14/09/2020 – Beni culturali. Vincoli diretti ed indiretti

Beni culturali. Vincoli diretti ed indiretti
Pubblicato: 11 Settembre 2020
TAR Veneto Sez. II n. 694 del 30 luglio 2020

L’ordinamento conosce due distinte forme di tutela, comunemente nota come “vincolo”, dei beni immobili di interesse culturale. In primo luogo, v’è il cd. vincolo diretto, che riguarda “le cose immobili… che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”: esso grava per legge sugli immobili di tal tipo che appartengano “allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro”, sì che il relativo decreto ha natura ricognitiva, e assume lo scopo pratico di consentire una trascrizione con efficacia pubblicitaria nei registri immobiliari, mentre va costituito con un apposito provvedimento, di carattere stavolta costitutivo, se il bene immobile appartiene a soggetti diversi da quelli elencati. Così il vigente art. 10 del d. lgs. 22 gennaio 2004 n°42, in sostanza riproduttivo delle abrogate norme degli artt. 1 e 3 della l. 1 giugno 1939 n°1089. Esiste poi il cd. vincolo indiretto, in base al quale “Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”, così come previsto ora dall’art. 45 comma 1 del citato d. lgs. 42/2004 e in precedenza dall’art. 21 della l. 1089/1939. E’ il vincolo volto a proteggere la cd. “quinta”, ovvero il contesto in cui il bene culturale si inserisce: si fa l’esempio di un palazzo storico concepito come sito al centro di un’area libera, che perderebbe la propria identità se venisse circondato da costruzioni moderne su quell’area realizzate.

 
Pubblicato il 30/07/2020

N. 00694/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00853/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 853 del 2019, proposto da

Omnia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Emiliano Bandarin Troi, Flavia Degli Agostini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero per i Beni e Le Attività Culturali – Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Venezia e le Province, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, piazza S. Marco, 63;

nei confronti

Comune di Padova non costituito in giudizio;

per l’annullamento

del diniego alla richiesta di autorizzazione ex art. 21 co. 4 del D.lgs. 42/2004, prot. num. 13625 del 28.05.2019, avente ad oggetto “palazzo Martinengo, Via Euganea, fg. 101, mapp. 340, 441, 442 (già 2) tutela art. 10, co. 3e art. 13, co. 1 a seguito notifica dell’interesse culturale ai sensi del D.lgs. 22.01.2004, n. 42, con D.M. 25-07-1941 e D.M. 13.08.1947 emanati ai sensi della legge 1089/1939. Progetto di rigenerazione urbana per la realizzazione di un nuovo edificio a destinazione residenziale tra Via Euganea e Via Cristoforo Moro”; di ogni altro provvedimento conseguente, presupposto o comunque connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per L’Area Metropolitana di Venezia e Le Province;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 giugno 2020 il dott. Marco Rinaldi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Si controverte sulla legittimità del provvedimento in epigrafe indicato, con cui la

Soprintendenza ha negato l’autorizzazione ex art. 21 co. 4 del D.lgs. 42/2004 ad eseguire un intervento edilizio su un’area di proprietà della ricorrente, retrostante l’immobile denominato palazzo “Martinengo”, sul rilievo che il vincolo storico e artistico gravante su palazzo “Martinengo” si estende anche all’area retrostante.

La ricorrente ha contestato tale assunto, ritenendo che il vincolo de quo insiste soltanto sul palazzo e non investe anche l’area pertinenziale retrostante, ormai da tempo priva di qualsiasi valore storico e artistico in quanto l’antico giardino e il brolo non sono più esistenti da molto tempo e le relative arre sono state saturate e occupate sin dai primi anni del Novecento da magazzini e officine artigianali, oggi in stato di degrado.

Il Ministero ha chiesto il rigetto del ricorso, sostenendo che il vincolo storico-artistico gravante su palazzo “Martinengo” si estende anche all’area pertinenziale retrostante, come desumibile dalle indicazioni catastali.

All’udienza in epigrafe indicata la causa è passata in decisione.

Il ricorso merita accoglimento per le ragioni di seguito sinteticamente esposte.

