14/03/2018 – Erogazioni buoni pasto senza diritto: il dirigente risponde per danni erariali

Erogazioni buoni pasto senza diritto: il dirigente risponde per danni erariali

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista

 

La Corte dei Conti, sezione seconda giurisdizionale centrale, con la sentenza n. 55, del 6 febbraio 2018, ha legittimato l’ipotesi di danno erariale nei confronti di un dirigente amministrativo per aver autorizzato la concessione di buoni pasto al personale nonostante l’assenza di fonti normative primarie e secondarie a supporto di tale erogazione.

Il fatto

Con sentenza del dicembre 2014, la Sezione giurisdizionale per il Molise, ha condannato il direttore di un ente pubblico, al risarcimento del danno di oltre 6mila euro oltre accessori di legge, derivante dall’indebita erogazione di buoni pasto in favore del personale dell’Azienda nel triennio 2008-2010.

I giudici contabili del Molise avevano respinto l’eccezione preliminare di nullità della citazione ex artt. 163164 c.p.c., condividendo quanto affermato dalla procura contabile relativa all’assenza, nella specie, di fonti normative primarie e secondarie a supporto dell’erogazione dei buoni basti, autorizzati dal dirigente senza autorizzazione.

Il ricordo del dirigente

Avverso la sentenza il dirigente ha interposto tempestivo per i motivi che di seguito brevemente si riassumono:

– nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza ex artt. 163164 c.p.c., e conseguente erroneità della sentenza laddove ha respinto la relativa eccezione, essendo tutt’altro che irrilevante l’individuazione del tipo di CCNL applicabile in fattispecie, atteso che mentre quello del Commercio non contempla alcuna disposizione in materia di buoni pasto (non prevedendoli, ma neppure negandoli), viceversa quello degli Enti locali prevede precise condizioni e modalità procedimentali;

– erroneità della sentenza laddove ha qualificato come “lavoratori pubblici” i dipendenti dell’ente in questione (si trattava del F.A.I.), trattandosi viceversa di rapporto di lavoro interamente privatistico, come da invocata giurisprudenza della Corte di Cassazione;

– erroneità della sentenza laddove ha conseguentemente escluso la rilevanza in fattispecie della prassi aziendale, invocata in prime cure quale esimente della responsabilità. Nel rapporto di lavoro privato, infatti, le erogazioni economiche di maggior favore rispetto a quelle contrattuali poste in essere dal datore di lavoro in modo reiterato, integrano gli estremi dell’uso aziendale che, al pari dell’uso negoziale o di fatto, deve ritenersi inserito nel contratto individuale di lavoro ex art. 1340 c.c..;

– insussistenza della colpa grave stante l’eccepita legittimità dell’erogazione dei buoni pasto, in ragione dell’esistente prassi aziendale in materia.

L’analisi dei giudici della Corte dei Conti

Per i giudici contabili il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto integralmente.

La Corte evidenzia che, con il primo motivo il dirigente ripropone l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo del giudizio ex artt. 163164 c.p.c., lamentando la conseguente erroneità della sentenza laddove i giudici contabili regionale nel respingerla, avrebbero sostanzialmente reputato irrilevante l’individuazione del CCNL applicabile in fattispecie perché tanto il CCNL Commercio, quanto il CCNL Enti locali, affermerebbero “la stessa cosa” in materia di buoni pasto.

I giudici contabili osservano che nel caso in esame, l’atto di citazione appare tutt’altro che indeterminato o generico, atteso che, come affermato dai giudici contabili regionali, “l’esame del complessivo impianto accusatorio appare univoco nell’individuazione della condotta violativa del contratto nazionale collettivo di lavoro del commercio quando imputa alla convenuta, l’erogazione dei buoni pasto “a fronte di una totale assenza di previsione” da parte del citato CCNL”.

I giudici contabili osservano che appare evidente che il richiamo al CCNL Enti locali è stato operato solo a fini generali e nell’ambito di un quadro definitorio della materia. Il ricorrente, dopo aver richiamato il D.P.C.M. 18 novembre 2005, la L. n. 77 del 1997 e le modifiche successivamente intervenute, ha fatto riferimento alla contrattazione collettiva degli Enti locali al solo fine di ribadire il principio che l’erogazione dei buoni pasto “lungi dal potersi configurare quale obbligo per l’Ente”, rappresenta una mera possibilità tant’è, che del testo dell’art. 45, comma 1, del citato CCNL, è stato sottolineato l’inciso “possono istituire”. Viceversa, con riferimento specifico alla fattispecie di causa il Procuratore ha affermato a chiare lettere e senza alcun equivoco, che l’addebito di responsabilità a carico della dirigente si fonda su “una totale assenza di previsione da parte del CCNL del commercio”. Del resto, la stessa convenuta ha ammesso espressamente che il CCNL applicato al rapporto di lavoro dei dipendenti della FAI era quello del commercio.

Tale motivo è, pertanto, da respingere alla luce delle suddette precisazioni.

