso, anche se le imprese sono più di due, solo se il suo accoglimento produce un vantaggio, anche mediato e strumentale, per il ricorrente principale, ossia solo se ne possa conseguire la ripetizione della procedura di gara.

Un secondo orientamento ritiene, altresì, che occorra sempre esaminare il ricorso principale, indipendentemente dal numero di concorrenti in gara e anche se il ricorrente principale non tragga alcun vantaggio, neppure mediato, dal suo accoglimento.

In ragione del contrasto esistente, il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria, la quale, a sua volta, ha rimesso la questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia[27].

La Corte di Giustizia, in linea di continuità con i principi declinati nelle precedenti sentenze Fastweb e Puligenica, ha affermato che la ricevibilità del ricorso principale non può “essere subordinata alla previa constatazione che tutte le offerte classificate alle spalle di quella dell’offerente autore di detto ricorso sono anch’esse irregolari; né “alla condizione che il suddetto offerente fornisca la prova del fatto che l’amministrazione aggiudicatrice sarà indotta a ripetere la procedura di affidamento di appalto pubblico”; né che gli “altri offerenti classificatisi dietro l’autore del ricorso principale non sono intervenuti nel giudizio a quo[28].

La pronuncia in commento ha destato alcune perplessità in dottrina, dove si è messo in rilievo come, con questa affermazione, la Corte finisca per condizionare l’accesso al ricorso “al puro e semplice fatto storico dell’avvenuta partecipazione alla gara[29].

In particolare, l’azione sembra prescindere dalla titolarità dell’interesse legittimo sul piano sostanziale, risultando necessario e sufficiente, unicamente l’interesse a ricorrere di natura strumentale, in una logica di giurisdizione oggettiva[30].

In una logica di primazia del rispetto della legalità, la Corte di Giustizia giunge ad ampliare le maglie dell’interesse a ricorrere al di là dell’interesse finale al bene della vita, fin ad una strumentale astratta possibilità di ripetizione della gara. Si delinea per tal via un interesse a ricorrere ipotetico di quarto grado[31], che sussiste anche qualora il ricorrente non ottiene alcun vantaggio personale e concreto dalla pronuncia ma beneficia della ristabilita parità concorrenziale, così da evitare un indebito vantaggio per l’aggiudicatario che si concretizzerebbe in uno squilibrio del mercato, e soddisfa l’interesse alla legalità delle procedure di gara, arrogandosi un’astratta possibilità di aggiudicarsela ove ripetuta.

In definitiva, la Corte valorizza un interesse strumentale, come condizione dell’azione, potenzialmente slegato da un’effettiva utilità del ricorso, e difficilmente inquadrabile all’interno della giurisdizione soggettiva delineata nell’ordinamento costituzionale[32].

Con argomentazioni inerenti al c.d. rito super-accelerato in materia di appalti di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., e ben apprezzabili in questa materia, la Corte Costituzionale, affrontando per la prima volta il tema della natura della giurisdizione amministrativa, ha affermato come la legittimità costituzionale dell’interesse strumentale, anche se non definitivamente esclusa, non è affatto incondizionata, in quanto, gli artt. 24, 103 e 113 Cost. “hanno posto al centro della giurisdizione amministrativa l’interesse sostanziale al bene della vita”, sicché l’interesse strumentale può ritenersi “non distonico” rispetto ai ricordati precetti costituzionali a condizione “che sussista un solido collegamento con l’interesse finale e non si tratti di un espediente per garantire la legalità in sé dell’azione amministrativa[33].

In altri termini, l’ampliamento dell’interesse al ricorso, come condizione dell’azione, fino al punto di ricomprendere un interesse meramente strumentale, per essere conforme a Costituzione, deve risolversi in un beneficio effettivo del ricorrente a cui può aspirare tramite il ricorso, e quindi in un ampliamento non ipotetico della sua tutela[34].

Dunque, in conclusione, non può non registrarsi una distanza non indifferente tra la posizione della Corte di Giustizia, assimilabile ad una logica di giurisdizione oggettiva, e la posizione della Corte Costituzionale la quale richiede un solido collegamento con l’interesse finale affinché non si esorbiti dal tracciato costituzionale della giurisdizione soggettiva[35].

 

 

[1] M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, VI ed, 2002, p. 15.

[2] M. Clarich, Manuale di Giustizia amministrativa, Bologna, Ed. provvisoria 2020, p. 16.

[3] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 2 aprile 2020, n. 10, il quale, pronunciandosi in materia di accesso civico, ha affermato:

14.2. L’interesse legittimo degli operatori economici nel settore dei rapporti contrattuali e concessori pubblici ha assunto ormai una configurazione di ordine anche solo strumentale, certo inedita nella sua estensione, ma di sicuro impatto sistematico.

