12/12/2023 – Pubblici impieghi, l’elaborazione della graduatoria definitiva tra obbligo di pubblicazione dei nominativi dei candidati e applicazione delle modificate riserve o preferenze previste dal d.P.R. n. 487/1994.

Abstract

 Il contributo approfondisce il tema della definizione della graduatoria finale di un concorso pubblico. Partendo dalle recenti modifiche al d.P.R. n. 487/1994 si analizzeranno le riserve previste dalla legge e l’osservanza, a parità di merito e titoli, delle relative preferenze. Oltre ad approfondire la percentuale dei candidati qualificabili idonei e identificare gli Enti escluse dal campo d’applicazione della norma, ampio spazio è riservato alla necessità della pubblicazione in chiaro dei nominativi dei vincitori e degli idonei, frutto di un bilanciamento tra le esigenze di trasparenza e la tutela della privacy.

Sommario: 1. Cenni d’introduzione. – 2. La procedura di selezione e la relativa graduatoria, delimitazione normativa. – 3. Le riserve di posti previste dalla legge. – 4. Ex aequo e modalità di applicazione delle preferenze a legislazione vigente. – 5. La concreta attivazione dei titoli di riserva e preferenza posseduti dal candidato. – 6. L’obbligo di pubblicazione dei nominativi di vincitori e idonei, il giusto contemperamento tra tutela della privacy e garanzia della trasparenza amministrativa. – 7. Il vincitore del concorso, tra onori e oneri. – 8. L’efficacia biennale delle graduatorie concorsuali.– 9. Note conclusive. 

1.Cenni d’introduzione

 

La formalizzazione della graduatoria finale di un concorso pubblico rappresenta una complessa fase  dell’attività amministrativa, caratterizzata dall’adozione di più atti in successione, i quali sono proiettati all’unico fine dell’individuazione del candidato ritenuto meritevole di occupare la posizione lavorativa messa a concorso e, con lui, un gruppo di idonei che resteranno a disposizione dell’Ente, o di future altre Amministrazione, nella ravvisata necessità di reclutare personale.

Il contributo, muovendo le mosse, dalle recenti modifiche al d.P.R. n. 487/1994, regolamento governativo che costituisce il corpo normativo e organico di riferimento in materia di assunzioni nella PA, analizza in maniera puntuale le riserve previste dalla legge e l’osservanza, a parità di punti, delle relative preferenze.

L’osservazione  si  sposterà,  quindi, sulla redazione della graduatoria definitiva del concorso, con particolare riferimento alla percentuale dei candidati qualificabili idonei e delle Amministrazioni escluse dal campo d’applicazione della norma, soprattutto in ragione delle diverse novelle che hanno stratificato alcuni periodi del comma 5, dell’art. 35, del Testo Unico del Pubblico Impiego.

Il testo offre anche l’occasione per soffermarsi sui termini di validità biennali delle graduatorie concorsuali, anche con riferimento agli Enti Locali.

Un approfondito focus è, altresì, riservato alla necessità della pubblicazione in chiaro dei nominativi dei vincitori e degli idonei che, banditi gli elenchi contenenti i soli codici ID, saranno il frutto di  un adeguato bilanciamento tra le esigenze di pubblicità e trasparenza e il diritto alla riservatezza e al diritto alla protezione dei dati personali.

 

  1. La procedura di selezione e la relativa graduatoria, delimitazione normativa

 

Il fondamento per l’accesso all’impiego nella Pubblica Amministrazione poggia sul principio del pubblico concorso, attraverso l’attuazione di procedure idonee a garantire imparzialità ed efficienza.

La disciplina normativa si caratterizza attraverso una stratificazione di fonti originate dai fondamenti costituzionali[1] evocati al quarto comma dell’art. 97 – a mente del quale «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso […]» – e al primo comma del successivo art. 98, secondo cui «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione».

Le coordinate della Carta rinsaldano la specialità del lavoro pubblico, ma il quadro normativo di riferimento[2], in cui è da ultimo intervenuto il D.Lgs. n. 165/2001[3], ha consolidato il processo di privatizzazione dei rapporti di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, con il primario fine di accrescere l’efficienza in relazione a quella dei corrispondenti uffici dei Paesi dell’Unione europea, razionalizzare il costo del lavoro pubblico e realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato, garantendo pari opportunità tra i lavoratori e l’assenza di qualunque forma di discriminazione e violenza morale o psichica.

Nel 2001[4] viene, quindi, superata la disciplina del lavoro pubblico rigorosamente unilaterale[5] con l’assoggettamento, fatte salve talune eccezioni, alle norme dei lavoratori privati, al contratto collettivo nazionale e alla tutela dinnanzi al Giudice Ordinario. 

«Guardato dal punto di vista della prestazione lavorativa sinallagmatica, il rapporto di lavoro non presenta differenze apprezzabili rispetto al lavoro privato, prevedendo il medesimo apparato di obblighi e diritti. Diverso discorso va fatto per il rapporto d’ufficio, che richiede norme pubblicistiche e atti unilaterali al fine di garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa (si pensi a specifici doveri comportamentali che gravano sul dipendente pubblico: trasparenza, privacy, anticorruzione, incompatibilità). In definitiva, mentre il rapporto di servizio è naturalmente privatistico, solo i profili pubblicistici del rapporto d’ufficio necessitano di una normativa di diritto pubblico che regoli interamente la materia […] o che ponga limiti esterni alla disciplina privatistica posta con la contrattazione collettiva […]»[6].

Secondo una autorevole definizione della dottrina il concorso «può qualificarsi come un procedimento amministrativo consistente in una successione di più atti, aventi natura e funzione diversa e compiuti da più soggetti o organi, ma tutti miranti al conseguimento dello stesso fine, ossia l’individuazione del candidato più idoneo al posto da ricoprire»[7].

In altri termini le selezioni pubbliche consistono in una valutazione comparativa, espressa con una graduatoria, della preparazione dimostrata dai candidati che hanno superato le prove scritte e quelle orali indicate dal bando.

Le fonti regolamentari[8] della disciplina rimandano al d.P.R. n. 487/1994[9] il cui art. 1, rubricato modalità di accesso, nel ribadire che le assunzioni – sia a tempo determinato che indeterminato – avvengono mediante concorsi[10] pubblici orientati alla massima partecipazione e alla individuazione delle competenze qualificate, al comma 2 stabilisce che l’amministrazione adotti «la tipologia selettiva più funzionale alla natura dei profili professionali richiesti nel bando di concorso: a) concorso per esami; b) concorso per titoli ed esami; c) corso-concorso».

Il successivo comma 3 sottolinea, poi, la necessità di individuare con modalità che «garantiscano l’imparzialità, l’efficienza, l’efficacia nel soddisfare i fabbisogni dell’amministrazione reclutante e la celerità di espletamento ricorrendo, ove necessario, all’ausilio di sistemi automatizzati diretti anche a realizzare forme di preselezione e a selezioni decentrate per circoscrizione territoriali».

In più – ed è la previsione del comma 4 – «per le aree o categorie per l’accesso alle quali è richiesto il solo requisito dell’assolvimento dell’obbligo scolastico, fatti salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità, si procede mediante avviamento a selezione degli iscritti negli elenchi tenuti dai centri per l’impiego che siano in possesso del titolo di studio richiesto dalla normativa vigente al momento della pubblicazione dell’avviso».

Ferma restando la possibilità di ricorrere alla procedura di cui all’art. 11[11] della Legge n. 68/1999[12], le assunzioni obbligatorie dei soggetti ivi indicati, come stabilito dal comma 5 del citato art. 1 del d.P.R. n. 487/1994, avvengono per chiamata numerica degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della vigente normativa, previa verifica della compatibilità della invalidità con le mansioni da svolgere.

Il reclutamento del personale in regime di diritto pubblico[13] – vale a dire quelle finalizzate al reclutamento di magistrati (ordinari, amministrativi e contabili), degli avvocati e procuratori dello Stato, del personale militare, delle Forze di Polizia, del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco,  del personale della carriera dirigenziale penitenziaria, del personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, dei dipendenti degli enti che svolgono attività nell’ambito delle società, della borsa, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonchè dei professori e dei ricercatori universitari (a tempo indeterminato o determinato) – resta, invece, disciplinato dai rispettivi ordinamenti.

Sono escluse dalle previsioni dell’art. 1 del  d.P.R. n. 487/1994 anche le assunzioni del personale del Servizio Sanitario Nazionale e dei Segretari Comunali.

Quest’ultimo regolamento governativo costituisce, per le amministrazioni che non sono dotate di autonoma disciplina, il corpo normativo e organico di riferimento in materia di reclutamento del personale[14]. Vige, però, l’obbligo per le Regioni e gli Enti Locali di conformare le proprie disposizioni al d.P.R. n. 487/1994, così come disposto dall’art. 18-bis del medesimo decreto e ai sensi dell’art. 70, comma 13[15], del D.Lgs. n. 165/2001.

Al termine delle operazioni d’esame, stando alle previsioni dell’art. 15 del citato d.P.R., viene formalizzata la graduatoria di merito dei concorrenti «[…] secondo l’ordine dei punti della votazione complessiva riportata da ciascun candidato, con l’osservanza, a parità di punti, delle preferenze previste dall’art. 5» e vengono, poi, «dichiarati vincitori, nei limiti dei posti complessivamente messi a concorso, i candidati utilmente collocati nelle graduatorie di merito […]».