Con riferimento all’eccepita errata qualificazione operata in sentenza dei dipendenti della FAI quali “lavoratori pubblici”, la Corte dei Conti ritiene che la disamina della natura del rapporto di lavoro in questione non abbia alcuna rilevanza ai fini della responsabilità amministrativa, atteso che ciò che rileva, in fattispecie, è l’indubbia natura pubblica delle finalità perseguite dall’Ente e delle risorse impiegate. Le aziende speciali sono, infatti, “organismi strumentali” delle CCIAA che concorrono alla realizzazione delle “iniziative funzionali al perseguimento delle finalità istituzionali” proprie dell’Ordinamento camerale. Né v’è dubbio che le fonti di finanziamento di tali Aziende speciali provengano da Enti pubblici, come nel caso di specie, tant’è che del tutto fondatamente il primo giudice ha sottolineato che “è rimasta incontestata la prospettazione attorea secondo cui le fonti di finanziamento dell’Azienda provenivano da contributi messi a disposizione da Enti pubblici quali Regioni, Ministeri, Provincie, Comuni e anche dalla stessa Camera di Commercio”.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla natura delle predette Aziende speciali e sul rapporto di lavoro privatistico del personale dipendente (Cass. civ., Sez. Unite, n. 12907/2003 e n. 21503/2004) condiviso dalla Corte dei Conti, che peraltro non ha mancato altresì di osservare che ciò che “in questa sede rileva non è… la natura privatistica del rapporto di lavoro che avvince l’Azienda speciale ai propri dipendenti”, occorre evidenziare che è la natura incontestabilmente pubblica delle risorse impiegate (che ha, evidentemente, originato, a carico della FAI, la verifica amministrativo-contabile del M.E.F., Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato) ad assumere rilevanza assorbente ai fini di causa.

Per la Corte dei Conti non rileva, invece, la “incontestata natura sostanzialmente pubblica dell’ente datoriale” come affermato nell’impugnata sentenza, atteso che la giurisdizione contabile in fattispecie non è mai stata contestata dalla convenuta, neanche in appello.

Con riferimento all’esborso di denaro pubblico sotto forma di buoni pasto in assenza di una qualsiasi previsione normativa e contrattuale di riferimento, nonché di altro atto deliberativo e/o regolamentare dell’Ente, configura “all’evidenza un’erogazione sine titulo e, quindi, indebita”.

E’ pacifico ed incontestato infatti, che il CCNL Commercio disciplinante il rapporto di lavoro in questione (laddove al personale camerale è, invece, applicabile il CCNL Enti locali che, viceversa, contempla tali erogazioni previa apposita regolamentazione con le OOSS) non contenesse alcuna disposizione in tal senso, né è altrimenti emerso dalle risultanze di causa che l’Azienda abbia mai deliberato o regolamentato la materia.

In assenza di una fonte normativa, primaria o secondaria, o anche meramente interna all’Ente, idonea a legittimare l’erogazione di denaro pubblico, non v’è prassi o consuetudine che possa assumere valore scriminante della responsabilità ascritta al dirigente ricorrente.

La Corte dei Conti, con riferimento al richiamo all’uso aziendale e agli effetti che ne derivano sul contratto di lavoro individuale ex art. 1340 c.c., è del parere che trattandosi di istituto tipico del rapporto di lavoro privato, occorrerebbe preliminarmente verificare se l’erogazione dei suddetti benefit da parte dell’Azienda integri, effettivamente, gli estremi dell’uso aziendale, “riconducibile alla categoria degli usi negoziali o di fatto” i quali, peraltro, “devono essere idoneamente provati dalla parte che li allega”.

Sennonché, un tale accertamento esula evidentemente dalla cognizione del giudice contabile investendo la disciplina di un rapporto di lavoro privato quale è, nella specie, quello dei dipendenti della FAI e, come tale, deve essere rimesso al giudice del lavoro ex art. 409 c.p.c..

La colpa grave

Il collegio ritiene che, con riferimento alla colpa grave, esclusa la rilevanza della invocata prassi, nella indicata qualità di Direttore dell’Ente, avrebbe potuto/dovuto adottare, prima di autorizzare i singoli buoni pasto, una misura precauzionale minima quale la previa verifica dell’esistenza di una fonte legittimante l’esborso. Il fatto che i dipendenti percepissero i buoni pasto già prima del suo insediamento e che, pertanto, gli stessi fossero ormai “abituati” a riceverli quale componente usuale della retribuzione, non esonerava la stessa dal previo accertamento delle condizioni “generali” legittimanti l’erogazione, “al di là dell’autorizzazione uti singuli”. In particolare, l’evidente consapevolezza della natura pubblica delle risorse, unitamente all’altrettanto nota situazione deficitaria in cui versava l’Azienda, rendeva certamente esigibile ex ante e in concreto, un comportamento improntato a prudenza operativa. In via esemplificativa e non esclusiva, il dirigente avrebbe potuto indirizzare una richiesta formale (anche meramente esplorativa) al CDA dell’Ente per conoscere le ragioni dell’inserimento della spesa in questione tra quelle del personale, prima di procedere ad autorizzare di volta in volta l’erogazione dei singoli buoni. Non risulta invece alcun atto, richiesta e/o informativa in tal senso a firma del Direttore che, viceversa, pare essersi passivamente conformato all’abitudine invalsa di autorizzare i buoni pasto senza porsi alcuna domanda sulla legittimità dell’esborso, reiterando peraltro tale condotta per un considerevole lasso di tempo.

Corte dei Conti, seconda sezione giurisdizionale centrale, sentenza 6 febbraio 2018, n. 55

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