14.3. Ciò si desume non solo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE – che, come è noto, propugna una (sin troppo ampia) concezione dell’interesse strumentale in materia di gara (sentenza della X sezione, 5 settembre 2019, in C-333/18) – ma dalla stessa giurisprudenza di questa Adunanza plenaria (sentenza n. 6 dell’11 maggio 2018) la quale ha ben chiarito che il legislatore può conferire rilievo a determinati interessi strumentali, che assurgono al rango di situazioni giuridiche soggettive giuridicamente tutelate in via autonoma rispetto al bene della vita finale, ancorché ad esso legati.

14.4. Anche la Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 271 del 13 dicembre 2019 – respingendo le questioni di costituzionalità sollevate da diversi Tribunali amministrativi regionali sul comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., ora abrogato in seguito all’intervento del d.l. n. 32 del 2019, conv. in l. n. 55 del 2019 – ha chiarito che «se è vero che gli artt. 24, 103 e 113 Cost., in linea con le acquisizioni della giurisprudenza del Consiglio di Stato, hanno posto al centro della giurisdizione amministrativa l’interesse sostanziale al bene della vita, deve anche riconoscersi che attribuire rilevanza, in casi particolari, ad interessi strumentali può comportare un ampliamento della tutela attraverso una sua anticipazione e non è distonico rispetto ai ricordati precetti costituzionali, sempre che sussista un solido collegamento con l’interesse finale e non si tratti di un espediente per garantire la legalità in sé dell’azione amministrativa, anche al costo di alterare l’equilibrio del rapporto tra le parti proprio dei processi a carattere dispositivo».

14.5. La latitudine di questo intesse legittimo “strumentale” non solo all’aggiudicazione della commessa, quale bene della vita finale, ma anche, per l’eventuale riedizione della gara, quale bene della vita intermedio, secondo quel “polimorfismo” del bene della vita alla quale tende per graduali passaggi l’interesse legittimo, schiude la strada ad una visione della materia, che fuoriesce dall’angusto confine di una radicale visione soggettivistica del rapporto tra il solo, singolo, concorrente e la pubblica amministrazione e che vede la confluenza e la tutela di molteplici interessi anche in ordine alla sorte e alla prosecuzione del contratto, fermo pur sempre il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa in questa materia.

[4] Si v. da ultimo Cons. di Stato, Adunanza Plenaria, 27 aprile 2015 n. 5. che ha ribadito la natura di giurisdizione soggettiva e non oggettiva della giurisdizione amministrativa, governata dal principio della domanda nella sua duplice accezione, sa di principio dispositivo sostanziale – inteso quale espressione del potere esclusivo della parte di disporre del suo interesse materiale sotto ogni aspetto compresa la scelta di richiedere o meno la tutela giurisdizionale, che di principio dispositivo istruttorio (sia pure con i temperamenti enucleabili dagli artt. 63 e 64 c.p.a., in relazione al processo impugnatorio, ed ispirati al c.d. sistema dispositivo con metodo acquisitivo).

[5] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Parte speciale, ed. Giappichelli, 2021, p 1939.

[6] M. Clarich, Manuale di giustizia amministrativa p. 136; C.G.A.R.S., sent. 302/2016.

[7] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 9 dicembre 2021, n. 22, il quale, tra i principi enunciati, ha affermato che: Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato.

[8] Per un approfondimento circa i caratteri della personalità, della concretezza e attualità della lesione si rimanda a F.G. Scoca, Giustizia amministrativa, Giappichelli, 2020.

[9] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 9 dicembre 2021, n. 22.

[10] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 26 aprile 2018, n. 4.

[11] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 2 novembre 2015, n. 9.

[12] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 20 febbraio 2020, n. 6.

[13] V. Lopilato, Ibid, p.g 109-110.

[14] Cons. Stato, Ad. P., n. 6/2020 secondo il quale, “La circostanza che la cura dell’interesse pubblico generale (ad es. all’ambiente) sia rimessa all’amministrazione non toglie, tuttavia, che essa sia soggettivamente riferibile, sia pur indistintamente, a formazioni sociali, e che queste ultime, nella loro dimensione associata, rappresentino gli effettivi e finali fruitori del bene comune della cui cura trattasi. Le situazioni sono infatti diverse ed eterogenee: l’amministrazione ha il dovere di curare l’interesse pubblico e dunque gode di una situazione giuridica capace di incidere sulle collettività e sulle categorie (potestà); le associazioni rappresentative delle collettività o delle categorie invece incarnano l’interesse sostanziale, ne sono fruitrici, e dunque la situazione giuridica della quale sono titolari è quella propria dell’interesse legittimo, id est, quella pertinente alla sfera soggettiva dell’associazione, correlata a un potere pubblico, che, sul versante processuale, si pone in senso strumentale ad ottenere tutela in ordine a beni della vita, toccati dal potere riconosciuto all’amministrazione”.