La formazione della graduatoria costituisce, pertanto, la fase conclusiva del procedimento concorsuale ed è, successivamente,  sottoposta all’approvazione del dirigente dell’ufficio che ha bandito il concorso. Si tratta di un procedimento di amministrazione attiva, di natura costitutiva, mediante il quale la P.A. «fa proprio l’operato della commissione giudicatrice. Tale funzione di controllo globale sulle operazioni concorsuali comporta che il dirigente, cui spetta l’approvazione della graduatoria, debba essere persona diversa da chi ha eventualmente presieduto la commissione esaminatrice, per l’evidente incompatibilità soggettiva derivante dalla posizione di chi riveste contemporaneamente la posizione di controllore e di controllato»[16].

Il varo definitivo è prerogativa del responsabile dell’ufficio che ha bandito il concorso. Quest’ultimo, con proprio atto, approverà i verbali trasmessi dalla commissione esaminatrice (evidenziando che gli stessi – debitamente sottoscritti dai commissari e dal segretario – sono acquisiti agli atti d’ufficio) e, per l’effetto, confermerà la graduatoria di merito del concorso. Il provvedimento è immediatamente efficace[17] dalla data della sua adozione, sarà poi pubblicato contestualmente sul Portale Nazionale del Reclutamento InPa[18] e sul sito dell’amministrazione interessata, a termini dell’art. 15, comma 6, del D.P.R. n. 487/1994. Dalla data di quest’ultima  pubblicazione decorrono i termini per le eventuali impugnative.

Le graduatorie dei concorsi, in ritenuta applicazione dell’art 35, comma 5-ter, del D.Lgs. n. 165/2001 e dell’art. 15, comma 7, del citato d.P.R., rimangono in vigore  per un termine di due anni[19] dalla data di approvazione, fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali.

Le graduatorie tengono conto dei valori riportati da ciascun candidato alle prove e dei punteggi attribuiti ai titoli, se trattasi di concorso non solo per esami. La quotazione di questi ultimi, come declina il novellato art. 8 del d.P.R. di cui si discorre, «è effettuata dopo lo svolgimento delle prove orali[20], a condizione della previa determinazione dei criteri di valutazione. Per i titoli non può essere attribuito un punteggio complessivo superiore a 10/30 o equivalente; il bando indica i titoli valutabili

ed il punteggio massimo agli stessi attribuibile singolarmente e per categorie di titoli».

La votazione complessiva, a mente del comma 4, è poi «determinata sommando il voto conseguito nella valutazione dei titoli al voto complessivo riportato nelle prove d’esame».

 

  1. Le riserve di posti previste dalla legge.

 

Attività prodromica alla definizione della graduatoria finale del concorso pubblico è la pubblicazione sul Portale Nazionale del Reclutamento InPa[21], prevista dal novellato art. 16 del d.P.R. n. 487/1994, di uno specifico avviso indirizzato ai concorrenti che abbiano superato la prova orale finalizzato alla trasmissione, entro un termine perentorio, della documentazione digitale attestante il possesso dei titoli di riserva, già indicati nella domanda. Tale documentazione non dovrà essere prodotta – e comunque non potrà essere richiesta – nei casi in cui l’amministrazione ne sia già in possesso, o ne possa disporre, facendo richiesta ad altre amministrazioni.

La modifica della decorrenza del termine per la trasmissione della documentazione, prima  individuato nei quindici giorni successivi a quello in cui i candidati avessero sostenuto il colloquio, risponde all’esigenza di stabilire un termine unico per tutti i concorsisti, così razionalizzando e semplificando l’espletamento dell’incombente[22].

Il sostantivo femminile riserva, indica l’azione di accantonare un numero di posti messi a concorso destinandoli a determinate categorie di concorrenti tutelati dalla normativa. Si basa, per dirla con le parole dei magistrati del Consiglio di Stato[23], su una posizione differenziata produttiva di uno svantaggio che, in quanto tale, giustifica una norma primaria di compensazione attributiva di status.

Stando alla previsione della lettera e) dell’art. 3 del d.P.R. d.P.R. n. 487/1994, i bandi devono contenere «le percentuali dei posti riservati al personale interno, in conformità alle normative vigenti nei singoli comparti, e le percentuali dei posti riservati da leggi a favore di determinate categorie nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 5».

Quest’ultima disposizione, così come novellata in adeguamento alle norme sopravvenute, ai commi 1 e 2, stabilisce che «nei pubblici concorsi, le riserve di posti in favore di particolari categorie di cittadini, comunque denominate, non possono complessivamente superare la metà dei posti messi a concorso. Se, in relazione a tale limite, sia necessaria una riduzione dei posti da riservare secondo la legge, essa si attua in misura proporzionale per ciascuna delle categorie delle riserve previste dal bando».

Più in dettaglio, nell’ambito della disciplina in trattazione, ampio spazio è destinato alle riserve di posti in favore delle persone in condizioni di disabilità o equiparate.

A mente dell’art. 3 della Legge n. 68/1999, infatti, «i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie di cui all’articolo 1[24] nella seguente misura: a) sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; b) due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; c) un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti».

In altri termini, prima di bandire un concorso, le singole amministrazioni saranno chiamate ad operare una verifica di dette percentuali in relazione alle proprie risorse umane e, secondo gli esiti, procedere alla reclutamento della quota mancante.

Al riguardo, la Direttiva n. 1/2019[25] del Ministro per la Pubblica Amministrazione, chiarisce che «[…] la riserva dei posti può essere prevista solo dalle pubbliche amministrazioni che non hanno coperto la quota d’obbligo e nei limiti di completamento della stessa, fermo restando che nella singola procedura di reclutamento la riserva non può essere superiore al cinquanta per cento dei posti messi a concorso. Per questo, per poter configurare un vero e proprio obbligo di assunzione della persona con disabilità disoccupato, è comunque necessario che la quota di riserva non sia già esaurita. Altresì, […], ai fini del diritto alla riserva di posti è presupposto necessario l’iscrizione nell’elenco dei centri per l’impiego e, pertanto, lo stato di disoccupazione […]. Non si computano nella riserva dei posti prevista nel concorso gli appartenenti alle categorie delle persone con disabilità vincitori del concorso. Relativamente alla riserva si ricorda, inoltre, che la disciplina sul collocamento dei disabili è sempre stata interpretata dalla giurisprudenza alla luce di due canoni fondamentali, quali rispettivamente quello del favor disabilis, che è diretto a tutelare quanto più possibile il diritto al lavoro dei disabili, e quello del carattere auto esecutivo della disciplina, che si applica in ogni caso indipendentemente dalla formula contenuta nel bando di concorso. Anche in questo caso vale il limite della quota d’obbligo per cui la riserva non prevista dal bando si applica ex lege alla procedura concorsuale nei limiti degli adempimenti assunzionali di cui all’articolo 3 della legge 68/1999. Nei concorsi pubblici ad un solo posto, ferma restando la partecipazione aperta a tutti, il posto unico bandito rimane riservato al disabile che risulti idoneo, atteso l’obbligo di copertura della quota […].

A tutela dei disabili i bandi di concorso devono prevedere speciali modalità di svolgimento delle prove di esame per consentire ai soggetti suddetti di concorrere in effettive condizioni di parità con gli altri».

I bandi, stando alla previsione della lettera f) dell’art. 3 del d.P.R. in trattazione, fermo restando la disciplina di cui all’articolo 16, della legge 12 marzo 1999, n. 68, prevista per i soggetti con disabilità, a pena di nullità dei concorsi, devono contenere «le misure per assicurare a tutti i soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) nelle prove scritte, la possibilita’ di sostituire tali prove con un colloquio orale o di utilizzare strumenti compensativi per le difficoltà di lettura, di scrittura e di calcolo, nonchè di usufruire di un prolungamento dei tempi stabiliti per lo svolgimento delle medesime prove […]».

Altra riserva è quella destinata alle assunzioni in favore dei militari volontari congedati, prevista dall’art. 1014 del D.Lgs. n. 66/2010.

Stando alle previsioni della disposizione, «a favore dei volontari in ferma breve e ferma prefissata delle Forze armate congedati senza demerito ovvero durante il periodo di rafferma nonché dei volontari in servizio permanente […] è riservato: a) il 30 per cento dei posti nei concorsi per l’assunzione di personale non dirigente nelle pubbliche amministrazioni […]; b) il 20 per cento dei posti nei concorsi per l’accesso alle carriere iniziali dei corpi di polizia municipale e provinciale; c) il 50 per cento dei posti nei concorsi per le assunzioni di personale civile, non dirigenziale, del Ministero della difesa. La riserva di cui al comma 1, lettera a), non opera per le assunzioni nelle Forze di polizia a ordinamento militare e civile e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco. […] Se le riserve di cui al comma 1 non possono operare integralmente o parzialmente, perché danno luogo a frazioni di posto, tali frazioni si cumulano con le riserve relative ai successivi concorsi per l’assunzione di personale non dirigente banditi dalla medesima amministrazione, azienda o istituzione ovvero sono utilizzate nei casi in cui si procede a ulteriori assunzioni attingendo alla graduatoria degli idonei».

