13/02/2019 – L’avvalimento del centro cottura – Tar Campania, Napoli, 12 febbraio 2019, n 776

L’avvalimento del centro cottura – Tar Campania, Napoli, 12 febbraio 2019, n 776

Scritto da Elvis Cavalleri –12 Febbraio 2019

Sull’avvalimento del centro cottura, e sulla (illegittima) configurazione di quest’ultimo quale requisito di partecipazione alla gara e non di mera esecuzione del contratto.

Va considerato legittimo un bando che esclude la possibilità di fornire il requisito tecnico consistente nel possesso di un “Centro di cottura” tramite l’istituto dell’avvalimento?

Sul punto Tar Campania, Napoli, 12 febbraio 2019, n 776.

quanto al primo aspetto della controversia, il divieto di avvalimento del requisito in parola non risulta congruamente giustificato ai sensi dell’art. 89, comma 4, del codice dei contratti pubblici e non rientra neanche nelle ipotesi residuali previste dal successivo comma 11.

Giova rammentare che la figura dell’avvalimento ha incontrato il favor del legislatore, dapprima a livello comunitario (ai sensi degli artt. 47 e 48 della Direttiva 2004/18/CE) poi nazionale, costituendo uno strumento per consentire ai concorrenti, che non dispongano dei requisiti richiesti (nella specie, di capacità economica-finanziario e tecnica-professionale), di partecipare alle gare di appalto, nell’ottica di assicurare la massima concorrenza. Proprio in ragione della sua ampia portata, l’avvalimento è considerato istituto con un ambito applicativo generale (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Ad. Pl., 4 novembre 2016, n. 23; Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2015, n. 4764; id., Sez. III, 13 ottobre 2014, n. 5057; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 1° febbraio 2017, n. 62) e, in quanto tale, non tollera interpretazioni limitative volte a restringerne l’applicabilità, ad eccezione dei requisiti soggettivi inerenti alla moralità e all’onorabilità professionale a tutela della serietà ed affidabilità degli offerenti.

A ciò consegue l’obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale e le clausole dei bandi di gara in senso conforme ai principi comunitari (c.d. criterio dell’interpretazione conforme) e di non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori (cfr. Corte di Giustizia, 10 ottobre 2013, in causa C-94/12; Corte di Giustizia, 7 aprile 2016, causa C-324/14; Consiglio di Stato, sez. V, 11/05/2017, n. 2184).

Ne discende anche che le fattispecie normative in cui non è ammesso il ricorso all’avvalimento, quali quelle previste dal citato art. 89, commi 4 e 11, del D. Lgs. n. 50/2016, costituendo eccezioni alla regola generale, vanno interpretate restrittivamente (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 maggio 2016, n. 479; T.A.R. Campania, Sez. V, 3 aprile 2018, n. 2144), tenuto conto che i limiti all’avvalimento in tanto si possono giustificare in quanto vi sia l’esigenza di fornire idonee garanzie alla stazione appaltante per la corretta esecuzione degli appalti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 17 febbraio 2016, n. 636; id., Sez. III, 7 marzo 2014, n. 1072; id., Sez. V, 21 marzo 2017, n. 1295).

In particolare, secondo la Corte di Giustizia, il diritto sancito agli articoli 47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3 della direttiva 2004/18 (l’avvalimento), “tenuto conto dell’importanza che esso riveste nell’ambito della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici, pone una regola generale di cui le amministrazioni aggiudicatrici devono tener conto allorché esercitano le loro competenze di verifica dell’idoneità dell’offerente ad eseguire un determinato appalto“, che “non può essere interpretata […] nel senso che solo in via di eccezione un operatore economico può fare ricorso alle capacità di soggetti terzi“.