[15] G. Mannucci, La legittimazione a ricorrere delle associazioni: fuga in avanti o ritorno al passato?, in Giornale di diritto amministrativo, n. 4, 1 luglio 2020, p. 520; P. Urbani, Vicinitas e interesse al ricorso, in Giornale di Diritto Amministrativo, n. 3, 1 maggio 2022, p. 341. L’autore, inoltre, richiama efficacemente a titolo di esempio la sent. Cons. Stato n. 8641/2021 con la quale – su ricorso del Codacons – è stata annullata l’autorizzazione paesaggistica, prodromica al rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di un fast-food Mac Donald davanti alle Mura Aureliane

[16] V. Lopilato, op.cit., p. 1939.

[17] V. Lopilato, op.cit., p. 279.

[18] R. Lombardi, Le azioni collettive, in F. Scoca, Giustizia amministrativa, Torino, 2017, p. 227

[19] F. Cintioli, Note sulla cosiddetta class action amministrativa, in www.giustamm.it, 2010.

[20] Il 30 gennaio 2017, presso l’Università degli Studi Roma TRE, si è svolto un convegno sul tema “Profili soggettivi e oggettivi della giustizia amministrativa”. Nella relazione introduttiva, pubblicata in Federalismi n. 3/2017, M. A. Sandulli ha ricordato che tra i più significativi elementi che costituiscono espressione di una possibile giurisdizione di tipo oggettivo, si annoverano: “a) la legittimazione dell’Autorità Antitrust e di alcune amministrazioni centrali (MIUR, MEF) ad agire in giudizio per l’annullamento di atti contra legem assunti da altre amministrazioni (negli ultimi due casi, a prescindere dall’utilità dell’annullamento per l’interesse pubblico particolare affidato alla tutela dell’amministrazione ricorrente); b) il potere dell’Adunanza plenaria del CdS di decidere “nell’interesse della legge” su questioni di diritto non più rilevanti per definire la controversia; c) il potere/dovere dei giudici di pronunciarsi sull’inefficacia del contratto pubblico in caso di annullamento dell’aggiudicazione per vizi gravi o di irrogare sanzioni pecuniarie sostitutive per vizi meno gravi; d) il potere/dovere dei giudici di disapplicare le leggi in contrasto con il diritto dell’Unione europea e il potere/dovere dei giudici di ultima istanza di rimettere in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE le questioni di compatibilità con il diritto dell’Unione”.

[21] F. Cintioli, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ex art 21 bis della legge n. 287/1990 e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, in Federalismi.it, n.12/2012.

[22] V. Lopilato, op. cit., p. 284.

[23] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 7 aprile 2011,  n. 4, facendo applicazione delle tradizionali nozioni di legittimazione ad agire e di ricorso incidentale, l’esame del ricorso incidentale escludente è sempre preliminare rispetto all’esame di quello principale, poiché l’accertamento della illegittima ammissione alla gara del concorrente comporta il suo difetto di legittimazione ad agire: l’altrui aggiudicazione, cioè, può essere efficacemente contestata solo dal concorrente legittimamente ammesso alla gara, perché altrimenti esso non avrebbe titolo all’aggiudicazione, a nulla rilevando il suo eventuale interesse (strumentale) alla rinnovazione dell’intera procedura. Ne consegue, a questa stregua, che l’accoglimento del ricorso incidentale escludente ha effetto paralizzante del ricorso principale, che pertanto non deve essere esaminato dal giudice.

[24] Corte di Giustizia, Un. Eu., 4 luglio 2013, C-100/12, Fastweb.

[25] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9.

[26] Corte di Giustizia, Un. Eu., 5 aprile 2016, c_689/13, Puligienica.

[27] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 11 maggio 2018, n. 6.

[28] Corte di di Giustizia Un. Eu., 5 settembre 2019, C-333/18; da ult. ribadito da Corte di giust, Un. Eu., 21 dicembre 2021, Grande sezione, causa C-497/120, Randstad Italia SpA.

[29] L. Bertolazzi, La giurisprudenza europea in tema di ricorso incidentale escludente, in Dir. Proc. Amm., fasc. 2, 1 giugno 2020, p. 519.

[30] M. Baldi, La Corte UE ancora sul ricorso incidentale escludente: la concorrenza come bene della vita?, in Urbanistica e appalti, 1/2020, p. 61.

[31] Corte Costituzionale, Servizio Studi, P. L. Tomaiuoli, Le più importanti questioni di diritto amministrativo nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale (2017-2022), Dicembre 2022, p. 23.

[32] Si vd. A. Berti Suman, L’immediata impugnazione delle clausole del bando di gara e il ruolo dell’interesse strumentale nel (nuovo) contenzioso appalti, in www.sipotra.it., 5, 2018, la quale afferma: “il filtro dell’interesse a ricorrere deve invece continuare ad avere un ruolo selettivo per non rientrare nella giurisdizione oggettiva, che ha ad oggetto la mera legittimità della azione amministrativa, la quale non pare compatibile con l’art. 103 Cost”.

[33] Corte Costituzionale, 18 dicembre 2019 n. 271.

[34] Corte Costituzionale, Servizio Studi, ibid., p. 21.

[35] Corte Costituzionale, Servizio Studi, ibid., p 23.

 

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