Altra norma contenuta nel Codice dell’Ordinamento Militare è quella citata al comma 9 dell’art. 678, secondo cui «le riserve di posti di cui all’articolo 1014, si applicano anche agli ufficiali di complemento in ferma biennale e agli ufficiali in ferma prefissata che hanno completato senza demerito la ferma contratta»

La prescrizione individua, quali beneficiari della riserva, tutti i volontari in ferma prefissata che abbiano completato, senza demerito, la ferma contratta. Più in dettaglio: VFP1 volontari in ferma prefissata di 1 anno; VFP4 volontari in ferma prefissata di 4 anni; VFB volontari in ferma breve triennale e Ufficiali di complemento in ferma biennale o in ferma prefissata, con riferimento al citato comma 9.

Detto in termini più analitici dette riserve vengono riconosciute in favore dei militari in ferma di leva prolungata e di volontari specializzati delle tre Forze armate, congedati senza demerito, al termine della ferma (o rafferma contrattuale), o quelle in favore degli ufficiali di complemento dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica che abbiano terminato senza infrazioni la ferma biennale.

La ratio dell’istituto si fonda sulla valenza sociale che il legislatore, a seguito della professionalizzazione delle Forze armate, ha inteso riconoscere a coloro che abbiano offerto il proprio servizio, svolgendo incarichi operativi, in favore dello Stato durante il periodo della ferma.

«In tutti i predetti casi la norma primaria ha previsto la compensazione di “svantaggi” connessi a una “posizione differenziata”, peraltro fondata su principi costituzionali, atteso che l’articolo 52 della Costituzione stabilisce espressamente che l’adempimento del servizio militare – nei limiti e modi stabiliti dalla legge – “non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino”, che ha, quindi, legittimato l’adozione di una norma ad hoc. Né la ratio restitutoria delle citate previsioni di legge è venuta meno per effetto del solo trascorrere del tempo in quanto il fatto storico di aver prestato la leva obbligatoria ovvero la leva prolungata, di essere stati volontari specializzati o ufficiali di complemento, integra la “posizione differenziata”, ritenuta meritevole della compensazione, e continua a legittimare l’applicazione della disposizione che correlava alla stessa la riserva. Così, ad esempio con riguardo alla leva obbligatoria se è vero che con la legge n. 226 del 2004 per i nati a partire dal 1985 non sussiste più l’obbligo di leva, è altrettanto pacifico che per tutti coloro che sono nati prima del 1985 tale obbligo sussisteva e che, se lo hanno assolto, ben possono farlo valere in sede concorsuale, anche in considerazione del fatto che non sono più previsti limiti di età per la partecipazione ai concorsi pubblici […]»[26].

Altra riserva è destinata degli operatori volontari che abbiano concluso il Servizio Civile Universale[27] senza demerito.

Il comma 4 dell’art. 18 del D.Lgs. n. 40/2017[28] stabilisce che, a questi ultimi, «è riservata una quota pari al 15 per cento dei posti nei concorsi per l’assunzione di personale non dirigenziale indetti dalle amministrazioni pubbliche […], dalle aziende speciali e dagli enti di cui al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali[29] […], fermi restando i diritti dei soggetti aventi titolo all’assunzione […]. Se la riserva di cui al primo periodo non può operare integralmente o parzialmente, perché dà luogo a frazioni di posto, tali frazioni si cumulano con le riserve relative ai successivi concorsi per l’assunzione di personale non dirigenziale banditi dalla medesima amministrazione, azienda o ente oppure sono utilizzate nei casi in cui si procede a ulteriori assunzioni attingendo alla graduatoria degli idonei».

La riserva trova fondamento nella volontà del legislatore di offrire riconoscimento al valore e all’esperienza di chi ha prestato servizio come volontario dedicandosi, per un periodo della propria vita, alla cura del bene pubblico e sviluppando sempre di più senso civico e spirito di appartenenza alle comunità.

Tale posizione privilegiata è valida soltanto per coloro i quali abbiano preso parte, a far data dal 18 aprile 2017, a progetti di Servizio Civile Universale, così come disciplinato dal D.Lgs. n. 40/2017, finalizzato, ai sensi degli articoli 52 (primo comma) e 11 della Costituzione, alla difesa non armata e nonviolenta della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli, nonché alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, anche con riferimento agli articoli 2 e 4, secondo comma, della Carta fondamentale.

Alla luce di quanto detto, pertanto, restano esclusi i partecipanti a progetti di Servizio Civile Nazionale, cui alla Legge n. 64/2001, finalizzati, invece, a concorrere alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari, a favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale, a promuovere la solidarietà e la cooperazione, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli, a partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della Nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, anche sotto l’aspetto dell’agricoltura in zona di montagna, forestale, storico-artistico, culturale e della protezione civile e contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani mediante attività svolte anche in enti ed amministrazioni operanti all’estero.

Ulteriore riserva di legge operante è quella destinata ai dipendenti pubblici e contemplata all’art. 52, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 165/2001, ai sensi del quale […] «fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti. […]».

Ultima riserva prevista è relativa ai posti nei concorsi di qualifica dirigenziale. Il comma 1-bis dell’art. 28 del decreto-legge n. 75/2023, convertito – con modificazioni – dalla Legge n. 112/2023, stabilisce che «gli enti locali[30] possono prevedere, nel limite dei posti disponibili della vigente dotazione organica e in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni […], nell’ambito dei concorsi pubblici per il reclutamento di personale dirigenziale, una riserva di posti non superiore al 50 per cento da destinare al personale, dirigenziale e non dirigenziale, che abbia maturato con pieno merito almeno trentasei mesi di servizio, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni e che sia stato assunto a tempo determinato previo esperimento di procedure selettive e comparative a evidenza pubblica, o al personale non dirigenziale che sia in servizio a tempo indeterminato per lo stesso periodo di tempo. Le assunzioni di personale di cui al presente comma sono effettuate a valere sulle facoltà assunzionali di ciascuna amministrazione disponibili a legislazione vigente».

Secondo il condivisibile parere dell’ANCI[31] «è opportuno specificare, in via preliminare, che questa opzione implica necessariamente l’espletamento di un concorso dirigenziale a tempo indeterminato per almeno due posti messi a bando, con le medesime caratteristiche. Solo in questo modo sarà possibile avvalersi della riserva, che vale per i dipendenti già inquadrati a tempo determinato in qualifica dirigenziale ma anche per il personale non dirigenziale: non si può quindi parlare di “stabilizzazione” del personale assunto mediante le procedure dell’art. 110 TUEL, in quanto sarà comunque imprescindibile la partecipazione ad un concorso pubblico di qualifica dirigenziale aperto all’esterno. I requisiti soggettivi per avvalersi di questa facoltà sono: – servizio prestato con pieno merito per almeno 36 mesi negli ultimi cinque anni, con un contratto dirigenziale o non dirigenziale a tempo determinato previo esperimento di procedure selettive e comparative a evidenza pubblica; – in alternativa, essere in servizio al momento dell’indizione della procedura, avendo prestato lo stesso periodo di tempo con contratto non dirigenziale a tempo indeterminato».

Come opera la riserva? Ai posti messi a concorso si applicherà la previsione di legge e, per l’effetto, se – a mero titolo di esempio – si tratterà di due posti, si procederà alla nomina del vincitore primo classificato in graduatoria e, contestualmente, si assegnerà il posto riservato al candidato in possesso del requisito collocato nell’elenco finale, anche se all’ultima posizione utile. Resta inteso che i posti non utilizzati per la riserva verranno attribuiti ai candidati non riservatari.

Con riguardo alle modalità pratiche di applicazione delle riserve, il riferimento normativo è contenuto al comma 3 dell’art. 5 del d.P.R. n. 487/1994: «qualora tra i concorrenti dichiarati idonei nella graduatoria di merito ve ne siano alcuni che appartengono a più categorie che danno titolo a differenti riserve di posti, si tiene conto prima del titolo che dà diritto ad una maggiore riserva nel seguente ordine: a) riserva di posti a favore di coloro che appartengono alle categorie di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, o equiparate; b) riserva di posti ai sensi degli articoli 1014 e 678 del codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66».

In argomento appare utile richiamare anche la lettera d) dell’art. 3 del d.P.R. in commento, secondo cui i bandi devono contenere anche «i titoli […] che danno luogo a precedenza o a preferenza a parità di punteggio diversi da quelli di cui all’articolo 5, rispetto a questi anche prioritari, e comunque strettamente pertinenti ai posti banditi».

 

  1. Ex aequo e modalità di applicazione delle preferenze a legislazione vigente.

La definizione della graduatoria finale di una procedura concorsuale richiede la necessità di applicare criteri tassativi finalizzati alla determinazione delle esatte posizioni in elenco, tali da condurre alla nomina del vincitore.

È di tutta evidenza l’esposizione dell’ufficio titolare dell’istruttoria a condizioni di assoluta parità tra concorrenti: di merito nella ipotesi di selezioni per soli esami, o di merito e titoli, se la procedura si è conclusa con la somma aritmetica tra il punteggio realizzato nelle prove e i punti assegnati nella fase di valutazione dei titoli di studio e quelli di qualificazione professionale posseduti.

Quale soluzione sostanziale adottare in presenza di più concorrenti che registrano il medesimo punteggio? Un ruolo determinante, in questa fase, è giocato dalle preferenze di legge che il candidato può far valere, qualora ne abbia titolo, per anticipare altri concorrenti ex aequo.

