14/02/2019 – Raccolta rifiuti: possibile la riduzione della tassazione se si dimostra il disservizio

Raccolta rifiuti: possibile la riduzione della tassazione se si dimostra il disservizio

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3265, del 5 febbraio 2019, ha rigettato il ricorso di una contribuente nei confronti della società di riscossione (Equitalia spa) incaricata della riscossione dei tributi sullo smaltimento dei rifiuti, per conto del Comune: per i giudici di legittimità il contribuente ha diritto alla riduzione del tributo sui servizi solo se riesce a dimostrare che nel suo quartiere il servizio di raccolta non è stato attivato.

Il contenzioso tributario

Un contribuente impugnava la cartella di pagamento emessa da un Comune relativa alla TARSU per l’anno di imposta 2010, invocando la riduzione del 40% della tariffa comunale, applicata in virtù del disposto dell’art. 59, comma 4, D.Lgs. n. 507 del 1993, a causa dell’irregolare attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani nel quartiere in cui era ubicata la propria abitazione, rammentando che nell’anno 2010 la città (nel caso in esame di trattava di Napoli) fu interessata, come negli anni precedenti, dalla cd. “Emergenza dei rifiuti”.

L’ente impositore contestava la pretesa sulla base della delibera consiliare del giugno 2008 adottata dal Comune che aveva escluso la riduzione tariffaria per le ipotesi di impossibilità dei contribuenti di usufruire dei contenitori.

La CTP rigettava il ricorso; la contribuente si appellava alla CTR.

I giudici tributari regionali , nel rilevare la distinzione tra riduzioni obbligatorie e facoltative sulla base delle disposizioni normative (D.Lgs. n. 507 del 1993), disapplicavano l’art. 9 del regolamento comunale, il quale escludeva la riduzione tariffaria nelle ipotesi in cui l’impossibilità di usufruire dei contenitori per esaurimento della loro capacità ricettiva dipendeva da situazioni emergenziali legate alla saturazione degli impianti terminali di conferimento dei rifiuti solidi urbani, ritenendo la disposizione regolamentare non conforme al precetto di cui all’art. 59 citato. Tuttavia, sulla base della norma citata affermava il diritto dei contribuenti alla riduzione limitatamente al periodo corrispondente alla interruzione del servizio determinata da imprevedibili impedimenti organizzativi e previa presentazione al Comune della cd. diffida di cui all’art. 9 Regolamento TARSU.

Tuttavia i giudici regionali respingevano l’appello, in mancanza di prova in ordine alla omessa effettuazione del servizio di raccolta nell’anno 2010 nel quartiere di residenza della ricorrente; ulteriormente argomentando l’inidoneità, ai fini della invocata riduzione tariffaria, del fatto notorio relativo alla crisi campana dei rifiuti e la non riconducibilità dei periodi di sospensione della raccolta nel Comune di Napoli ad un dato di conoscenza nazionale o locale.

Avverso la sentenza sfavorevole la contribuente è ricorsa in Cassazione.

La sentenza della Cassazione

I giudici di legittimità, in riferimento al primo motivo di censura invocato dalla ricorrente, avente per oggetto il riconoscimento del diritto alla riduzione del tributo comunale, osservano che non può comportare la sua automatica estensione alla annualità 2010, in quanto il rapporto tributario postula l’accertamento di presupposti di fatto potenzialmente mutevoli.

Il vincolo oggettivo derivante dal giudicato, in relazione alle imposte periodiche, deve essere riconosciuto, quindi, nei soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione del rapporto; il presupposto oggetto di giudicato che il ricorrente intende far valere anche per l’anno di imposta 2010 attiene invece la crisi dei rifiuti relativa all’anno di imposta 2009, accertata dalla CTR.

Nel caso di specie, l’accertamento della crisi dei rifiuti in Campania per l’anno 2009 non può estendersi anche all’anno 2010, trattandosi di circostanze mutevoli nel tempo.

I giudici di legittimità osservano che il quarto comma, dell’art. 59D.Lgs. n. 507 del 1993 stabilisce che: “se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non si è svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione ovvero di esercizio dell’attività dell’utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui al primo comma, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2” (cioè in misura non superiore al 40% della tariffa). Il sesto comma della medesima disposizione prescrive che: “l’interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o, per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del tributo. Qualora tuttavia il mancato svolgimento del servizio si protragga, determinando una situazione riconosciuta dalla competente autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente secondo le norme e le prescrizioni sanitarie nazionali, l’utente può provvedere a proprie spese con diritto allo sgravio o restituzione, in base a domanda documentata, di una quota della tassa corrispondente al periodo di interruzione, fermo restando il disposto del comma 4”.