Giova premettere che il nostro ordinamento conosce due distinte forme di tutela, comunemente nota come “vincolo”, dei beni immobili di interesse culturale.

In primo luogo, v’è il cd. vincolo diretto, che riguarda “le cose immobili… che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”: esso grava per legge sugli immobili di tal tipo che appartengano “allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro”, sì che il relativo decreto ha natura ricognitiva, e assume lo scopo pratico di consentire una trascrizione con efficacia pubblicitaria nei registri immobiliari, mentre va costituito con un apposito provvedimento, di carattere stavolta costitutivo, se il bene immobile appartiene a soggetti diversi da quelli elencati. Così il vigente art. 10 del d. lgs. 22 gennaio 2004 n°42, in sostanza riproduttivo delle abrogate norme degli artt. 1 e 3 della l. 1 giugno 1939 n°1089.

Esiste poi il cd. vincolo indiretto, in base al quale “Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”, così come previsto ora dall’art. 45 comma 1 del citato d. lgs. 42/2004 e in precedenza dall’art. 21 della l. 1089/1939. E’ il vincolo volto a proteggere la cd. “quinta”, ovvero il contesto in cui il bene culturale si inserisce: si fa l’esempio di un palazzo storico concepito come sito al centro di un’area libera, che perderebbe la propria identità se venisse circondato da costruzioni moderne su quell’area realizzate.

Nel caso di specie, così come risulta dalla lettura dei decreti dichiarativi del 1941 e del 1947, si è di fronte ad un vincolo diretto, adottato all’epoca, ai sensi della l. 1089/1939, in considerazione del particolare pregio della facciata del Palazzo Martinengo.

Ciò chiarito, è controverso in causa, quale sia la portata effettiva del vincolo stesso, ovvero se esso gravi soltanto sull’edificio propriamente detto (il Palazzo, la Casa Martinengo), così come sostiene la ricorrente, ovvero se esso interessi anche l’area pertinenziale retrostante.

Ritiene il Collegio che la tesi corretta sia quella della ricorrente.

In proposito va premesso che un qualsiasi vincolo alla disponibilità, intesa in senso ampio, di un bene di proprietà privata – garantita in quanto tale dall’art. 42 Cost. – non può che essere di stretta interpretazione (cfr, C.d.S. sez. VI 12 luglio 2011 n°4198): nel dubbio, quindi, si dovrà concludere per l’inesistenza o la minore estensione del vincolo.

Ciò posto, a favore della tesi restrittiva sostenuta dalla ricorrente militano, le seguenti assorbenti considerazioni:

a) l’area pertinenziale retrostante il Palazzo non è oggetto di alcuna descrizione nei decreti dichiarativi del vincolo;

b) secondo quanto sostenuto dalla parte ricorrente (con deduzioni in facto che non sono state specificamente contestate dalla P.A. e devono pertanto ritenersi pacifiche ex art. 64, comma 2, c.p.a), negli anni Quaranta del secolo scorso, in cui vennero adottati i decreti di vincolo da cui origina la presente vertenza, l’antico giardino e il brolo non esistevano più da tempo, in quanto le relative aree erano state saturate e occupate sin dai primi anni del Novecento da strutture precarie (magazzini/officine artigianali), prive di qualsiasi valore storico-artistico..

Alla luce delle descritta situazione di fatto, preso atto che i decreti di vincolo non descrivono l’area per cui è causa, applicato il criterio restrittivo di cui s’è detto, considerato altresì che sull’area retrostante il Palazzo Martinengo non consta sussistere un vincolo di tutela indiretta, si deve negare che – allo stato, e ovviamente salvi futuri ed eventuali provvedimenti dell’amministrazione- il vincolo apposto su Palazzo Martinengo si estenda, in via diretta o indiretta, all’area retrostante, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Le ragioni della decisione, fondata sull’interpretazione dei contenuti dell’atto di vincolo, suscettibile di vario giudizio, inducono a compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate, ferma la restituzione del contributo unificato a carico della P.A.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2020, tenutasi da remoto mediante collegamento in videoconferenza, con l’intervento dei magistrati:

Alberto Pasi, Presidente

Marco Rinaldi, Primo Referendario, Estensore

Mariagiovanna Amorizzo, Referendario

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