In detta ipotesi si registra l’automatico intervento delle preferenze previste dal nuovo comma 4 dell’art. 5 del d.P.R. n. 487/1994[32], le quali hanno una espansione applicativa estesa a tutti i concorsi banditi dalla pubblica amministrazione a far data dal 14 luglio 2023, data di entrata in vigore del d.P.R. n. 82/2023[33], recante modifiche al decreto concernente le norme sull’accesso agli impieghi nelle PA, nel segno della digitalizzazione, della semplificazione, della parità d’accesso ed equilibrio di genere, con l’obiettivo di garantire la massima partecipazione e la piena trasparenza ed efficienza nelle procedure.

Tali titoli, che costituiscono circostanze giuridicamente rilevanti agli esclusivi fini della formazione della classifica, hanno la preminente funzione di privilegiare specifiche categorie di cittadini – a parità  di titoli e merito – che si trovino in una peculiare situazione di diritto o di fatto, non assimilabili ai titoli (professionali o di servizio) già indicati nella domanda di partecipazione, che intervengono ope legis nella fase di redazione della graduatoria finale. Il loro utilizzo è eventuale e sussidiario, potendo non emergere una condizione di ex aequo legate alle valutazioni attribuite ai candidati nelle prove concorsuali sostenute ed essendo probabile, altresì, il mancato possesso di taluni titoli da parte del candidato.

La condizione di ammissibilità è triplice: l’indicazione della preferenza da parte dei candidati nella domanda di partecipazione, il possesso alla data di scadenza utile alla presentazione della medesima e la presentazione entro i termini stabiliti, fatta salva l’eventuale acquisizione d’ufficio.

A rigore del novellato art. 16 del d.P.R. n. 487/1994 «l’amministrazione che ha bandito il concorso pubblica sul Portale[34] uno specifico avviso indicando il termine perentorio entro il quale i concorrenti che hanno superato la prova orale devono far pervenire all’amministrazione stessa la documentazione digitale attestante il possesso dei titoli di […] preferenza […], già indicati nella domanda. Tale documentazione non è prodotta e comunque non può essere richiesta nei casi in cui l’amministrazione ne sia già in possesso o ne possa disporre facendo richiesta ad altre amministrazioni».

È opportuno aggiungere che le preferenze «non sono oggetto di esame della Commissione giudicatrice»[35] e la loro applicazione ipso iure rientra nella sfera di competenze del dirigente dell’ufficio che ha bandito il concorso.  

Dal punto di vista qualitativo l’architettura del novellato comma 4 traccia un preciso ordine di grado, stabilendo che a parità di titoli e di merito l’ordine di preferenza dei titoli risulta essere il seguente: a) gli insigniti di medaglia al valor militare e al valor civile[36], qualora cessati dal servizio; b) i mutilati e gli invalidi per servizio nel settore pubblico e privato[37]c) gli orfani dei caduti e i figli dei mutilati, degli invalidi e degli inabili permanenti al lavoro per ragioni di servizio nel settore pubblico e privato, ivi inclusi i figli degli esercenti le professioni sanitarie, degli esercenti la professione di assistente sociale e degli operatori socio-sanitari deceduti in seguito all’infezione da SarsCov-2 contratta nell’esercizio della propria attività[38]d) coloro che abbiano prestato lodevole servizio a qualunque titolo, per non meno di un anno, nell’amministrazione che ha indetto il concorso, laddove non fruiscano di altro titolo di preferenza in ragione del servizio prestato[39]e) maggior numero di figli a carico[40]f) gli invalidi e i mutilati civili che non rientrano nella fattispecie di cui alla lettera b)[41]g) militari volontari delle Forze armate congedati senza demerito al termine della ferma o rafferma[42]h) gli atleti che hanno intrattenuto rapporti di lavoro sportivo con i gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello Stato[43]i) avere svolto, con esito positivo, l’ulteriore periodo di perfezionamento presso l’ufficio per il processo ai sensi dell’articolo 50, comma 1-quater, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114[44]l) avere completato, con esito positivo, il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari ai sensi dell’articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, pur non facendo parte dell’ufficio per il processo, ai sensi dell’articolo 50, comma 1-quinques, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114[45]m) avere svolto, con esito positivo, lo stage presso gli uffici giudiziari ai sensi dell’articolo 73, comma 14, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98[46]n) essere titolare o avere svolto incarichi di collaborazione conferiti da ANPAL Servizi S.p.A., in attuazione di quanto disposto dall’articolo 12, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26[47]o) appartenenza al genere meno rappresentato nell’amministrazione che bandisce la procedura in relazione alla qualifica per la quale il candidato concorre, secondo quanto previsto dall’articolo 6[48]p) minore età anagrafica[49].

Possiamo qui riassumere alcuni dei principali punti meritevoli di considerazione. Rispetto alla base normativa previgente registra una semplificazione delle fattispecie, l’apertura a nuove previsioni e l’elisione del quinto comma contenente quei criteri residuali attivabili solo se, all’esito dello screening legato all’elencazione del comma precedente, perdurava una condizione di parità di punteggio complessivo tra i concorrenti.

La novella legislativa dell’art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 487/1994 sottolinea che l’intervento della norma è attivabile, a parità di titoli e di merito, solo in assenza di ulteriori benefici previsti da leggi speciali. L’ordine di preferenza conserva un carattere tassativo.

Da notare la preferenza riconosciuta – oltre agli orfani dei caduti e i figli dei mutilati, degli invalidi e degli inabili permanenti al lavoro per ragioni di servizio nel settore pubblico e privato – ai figli degli esercenti le professioni sanitarie, degli esercenti la professione di assistente sociale e degli operatori socio-sanitari deceduti in seguito all’infezione da SarsCov-2 contratta nell’esercizio della propria attività.

Agli insigniti di medaglia al valor militare vengono affiancati quelli omologhi al valor civile e si specifica che per tali categorie la priorità si applica qualora il soggetto sia cessato dal servizio. Sono state soppresse una serie di categorie facenti riferimento ai servizi militari in tempo di guerra o a eventi di guerra, probabilmente ritenute dal legislatore anacronistiche, così come scompare la categoria dei coniugati.

Con riguardo al lodevole servizio scompare la previsione relativa all’aver prestato la propria encomiabile attività per le amministrazioni pubbliche e resta soltanto la preferenza riconosciuta al servizio lodevole prestato a qualunque titolo, per non meno di un anno, nell’amministrazione che ha indetto il concorso, con la precisazione della esclusione laddove fruiscano di altro titolo di preferenza in ragione del servizio prestato.

Altra novità è rappresentata dall’appartenenza al genere meno rappresentato nell’amministrazione che bandisce la procedura, in relazione alla qualifica per la quale il candidato concorre. La norma è in linea anche con la approvazione, avvenuta il 6 ottobre 2022 da parte del Ministro per la pubblica amministrazione e del Ministro per le pari opportunità e la famiglia, delle Linee guida per la P.A. […] sulla Parità di genere nell’organizzazione e gestione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, redatte dal Dipartimento per la funzione pubblica e dal Dipartimento per le pari opportunità, che riportano gli obiettivi prioritari che le amministrazioni devono perseguire nell’individuare misure che attribuiscano vantaggi specifici, evitino o compensino svantaggi nelle carriere al genere meno rappresentato, collocandoli nel contesto dei principi già acquisiti dalla Unione Europea, nonché del quadro ordinamentale nazionale, normativo e programmatico. La novella al d.P.R. n. 487/1994 dedica, poi, alla fattispecie l’art. 6, a mente del quale «al fine di garantire l’equilibrio di genere nelle pubbliche amministrazioni, il bando indica, per ciascuna delle qualifiche messe a concorso, la percentuale di rappresentatività dei generi nell’amministrazione che lo bandisce, calcolata alla data del 31 dicembre dell’anno precedente. Qualora il differenziale tra i generi sia superiore al 30 per cento, si applica il titolo di preferenza di cui all’articolo 5, comma 4, lettera o), in favore del genere meno rappresentato […]. Viene inserita la fattispecie della titolarità o del pregresso svolgimento di incarichi di collaborazione conferiti da ANPAL Servizi S.p.a., il riferimento è alla categoria dei cosiddetti navigators. Chiude l’elenco delle preferenze la minore età anagrafica del concorrente. Laddove due o più candidati ottengono, a conclusione delle operazioni di valutazione dei titoli e delle prove di esame, pari punteggio, è preferito il candidato più giovane.

Come evidenziato dal Consiglio di Stato[50] con riferimento alla norma previgente «[…] i titoli di preferenza elencati con progressione […] nell’articolo 5, comma 4, del d.P.R. n. 487/1994 non possono essere considerati equivalenti, ma devono essere invece considerati in ordine di priorità in base alla progressione numerica della disposizione […]. L’ordine di elencazione risponde ad un’evidente differenziazione di rilevanza […]».

L’ordine previsto dalla norma registra, pertanto, un «carattere tassativo»[51] attesa la progressione logico-giuridica ben definita. L’Amministrazione, in conseguenza, nell’applicazione non può prescindere dalle priorità risultanti dall’ordine di elencazione.

Se all’esito dello screening relativo all’elenco numerato persiste ancora una parità di punteggio complessivo tra i concorrenti (che riguarda, quindi, non solo la somma aritmetica tra i punti conseguiti nella valutazione dei titoli di qualificazione posseduti e quelli realizzati nelle prove, ma anche l’aggiunta dei titoli di preferenza) si passa allora alla valutazione dei residuali criteri tali da  riconoscere una ulteriore priorità.