La commissione tributaria regionale, nella sentenza impugnata, ha escluso il diritto della contribuente alla riduzione tariffaria per questa ragione: “per provare tale fatto costitutivo del diritto alla riduzione non è sufficiente un rinvio ad fatto notorio della crisi campana dei rifiuti: ciò che è notorio che la Campania è stata per lungo tempo in crisi e che a più ripetizioni in alcuni Comuni ed in alcuni quartieri vi sono stati rallentamenti e blocchi di raccolta, non di certo che nell’anno considerato nella zona di residenza o dimora del contribuente e per quale periodo vi sia stato il blocco della raccolta”. Fermo restando che l’espletamento del servizio pubblico di nettezza urbana in conformità al regolamento previsto dal primo comma dell’art. 59D.Lgs. n. 507 del 1993 rientra, in ogni caso, nella responsabilità generale di buona amministrazione del Comune, la riduzione è purtuttavia dalla legge prevista per il fatto obiettivo che il servizio istituito non venga poi erogato secondo le prescritte modalità (sempre che lo scostamento da queste ultime comporti i suddetti caratteri di gravità e perdurante non fruibilità).

La riduzione tariffaria non opera, infatti, quale risarcimento del danno da mancata raccolta dei rifiuti né, men che meno, quale “sanzione” per l’amministrazione comunale inadempiente; bensì al diverso fine di ripristinare, in costanza di una situazione patologica di grave disfunzione per difformità dalla disciplina regolamentare, un tendenziale equilibrio impositivo (entro la percentuale massima discrezionalmente individuata dal legislatore) tra l’ammontare della tassa comunque pretendibile ed i costi generali del servizio nell’area municipale, ancorché significativamente alterato.

Correlazione sulla quale si basa la TARSU, senza con ciò contraddirne il carattere prettamente tributario e non privatistico-sinallagmatico (Cass. civ. S.U. n. 14903 del 2010Cass. civ. n. 4283 del 2010Cass. civ. n. 22531 del 2017).

La Cassazione osserva che correttamente la CTR si è uniformata al principio di diritto secondo il quale il diritto alla riduzione presuppone l’accertamento specifico (mirato sul periodo, sulla zona di ubicazione dell’immobile sulla tipologia dei rifiuti conferiti e, in generale, su ogni altro elemento utile a verificare la ricorrenza in concreto della richiesta riduzione) della effettiva erogazione del servizio di raccolta rifiuti in grave difformità, come detto, dalle previsioni legislative e regolamentari, il cui onere probatorio grava sul contribuente che invoca la riduzione, il quale deve dimostrare il presupposto della riduzione della TARSU ai sensi dell’art. 59, comma 4, D.Lgs. n. 507 del 1993; che consiste nel fatto obiettivo che il servizio di raccolta, istituito ed attivato non sia svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione o di esercizio dell’attività dell’utente.

Il diritto alla riduzione del tributo presuppone anche che il servizio sia svolto in grave violazione delle prescrizioni del regolamento del servizio di nettezza urbana, relative alle distanze e capacita dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio stesso, pur nella notorietà del grave e perdurante disservizio nella raccolta e conferimento dei rifiuti che ha colpito il Comune opponente la richiesta della contribuente.

Detto principio, secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa, mentre l’onere di provare eventuali esenzioni o riduzioni tariffarie è posto a carico dell’interessato trova consolidata conferma nella giurisprudenza della Cassazione.

Le conclusioni

Al riguardo, osserva la Corte di Cassazione, il processo era stato instaurato per affermare il diritto alla riduzione della TARSU, per il non regolare espletamento del servizio di raccolta dei rifiuti, contrastata dall’amministrazione già mediante l’atto impositivo, volto ad affermare l’assoggettamento dei locali alla predetta imposta.

Nel contenzioso, tuttavia, non è stato dimostrato che il servizio si è svolto in violazione del regolamento comunale.

Per tale motivo la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la contribuente anche al pagamento delle spese.

Cass. civ., Sez. Tributaria, 5 febbraio 2019, n. 3265

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