14.04.2015 – Delega Madia, nella dirigenza locale rischi finanziari dall’apertura agli incarichi esterni

Delega Madia, nella dirigenza locale rischi finanziari dall’apertura agli incarichi esterni

di Pasquale Monea e Marco Mordenti

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La riforma della dirigenza pubblica si appresta a un passaggio fondamentale nell’Aula del Senato, dopo le “obiezioni” sulla copertura finanziaria arrivate dalla commissione Bilancio e dalla Ragioneria generale, e uno dei temi più discussi è quello della nuova figura del dirigente apicale degli enti locali. Il testo votato in commissione, grazie ai miglioramenti introdotti in Commissionecon l’emendamento n. 10.504/7 (il cosiddetto «Saggese-bis»), fa chiarezza sulla necessità per tutti gli enti locali di nominare un dirigente apicale con compiti di attuazione dell’indirizzo politico, coordinamento dell’attività amministrativa e controllo della legalità dell’azione amministrativa.

Il problema delle coperture

Le osservazioni sulla copertura finanziaria impongono di capire quali siano i profili che davvero creano problemi di spesa pubblica. È opinione comune che la previsione di una figura apicale sia assolutamente imprescindibile in ogni organizzazione, pubblica o privata, e la commissione Affari istituzionali ha precisato che la nomina della nuova figura deve avvenire «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» e comunque «fermo restando il rispetto della vigente normativa in materia di contenimento della spesa di personale». Non solo: l’emendamento prefigura alcune significative economie per gli enti locali, grazie all’obbligo di gestione associata per i Comuni più piccoli. Il problema nasce quindi su un altro aspetto, quello della possibilità per gli enti maggiori di reclutare dirigenti apicali al di fuori dal ruolo unico, dal momento che in questo modo si genera una spesa aggiuntiva.

Comuni minori e maggiori 

Il Ddl obbliga i Comuni più piccoli (entro una soglia non precisata) a gestire la funzione di direzione apicale in via associata. La legge delegata dovrà trovare il punto di equilibrio, in raccordo con la legislazione sulle gestioni associate e tenuto conto dell’esigenza di assicurare una guida adeguata anche nei piccoli enti. Più opinabile è quanto stabilito per i Comuni capoluogo di Provincia e per quelli con più di 100mila abitanti, che – «in assenza di specifiche professionalità interne all’ente» – possono reclutare il dirigente apicale anche al di fuori del ruolo unico, purché in possesso di «adeguati requisiti culturali e professionali». In primo luogo la verifica preventiva prevista per legge va condotta sulle professionalità presenti nel ruolo, e non nel singolo ente; ciò premesso, vista la difficoltà di reperire nel settore privato figure in possesso di competenze sia giuridiche sia gestionali, questa proposta pare inidonea e controproducente – oltre che in palese contrasto con la giurisprudenza costituzionale in materia che ribadisce l’obbligo di assumere la dirigenza pubblica mediante procedura concorsuale (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 19 marzo). L’idea di utilizzare risorse umane provenienti dalle aziende private costituisce un tema ricorrente, che tuttavia contrasta anche con i principi in materia di contenimento della spesa pubblica; del resto il ruolo unico consente ora quella osmosi tra incarichi pubblici diversi, a fronte della quale è difficilmente giustificabile la maggior spesa legata a incarichi esterni.. Si potrebbe mutuare allora l’esperienza francese, che ammette l’accesso dal settore privato attraverso una quota del corso-concorso nazionale – in modo dunque compatibile con la nostra giurisprudenza costituzionale e contabile. Ovviamente deve essere espunto dal testo il riferimento all’articolo 108 del Tuel, inserito all’articolo 9, comma 1, lettera b), n. 3 con l’emendamento 10.504, il quale contrasta con l’impianto complessivo del subemendamento (10.504/7 – testo 2) che affida le funzioni direzionali al nuovo dirigente apicale. Non può che trattarsi di un refuso, dovuto verosimilmente alla fretta dell’ultimo giorno di lavoro; a meno che s’intenda confermare la doppia figura negli enti maggiori, in netta controtendenza con lo spirito della riforma e con il superamento della figura del segretario.

 

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