Un aspetto da non sottovalutare è riferibile, in proposito, a quei rari casi in cui, alla ritenuta parità di punteggio e di preferenze ai sensi del comma 4, si aggiunge l’ulteriore ex aequo per la comune situazione fattuale tra due candidati. Come si è detto, i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che i titoli di preferenza sono enumerati in rigorosa progressione e, in conseguenza, non possono essere considerati equipollenti, ma vanno esaminati in ordine di priorità tenendo conto della progressione numerica della disposizione[52]Dunque il candidato avente titolo alla preferenza riportata prima in elenco viene preferito al collega che registra una condizione classificata ai punti successivi della medesima disposizione.

 

  1. La concreta attivazione dei titoli di riserva e preferenza posseduti dal candidato.

 

Il concorrente che, nella domanda di partecipazione al concorso, ha dichiarato il possesso dei titoli di riserva o preferenza è tenuto a fornire all’Amministrazione tutte le indicazioni utili a consentire di esperire, con immediatezza, i previsti controlli.

Come si è detto supra, attività propedeutica alla definizione della graduatoria del concorso è la pubblicazione sul Portale Nazionale del Reclutamento InPa[53], prevista dal novellato art. 16 del d.P.R. n. 487/1994, di uno specifico avviso indirizzato ai concorrenti che abbiano superato la prova orale finalizzato alla trasmissione, entro un termine perentorio, della documentazione digitale attestante il possesso dei titoli di riserva o preferenza, già indicati nella domanda.

Il via preliminare va precisato, secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 8, del d.P.R. in commento, che i requisiti richiesti devono essere posseduti sia alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso e sia all’atto della sottoscrizione del contratto di lavoro.

La condizione di ammissibilità è, pertanto, triplice: l’indicazione della preferenza da parte dei candidati nella domanda di partecipazione alla selezione, il possesso del titolo alla data di scadenza del termine per la presentazione e la trasmissione all’Amministrazione procedente (a selezioni concluse) entro i termini stabiliti.

Sul punto appare dirimente richiamare la previsione dell’ultimo capoverso del primo comma dell’art. 16 del D.P.R. n. 487/1994: «tale documentazione non è prodotta e comunque non può essere richiesta nei casi in cui l’amministrazione ne sia già in possesso o ne possa disporre facendo richiesta ad altre amministrazioni».

La desumibilità aliunde di detti titoli mira a semplificare il procedimento ed agevolare gli interessati mediante la collaborazione dell’Amministrazione stessa.

Va anche evidenziato che la presenza, nella norma, dell’aggettivo “perentorio”, riferito al termine di presentazione, impone il compimento dell’atto di trasmissione della documentazione digitale attestante il possesso dei titoli di riserva, preferenza e precedenza (già indicati nella domanda) entro un determinato momento, a pena di decadenza. Data che esclude, quindi, la possibilità di essere abbreviata o prorogati, nemmeno con l’accordo delle parti, tenuto conto che la natura perentoria di detto termine risulta espressamente indicata dalla legge.

I giudici della sezione III-quater del TAR Lazio[54] hanno ritenuto, in un proprio orientamento, che documenti relativi alle preferenze  rappresentano l’esteriorizzazione di atti di gestione del rapporto di impiego.

Attraverso il bando, generalmente, si prevede il possesso dei requisiti sostanziali ad una determinata data, non certamente la scadenza di eventuali certificazioni relative.

Non pare, quindi, necessario produrre un certificato recante data coincidente con il momento della presentazione della domanda di partecipazione al concorso, particolarmente nei casi in cui è prevista la loro dichiarazione.

«[…] L’attestare oggi che ad una determinata data precedente l’interessato versava in una condizione […], in nulla differisce dall’avere attestato la medesima cosa a quella data, specie se, poi, l’attestazione recita “visti gli atti di ufficio”, ossia contiene la certificazione che il giudizio è espresso in relazione alle risultanze, attuali e remote, delle documentazioni risultanti in disponibilità del sottoscrittore […]». In altri termini, l’attestazione di un determinato status «[…] è l’oggetto dell’interesse del bando, ai fini del punteggio, ossia è una condizione permanente ed esistente alla data di presentazione della domanda di concorso, poiché quest’ultimo è retto da un bando che non chiede il possesso del documento a quella data, bensì del requisito sostanziale; quindi l’attestazione è il mezzo di prova con il quale si certifica che lo stato soggettivo di qualità della prestazione dell’interessato sussisteva alla data di interesse»[55].

Un discorso a parte merita la potenziale sussistenza di una ulteriore condizione di ammissibilità dei  requisiti in cenno, vale a dire la previa indicazione dei medesimi nella domanda di partecipazione al concorso.

L’art. 3, comma 2, del d.P.R. n. 487/1994 nell’individuare i contenuti essenziali del bando, evidenzia tra gli stessi, il rimando è alla lettera d), proprio «i titoli […] che danno luogo a precedenza o a preferenza a parità di punteggio diversi da quelli di cui all’articolo 5, rispetto a questi anche prioritari, e comunque strettamente pertinenti ai posti banditi».

Va da se che «le amministrazioni pubbliche devono porre particolare cura nella predisposizione dei bandi di concorso, al fine di ridurre o evitare il contenzioso in materia»[56].

L’aspirante deve, quindi, leggere con attenzione le disposizioni del bando relative al possesso dei titoli di riserva o preferenza, condizione utile, quest’ultima, in presenza di una condizione di parità con altri concorrenti.

È evidente che, nel compilare l’istanza di partecipazione, sarà importante individuare il punto relativo alla indicazione dei menzionati titoli, comprendere la modalità di attestazione del possesso e, a concorso concluso, operare costanti controlli al Portale Nazionale del Reclutamento InPa per essere edotto del termine per la trasmissione della documentazione.

Per rendersi conto degli effetti pratici di quanto in parola giova riportare il tradizionale insegnamento della giurisprudenza secondo cui il bando, lex specialis del pubblico concorso, è «[…] da interpretare in termini strettamente letterali, con la conseguenza che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità: e ciò in forza sia dei principi dell’affidamento e di tutela della parità di trattamento tra i concorrenti, che sarebbero certamente pregiudicati ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate […]»[57].

Tale chiarimento è di rilevante importanza per evidenziare la diligenza che deve essere prestata proprio nella definizione dello schema di domanda allegato al bando, il quale, conformemente alle disposizioni di legge, va redatto riportando tutte le  indicazioni che i candidati sono tenuti a fornire all’atto della definizione della procedura di partecipazione nel portale InPA, accessibile  esclusivamente mediante i sistemi di identificazione SPID, CIE e CNS.

In tale contesto è semplice desumere che un modello di partecipazione non pienamente aderente alla norma è foriero di disguidi e contenziosi.

Stando ad un orientamento del TAR Sicilia «[…] la mancata indicazione del possesso dei titoli di preferenza nella domanda di ammissione al concorso, non può comportare alcun effetto preclusivo alla loro considerazione in favore del candidato […]»[58].

Sulla stessa lunghezza d’onda anche i giudici amministrativi del TAR Lazio i quali, nel richiamare l’art. 16, comma 1, ultimo periodo, del d.P.R. n. 487/94 (secondo cui non è prescritto obbligo di presentazione della documentazione nei casi in cui le pubbliche amministrazioni ne siano in possesso o ne possano disporre facendo richiesta ad altre pubbliche amministrazioni) hanno ritenuto che non può «[…] condividersi l’interpretazione meramente formalistica assunta nei confronti di chi […], pur avendo contravvenuto alla disposizione contenuta nel bando era in possesso dei titoli preferenziali e ne ha omesso l’indicazione provvedendo, però, prontamente al loro deposito entro il termine prescritto»[59].

Tale considerazione scaturisce dalla presa d’atto che, assai spesso, né dalle norme di riferimento (ove si prevede il solo rispetto del termine perentorio per la presentazione a pena di decadenza[60]), né dai principi che regolano le procedure concorsuali (par condicio tra i candidati e divieto di aggravamento della procedura) può desumersi il divieto della valutazione dei titoli di preferenza nel caso in cui gli stessi non siano stati indicati nella domanda di partecipazione, ma risultino in possesso del candidato alla data di scadenza della possibilità di proporre istanza e siano stati tempestivamente prodotti entro il termine perentorio indicato.

«Ad avviso dei Magistrati Amministrativi l’eventuale esclusione della valutazione dei titoli […] sarebbe dovuta essere espressamente prevista nel bando di concorso e tale sanzione avrebbe potuto essere applicata qualora dalla non corretta od omessa indicazione del possesso dei titoli nella domanda si fosse verificato l’effetto di un  aggravio del procedimento, o di un ritardo per l’Amministrazione nella redazione della graduatoria finale […]»[61].

Sulla questione, però, si registrano diversi contrasti giurisprudenziali.

 

  1. L’obbligo di pubblicazione dei nominativi di vincitori e idonei, il giusto contemperamento tra tutela della privacy e garanzia della trasparenza amministrativa.

 

In tema di reclutamento del personale, l’art. 35, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001 stabilisce in maniera evidente che le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni si conformano, tra gli altri, al principio della adeguata pubblicità della selezione e a modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento.

La menzionata disposizione va inquadrata anche alla luce delle norme contenute nell’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 33/2013 a tenore del quale «la trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e  favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche».