Tanto premesso, non vale a giustificare la preclusione al cd. prestito del requisito, in difetto peraltro di ogni motivazione al riguardo, innanzitutto, la previsione del comma 4 dell’art. 89, secondo cui “Nel caso di appalti di lavori, di appalti di servizi e operazioni di posa in opera o installazione nel quadro di un appalto di fornitura, le stazioni appaltanti possono prevedere nei documenti di gara che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente o, nel caso di un’offerta presentata da un raggruppamento di operatori economici, da un partecipante al raggruppamento”. Invero, nell’ambito del più ampio servizio oggetto della concessione, non vi è alcuna ragione per ritenere l’attività di preparazione dei pasti, peraltro diretta a “dipendenti e familiari dei degenti” e non direttamente a questi ultimi, come essenzialmente legata in modo infungibile al solo operatore concorrente, venendo in rilievo un’ordinaria attività economica a carattere commerciale, come tale suscettibile di essere messa a disposizione attraverso l’istituto dell’avvalimento, la cui disciplina codicistica è tale da garantire efficacemente la stazione appaltante.

Neppure risultano astrattamente ipotizzabili, in difetto peraltro anche in tal caso di alcuna argomentazione a sostegno nella lex specialis, le ipotesi derogatorie previste dal successivo comma 11, in quanto, in disparte il rilievo che le stesse si riferiscono solo agli appalti o concessioni “di lavori”, le attività in questione non rivestono ictu oculi “notevole contenuto tecnologico” o “rilevante complessità tecnica”, sicché, anche sotto tale profilo, non si ravvisa alcuna valida ragione preclusiva all’ammissibilità del ricorso all’avvalimento“.

Con riferimento invece alla qualificazione del possesso del centro cottura quale requisito di partecipazione è richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale il quale ha chiarito che “trattasi di un elemento materialmente necessario per l’esecuzione delle prestazioni oggetto del servizio, come tale legittimamente esigibile verso il concorrente aggiudicatario definitivo come “condizione” per la stipulazione del contratto, perché è in quel momento che si attualizza per l’Amministrazione l’interesse a che il contraente abbia a disposizione una struttura per assicurare il servizio; in caso contrario si avallerebbe un’impostazione ingiustificatamente restrittiva della concorrenza e irragionevole, perché si imporrebbe a tutti i concorrenti di procurarsi anticipatamente, e comunque prima dell’aggiudicazione definitiva, un centro di cottura, reperendo – con evidente onere economico e organizzativo che poi potrebbe risultare ultroneo per chi non risulta aggiudicatario – immobili idonei alla preparazione di pasti per servizi di ristorazione collettiva, sostenendo i connessi investimenti in vista di una solo possibile ma non certa acquisizione della commessa.

Va pertanto ribadito che “Prima dell’aggiudicazione, considerata l’alea della gara, è in realtà sufficiente, anche ai fini del rispetto della par condicio, che vi sia una formale dichiarazione di impegno del concorrente a procurarsi tempestivamente un centro di cottura, sulla cui base la Stazione Appaltante potrà poi pretendere a pieno diritto che sia acquisita la disponibilità effettiva della struttura” (T.A.R. Campania, Sez. II, sentenza n. 2083/2018, già citata), in caso di aggiudicazione, ai fini della stipula e della successiva esecuzione del contratto d’appalto (cfr., a tal proposito, il par. 2.2.1 della Comunicazione Interpretativa 2006/C 179/02 della Commissione UE sul diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti; cfr. anche la delibera 13.1.2016 n. 33 dell’ANAC). “Diversamente, infatti, si configurerebbe una violazione sia del principio di non discriminazione, sia del principio di parità di trattamento richiamati dall’art. 2 del Codice dei contratti pubblici e, altresì, dei principi cardine del Trattato CE e delle Direttive appalti (cfr., ex multis, Corte di Giustizia, sent. 13.7.1993 n. C-330/91 ove si è affermato che “il principio della parità di trattamento vieta non solo le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, o in base alla sede per quanto riguarda le società, ma altresì qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di distinzione, pervenga in effetti al medesimo risultato”), producendo un iniquo vantaggio agli operatori economici già operanti sul territorio di riferimento e determinando, a causa della richiesta capacità organizzativa aggiuntiva per l’impresa, un elemento di distorsione dei costi del partecipante alla procedura di gara” (T.A.R. Campania, Sez. II, sentenza n. 2083/2018, già citata)”.

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