Norma che ossequia i precetti per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione contemplate all’art. 1, comma 16, della Legge n. 190/2012, secondo cui le PA assicurano i livelli essenziali di trasparenza dell’attività amministrativa mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali, delle informazioni relative ai procedimenti (secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio e di protezione dei dati personali) con particolare riferimento a quelli relativi ai concorsi e alle prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.

Per quanto detto, pertanto, nella fase di definizione della graduatoria finale di una procedura concorsuale si rende necessario operare, ai fini della pubblicazione, un adeguato bilanciamento tra le esigenze di pubblicità e trasparenza e i diritti e le libertà fondamentali degli interessati, riservando un’attenzione particolareggiata al diritto alla riservatezza e al diritto alla protezione dei dati personali. Il tutto applicando scrupolosamente le norme del d.P.R. n. 487/1994, così come recentemente novellato.

La disciplina della pubblicità delle graduatorie di concorso è caratterizzata da una stratificazione di fonti normative che spesso si sovrappongono e si attraversano tra loro.

Per una puntuale ricognizione delle disposizioni che disciplinano la fase finale di un concorso pubblico è necessario partire dall’archetipo normativo contenuto nel d.P.R. n. 3/1957, Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli Impiegati Civili dello Stato. L’art. 7 prevede, infatti, che «espletate le prove del concorso, la commissione forma la graduatoria di merito con l’indicazione del punteggio conseguito da ciascun candidato». Successivamente il dirigente competente, con proprio atto, riconosciuta la regolarità del procedimento, approva la stessa e dichiara i vincitori della pubblica selezione. Il terzo comma stabilisce, poi, che «la graduatoria dei vincitori del concorso e quella dei dichiarati idonei sono pubblicate […]. Di tale pubblicazione si dà notizia mediante avviso […]. Dalla data della pubblicazione […] decorre il termine per le eventuali impugnative».  

Questo disegno normativo tipicizza, in termini generali, l’ambito oggettivo di operatività delle modalità di pubblicità degli elenchi che comprendono sia i vincitori che gli idonei, indistintamente.

A legislazione vigente sono, poi, le disposizioni contenute nel d.P.R. n. 487/1994, come recentemente modificato dal d.P.R. n. 82/2023, recante il Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi, a rappresentare la fonte normativa secondaria di riferimento.

A rigore dell’art. 15, comma 6, del citato decreto del Presidente della Repubblica «le graduatorie dei concorsi […], sono pubblicate contestualmente sul Portale di cui all’articolo 35-ter[62] del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e sul sito dell’amministrazione interessata. Dalla data di tale pubblicazione decorrono i termini per l’impugnativa».

Essendo stata eliso, rispetto alla previgente versione della norma, il sostantivo maschile “vincitori”, è del tutto evidente che la disposizione faccia riferimento alla graduatoria nella sua totalità; comprendendo, quindi, sia coloro i quali abbiano ottenuto i posti messi a concorso e sia gli idonei alla procedura concorsuale, il cui numero è variabile in applicazione del comma 5-ter[63] dell’art. 35 del D.Lgs. n. 165/2001.

È proprio in questa fase che si rende necessario porre in essere il giusto contemperamento tra tutela della privacy e garanzia della trasparenza amministrativa.  

L’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 33/2013 è chiaro al riguardo: «fermi restando gli altri obblighi di pubblicità legale, le pubbliche amministrazioni pubblicano […] le graduatorie finali, aggiornate con l’eventuale scorrimento[64] degli idonei non vincitori». Con un preciso obbligo, richiamato al comma seguente, relativo al costante aggiornamento dei dati di cui sopra.

Il dubbio che, sovente, pervade l’operato del Dirigente delle Risorse Umane nella fase di pubblicazione della graduatoria è la piena conformità alle prescrizioni di legge in materia di tutela dei dati personali, potendo l’elenco definitivo della procedura pubblica rivelare, in via diretta o indiretta, elementi personali e sensibili che meritano tutela, concretizzandosi così un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e sulla libertà delle persone a cui tali dati si riferiscono.

Il faro guida è rappresentato, in ogni caso, dai principi del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati[65] cui all’art. 1, par. 1, lettere b) e c), secondo cui «i dati personali sono […] raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime […]; adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati («minimizzazione dei dati»).

In altre parole il R.G.P.D. interviene sulla limitazione delle finalità e la minimizzazione dei dati, secondo cui i dati devono essere raccolti per finalità determinate e trattati in modalità compatibili con le stesse nel limite di quanto necessario. Questo per evidenziare che è necessario evitare di fornire ulteriori dati personali, eccedenti e sproporzionati rispetto alla fine di pubblicità della graduatoria, anche in relazione alle forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali, sull’utilizzo delle risorse pubbliche e sulla promozione della partecipazione al dibattito pubblico cui al D.Lgs. n. 33/2013.

Il principale vulnus è rappresentato dall’ampia possibilità di favorire il verificarsi di furti d’identità o la creazione di profili fittizi atti a porre in essere attività fraudolente che troverebbero terreno fertile nella menzione di date di nascita, codici fiscali, recapiti degli interessati (si pensi, ad esempio, alle utenze telefoniche), indirizzi di residenza e di posta elettronica.

Tale pregiudizio consisterebbe, ancora,  nelle ripercussioni negative che potrebbero imbattersi sugli interessati, sia all’interno che all’esterno di eventuali altri contesti lavorativi, con possibili interferenze anche sullo sviluppo di carriera, considerate anche le ragionevoli aspettative di confidenzialità degli interessati e la non prevedibilità delle conseguenze derivanti dalla conoscibilità da parte di chiunque dei dati e delle informazioni personali richieste. 

Le Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati[66], alla parte seconda, paragrafo 3.b, chiariscono che «con riguardo alla pubblicità degli esiti delle prove concorsuali e delle graduatorie finali […] di concorsi e selezioni pubbliche e di altri procedimenti che prevedono la formazione di graduatorie, restano salve le normative di settore che ne regolano tempi e forme di pubblicità […]. Tale regime di conoscibilità […], assolve alla funzione di rendere pubbliche le decisioni adottate dalla commissione esaminatrice e/o dall´ente pubblico procedente, anche al fine di consentire agli interessati l´attivazione delle forme di tutela dei propri diritti e di controllo della legittimità delle procedure concorsuali o selettive. Anche a questo riguardo devono essere diffusi i soli dati pertinenti e non eccedenti riferiti agli interessati. Non possono quindi formare oggetto di pubblicazione dati concernenti i recapiti degli interessati (si pensi alle utenze di telefonia fissa o mobile, l’indirizzo di residenza o di posta elettronica , il codice fiscale, l´indicatore Isee, il numero di figli disabili, i risultati di test psicoattitudinali o i titoli di studio), né quelli concernenti le condizioni di salute degli interessati, ivi compresi i riferimenti a condizioni di invalidità, disabilità o handicap fisici e/o psichici. […] Al fine di agevolare le modalità di consultazione delle graduatorie oggetto di pubblicazione in conformità alla disciplina di settore (per finalità diverse dalla trasparenza), le stesse possono altresì essere messe a disposizione degli interessati in aree ad accesso selezionato dei siti web istituzionali consentendo la consultazione degli esiti delle prove o del procedimento ai soli partecipanti alla procedura concorsuale o selettiva mediante l’attribuzione agli stessi di credenziali di autenticazione (es. username o password, numero di protocollo o altri estremi identificativi forniti dall’ente agli aventi diritto, oppure mediante utilizzo di dispositivi di autenticazione, quali la carta nazionale dei servizi».

Alla luce di quanto detto, pertanto, è evidente che non risulterà conforme alla norma la mancata pubblicazione in chiaro dei nominativi dei vincitori e degli idonei al pubblico concorso bandito, in tale fattispecie rientrano anche gli elenchi contenenti un mero codice ID.

Questa tipologia di identificazione anonima può essere usata unicamente per le operazioni previste dall’art. 7, comma 5, del novellato d.P.R. n. 487/1994, secondo cui la commissione giudicatrice, al termine di ogni seduta, è tenuta formare l’elenco dei candidati esaminati nel corso delle prove orali con l’indicazione dei punteggi conseguiti da ciascuno (che ne riceve immediata comunicazione attraverso il Portale InPa), che contestualmente viene pubblicato sul sito dell’amministrazione che ha bandito il concorso. Procedura che segue, in effetti, l’iter raccomandato summenzionate Linee guida. Vieppiù, anche il successivo art. 11 – sempre al comma 5 – stabilisce che gli esiti delle prove orali sono pubblicati al termine di ogni sessione giornaliera d’esame.

Stando al disposto della medesima norma, infine, dopo l’espletamento delle prove orali la commissione effettua la valutazione dei titoli, che si conclude entro trenta giorni dall’ultima sessione. Nei quindici giorni successivi alla conclusione della valutazione dei titoli, la Commissione elabora la graduatoria finale del concorso e l’amministrazione procedente la pubblica contestualmente, ad ogni effetto legale, nel Portale InPa e nel proprio sito istituzionale.

 

  1. Il vincitore del concorso, tra onori e oneri

 

Il dirigente competente, sulla base degli atti trasmessi dalla Commissione Esaminatrice, approverà, con proprio atto, riconosciuta la regolarità del procedimento, la graduatoria definitiva del concorso.

Con il medesimo atto si proclamerà il vincitore della selezione pubblica e, a seguire, i candidati idonei in numero non superiore al 20% dei posti messi a concorso, così come disposto dal comma 5-ter dell’art. 35 del D.Lgs. n. 165/2001. Eccezion fatta per le procedure di reclutamento promosse da Regioni, Province ed Enti Locali che prevedano un numero di posti messi a concorso inferiore a venti unità. Restano esclusi dal campo d’applicazione della norma anche i Comuni con popolazione inferiore a tremila abitanti e le procedure per l’effettuazione di assunzioni a tempo determinato, così come non sono ricomprese neppure alle selezioni per personale sanitario, socio-sanitario, educativo, scolastico e dei ricercatori, nonchè del personale in regime di diritto pubblico.

Nominato il vincitore, con successivo provvedimento, si procederà a disporre la data della presa di servizio e alla sottoscrizione del contratto individuale di lavoro.

Ai sensi dell’art. 17 del d.P.R. n. 487/1994, i candidati dichiarati vincitori (o gli idonei[67] in caso di scorrimento della graduatoria) sono invitati dall’amministrazione procedente ad assumere servizio in via provvisoria – sotto riserva di accertamento del possesso dei titoli e dei requisiti prescritti per l’assunzione – e sono assunti in prova per il periodo stabilito dal C.C.N.L. di riferimento. Coloro i quali non assumano servizio, senza giustificato motivo, entro il termine stabilito, decadono dalla assunzione e dalla graduatoria. Ove, invece, per una fondata ragione, si entri in ruolo con ritardo sul termine prefissato, gli effetti economici decorrono dal giorno di presa servizio.

Non appare estraneo al tema un breve approfondimento relativo al tempo di permanenza in sede di prima assegnazione[68]. A tenore dell’art. 35, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 165/2001 «i vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni, ad eccezione dei direttori dei servizi generali e amministrativi delle istituzioni scolastiche ed educative che permangono nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a tre anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi».

La permanenza nella prima sede risulta, quindi, disciplinata unicamente da una fonte di rango legislativo, essendo stata abrogata, dal d.P.R. n. 82/2023, la precedente norma antinomica regolamentare che prevedeva, salva la possibilità di trasferimenti d’ufficio nei casi previsti dalla legge, la permanenza nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a sette anni senza possibilità, in tale periodo, di avvalersi dell’istituto del comando o del distacco.

L’ambito temporale del lustro di permanenza è confermato anche dall’art. 3, comma 5-septies, del Decreto-Legge n. 90/2014 (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 114/2014) ai sensi del quale «i vincitori dei concorsi banditi dalle regioni e dagli enti locali, anche se sprovvisti di articolazione territoriale, sono tenuti a permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi».

Tale norma è ripresa, altresì, dall’art. 3, comma 7-ter, del Decreto-Legge n. 80/2021 (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 113/2021) che, con riferimento alla possibilità di partecipazione a procedure di mobilità volontaria, così stabilisce: «per gli enti locali, in caso di prima assegnazione, la permanenza minima del personale è di cinque anni. In ogni caso, la cessione del personale può essere differita, a discrezione dell’amministrazione cedente, fino all’effettiva assunzione del personale assunto a copertura dei posti vacanti e comunque per un periodo non superiore a trenta giorni successivi a tale assunzione, ove sia ritenuto necessario il previo svolgimento di un periodo di affiancamento».

 

  1. L’efficacia biennale delle graduatorie concorsuali

 

In applicazione del novellato art 35, comma 5-ter, del D.Lgs. n. 165/2001 «le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di due anni dalla data di approvazione. Sono fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali […]».

Questa disciplina, che ha ridotto il termine mobile da tre a due anni, ad una prima lettura, appare in netto contrasto con le previsioni dell’art. 91, comma 4, del Testo Unico degli Enti Locali[69], secondo cui «per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione per l’eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente vacanti e disponibili […]».

Il dibattito[70] su questa antinomia normativa è risultato, per diverso tempo, molto vivace.

Primissimi orientamenti interpretativi hanno portato ad ipotizzare una sorta di vigenza a doppio binario: triennale per gli enti locali e biennale per tutte le altre amministrazioni pubbliche. Secondo un primo approdo dei giudici della sezione del controllo per la Sardegna della Corte dei Conti, infatti, «[…] il termine di validità biennale non riguarda gli Enti locali; la legge di bilancio per l’anno 2020 interviene a modificare l’art. 35, comma 5-ter, del TUPI[71] ma non va ad intaccare la disciplina posta dall’art. 91 del TUEL[72] a mente del quale “Per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione…”. L’antinomia tra le due disposizioni normative in ordine ai termini di validità delle graduatorie concorsuali (l’art. 35, comma 5-ter, del TUPI  – norma di carattere generale indirizzata a tutte le Amministrazioni indicate nell’art. 1, comma 2, delle “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche” – e l’art. 91, comma 4, del TUEL – norma di carattere speciale indirizzata alle Amministrazioni di cui all’art. 2, comma 1, del “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”) è risolta dal principio lex posterior generalis non derogat priori speciali. In altri termini, essendo il criterio cronologico recessivo rispetto a quello di specialità, la modifica della norma di carattere generale non produce effetto rispetto alla norma di carattere speciale, con la conseguenza che la legge di bilancio 2020 introduce un doppio binario in merito ai termini di scadenza delle graduatorie concorsuali: per le Amministrazioni statali di cui all’art. 1, comma 2, TUPI vale il disposto del citato art. 35 e l’efficacia sarà limitata a due anni (con decorrenza dall’approvazione della graduatoria), mentre per le Amministrazioni di cui all’art. 2, comma 1, TUEL permane il regime previsto del citato art. 91 e l’efficacia sarà di tre anni (con decorrenza dalla pubblicazione della graduatoria)»[73].

Sulla validità triennale si è pronunciato anche il TAR Abruzzo ponendo in evidenza che «ai sensi dell’art. 91 del D.Lgs. n. 267/2000, “per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione” e coloro che vi sono iscritti possono essere chiamati a ricoprire i posti che potrebbero rendersi disponibili entro il periodo di vigenza della graduatoria sia presso l’amministrazione che ha bandito il concorso, sia presso altre amministrazioni secondo i criteri stabiliti da Corte cost. 25 giugno 2020, n. 126 che ha ritenuto coerente con i principi stabiliti dall’art. 3 e 97 Cost. lo scorrimento delle graduatorie in alternativa al reclutamento di personale mediante nuovo concorso anche in considerazione del risparmio dei costi che ne consegue»[74].

Valutata più attentamente la questione appare, però, dirimente la lettura dell’art. 91, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000 in combinato disposto con l’art. 88 del medesimo Testo Unico. Quest’ultima norma, rubricata “Disciplina applicabile agli uffici ed al personale degli enti locali”, prevede espressamente che «all’ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali […] si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, e le altre disposizioni di legge in materia di organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni nonché quelle contenute nel presente testo unico». Tenuto conto che il D.Lgs. n. 29/1993 è stato abrogato con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 165/2001, è di tutta evidenza come il mentovato art. 88 del T.U.E.L. contenga l’espresso rinvio all’art 35, comma 5-ter, del Testo Unico del Pubblico Impiego che fissa in due anni il termine di validità delle graduatorie concorsuali approvate a decorrere dall’anno 2020. Emerge, quindi, una diretta operatività delle regole del D.Lgs. n. 165/2001 nell’ordinamento locale[75].

Sul punto si sono soffermati, recentemente, anche i giudici della sezione di controllo per la Campania della Corte dei Conti i quali, al «[…] fine di evitare che possa considerarsi consolidata l’interpretazione della Sezione regionale di controllo per la Sardegna di cui alla deliberazione n. 85/2020/PAR […]», hanno tenuto a precisare la non condivisibilità di tale orientamento «[…] in quanto non tiene conto della disposizione dettata dall’art. 88 del TUEL (recante “Disciplina applicabile agli uffici ed al personale degli enti locali”) […]. Tale norma è stata introdotta dal legislatore proprio per assicurare il coordinamento tra le norme generali e le norme del Tuel, anche per evitare di ingenerare l’equivoco che le norme del D. Lgs. n. 165/2001 potessero essere considerate di carattere generale e quelle del TUEL di carattere speciale. La norma sulla durata biennale delle graduatorie trova applicazione, pertanto, anche nei confronti degli enti locali»[76].

La disposizione dell’art. 88, infatti, è stata introdotta all’interno del D.Lgs. n. 267/2000 proprio al fine di non duplicare, nell’ambito del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, norme in tema di pubblico impiego valide per tutti i comparti della P.A. La riproduzione di quelle disposizioni avrebbe potuto, potenzialmente, dar vita ad un fenomeno di gemmazione novativa delle norme di origine, zampillo di smisurate problematiche nei casi in cui le stesse avessero registrato delle variazioni non seguite da una corrispondente modifica del T.U.E.L. Il legislatore, in pratica, ha voluto «inserire una norma generale di rinvio mobile alla disciplina madre, capace di recepire per relationem le modifiche introdotte nel tempo anche attraverso lo strumento del testo unico»[77].

È stato previsto, in tal modo, «[…] un espresso rinvio alla disciplina generale sul pubblico impiego anche per i dipendenti degli Enti locali, che possono trovare ulteriore specificazione in singole disposizioni del TUEL in relazione alle peculiari caratteristiche delle Amministrazioni locali. Tali disposizioni speciali, in ogni caso, non possono che essere conformi ai principi generali che sovrintendono la disciplina della materia, in primo luogo ai fondamentali canoni di buon andamento e d’imparzialità della Pubblica Amministrazione sanciti dall’art.97 della Costituzione […]»[78].

A fugare ogni dubbio è l’intervenuta novella al d.P.R. n. 487/1994[79], in vigore dal 14 luglio 2023, il quale all’art. 15, comma 7, precisa che «le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale disciplinate dal presente regolamento rimangono vigenti per un termine di due anni dalla data di approvazione. Sono fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali».

Appare ultroneo sottolineare che la base giuridica della norma inerisca le amministrazioni pubbliche contemplate all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, vale a dire le amministrazioni dello Stato, (ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative), le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane (e loro consorzi e associazioni), le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (e loro associazioni), tutti gli enti pubblici non economici (nazionali, regionali e locali), le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. n. 300/1999.  Fino alla revisione organica della disciplina di settore, dette disposizioni continuano ad applicarsi anche al CONI.

 

  1. Note conclusive

 

Alla luce della considerazioni esposte, opportune riflessioni conclusive si delineano in relazione a quei processi di valutazione comparativa, espressi attraverso una graduatoria, della preparazione dei candidati partecipanti a selezioni pubbliche che hanno superato tutte le prove previste dalle lex specialis.

Solo al termine di tale procedimento amministrativo, caratterizzato da più atti in successione, viene formalizzato un elenco di merito dei concorrenti, secondo l’ordine dei punti della votazione complessiva riportato da ciascuno, con l’applicazione delle riserve previste dalla legge e l’osservanza, a parità di punti, delle relative preferenze.

Il punctum dolens è insito nella corretta applicazione delle disposizioni in materia, soprattutto quando si registrano condizioni di parità, nell’ipotesi in cui un aspirante abbia indicato il possesso di più titoli di preferenze o, infine, in presenza di concorrenti in condizioni preferenziali identiche per situazioni. 

La base normativa è rappresentata dal d.P.R. n. 487/1994, regolamento governativo che costituisce il corpo normativo e organico di riferimento in materia di reclutamento del personale, cui le disposizioni di altri Enti devono conformarsi.

A volersi soffermare sul significato semantico del sostantivo femminile riserva emerge, con chiarezza, come lo stesso vada ad indicare l’azione di accantonare un numero di posti messi a concorso per destinarli a determinate categorie di concorrenti tutelati dalla normativa. Si basa, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa, su una posizione differenziata legata ad un particolare status.

Rientrano in questa fattispecie i posti legati alla disciplina sul collocamento dei cittadini  diversamente abili, quelli riservati in favore dei militari delle tre Forze Armate, congedati senza demerito, al termine della ferma (o rafferma contrattuale) e, a decorrere dal 22 giugno 2023, per gli operatori volontari del Servizio Civile Universale. Ulteriore riserva operante è quella destinata alle progressioni fra le aree dei dipendenti pubblici, basata, principalmente, sulla valutazione positiva conseguita dagli stessi negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli e competenze professionali, nonché sulla tipologia degli incarichi rivestiti. I posti riservati nei concorsi di qualifica dirigenziale negli enti locali rappresentano, infine, le peculiari destinazioni di  coloro i quali abbiano maturato negli ultimi cinque anni, con pieno merito, almeno trentasei mesi di servizio, anche non continuativi, a seguito di assunzione a tempo determinato in esito a procedure selettive ad evidenza pubblica.

La ratio di questo istituto è individuata nel favor disabilis diretto a tutelare il diritto al lavoro delle persone diversamente abili prive di stabili occupazioni, oltre che nel riconoscimento al valore e all’esperienza maturata da chi ha offerto il proprio servizio in favore dello Stato, anche come volontario, dedicandosi alla cura del bene pubblico e sviluppando sempre di più senso civico e spirito di appartenenza alle comunità.

Non dissimile è funzione svolta dai titoli di preferenza, tesi, anch’essi, a privilegiare – a parità di merito e di titoli – specifiche categorie di cittadini che si trovino in una peculiare situazione di diritto o di fatto. Con l’utilizzo del termine preferenza, dal latino praeferre (composto di prae «avanti» e ferre «portare»), il legislatore ha voluto indicare proprio la scelta che caratterizza quel  comportamento, assunto in corrispondenza di una valutazione positiva fondata su motivi di importanza o gradimento, che porta a determinarsi in favore di una persona, piuttosto che di un’altra.

Il loro utilizzo è eventuale e sussidiario. L’applicazione, invece,  è automatica perchè esula dai poteri di esame della commissione giudicatrice e rientra nella sfera di competenze del dirigente dell’ufficio che ha bandito il concorso. Con riguardo alla condizione di ammissibilità va evidenziato che, la stessa, è triplice perché legata all’indicazione della preferenza da parte dei candidati nella domanda di partecipazione, al possesso del titolo alla data di scadenza del termine per la presentazione e la trasmissione all’Amministrazione procedente entro i termini stabiliti.

La norma di riferimento, come detto, conserva un carattere di applicazione tassativo, attesa la progressione logico-giuridica ben definita delle diverse fattispecie contemplate. Il rigoroso ordine di vaglio, legato alla progressione a mezzo classificazione in lettere della disposizione, risponde ad un’evidente differenziazione di rilevanza delle preferenze. L’Amministrazione, pertanto, non può prescindere dalle priorità risultanti dall’ordine di elencazione. Si dirimono, così, anche questioni  legate al possesso di più titoli di preferenza o in presenza di concorrenti con titoli preferenziali identici per situazioni. Il concorrente avente titolo alla preferenza riportata prima in elenco verrà preferito al collega che registra una condizione classificata ai punti successivi della disposizione.

Di rilevante importanza, nelle fasi propedeutiche all’elaborazione dell’elenco definitivo, soprattuto ai fini della pubblicazione, è l’adeguato bilanciamento tra le esigenze di pubblicità e trasparenza e i diritti e le libertà fondamentali degli interessati, con un’attenzione particolareggiata al diritto alla riservatezza e al diritto alla protezione dei dati personali. Risulta evidente, per quanto detto infra, che non risulterà conforme alla norma la mancata pubblicazione in chiaro dei nominativi dei vincitori e degli idonei.

In esito a quanto detto, il dirigente competente, approverà, con proprio atto, la graduatoria definitiva del concorso, proclamando il vincitore e menzionando, a seguire, i candidati idonei in numero non superiore al 20% dei posti messi a selezione, fatte salve le eccezioni previste dalla norma che riguardano procedure di reclutamento a tempo determinato, quelle promosse da Regioni, Province ed Enti Locali che prevedano un numero di posti messi a concorso inferiore a venti unità, le selezioni indette dai Comuni con popolazione inferiore a tremila abitanti e i concorsi inerenti il personale sanitario, socio-sanitario, educativo, scolastico, dei ricercatori e quello in regime di diritto pubblico.

Sui termini di validità delle graduatorie concorsuali, giova richiamare il novellato art 35, comma 5-ter, del D.Lgs. n. 165/2001 che ha fissato in due anni la vigenza delle stesse, fatti salvi i periodi inferiori previsti da leggi regionali. A sopire l’acceso dibattito sulla presunta antinomia con le previsioni triennali dell’art. 91, comma 4, del Testo Unico degli Enti Locali è stata, dapprima, la lettura della disposizione in combinato disposto con l’art. 88 del medesimo D.Lgs. n.267/2000 (norma, quest’ultima, che prevede espresso rinvio all’art 35, comma 5-ter, Testo Unico del Pubblico Impiego in materia di organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni). In seguito, a fugare ogni dubbio, è intervenuta la novella al d.P.R. n. 487/1994, in vigore dal 14 luglio 2023, ove, all’art. 15, comma 7, si precisa che le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale della PA rimangono vigenti per un termine di due anni dalla data di approvazione.

 

 

 

* Funzionario amministrativo dell’Università degli Studi di Salerno, abilitato all’esercizio della professione di Avvocato.

[1] Per un approfondimento sul tema si rimanda a: S. Romano, Principi di diritto amministrativo, Società Ed. Libraria, Milano, 1912 – G.P. Rossi, Diritto amministrativo – Principi, vol. I, Giuffrè, Milano, 2005.

[2] Per approfondimenti sul tema si rimanda a: L. Busico e V.Tenore, La disciplina giuridica dei concorsi nel pubblico impiego, Giuffrè, Milano, 2006 – V.Tenore (a cura di), Il manuale del pubblico impiego privatizzato, EPC Editore, Roma, 2020 – L. Fiorillo, Il diritto del lavoro nel pubblico impiego, Piccin, Padova, 2019 – L. Galantino (continuato da M. La Notte), Diritto del lavoro pubblico, Giappichelli, Torino, 2019.

[3] Recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche».

[4] A tenore dell’art. 35, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001 «le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni si conformano ai seguenti principi: a) adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all’ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a  realizzare forme di preselezione; b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali  e  professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori; d) decentramento delle procedure di reclutamento; e) composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali. […] e-ter) possibilità di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento di alta specializzazione, il possesso del titolo di dottore di ricerca o del master universitario di secondo livello o l’essere stati titolari per almeno due anni di contratti di ricerca di cui all’articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240. In tali casi, nelle procedure sono individuate, tra le aree dei settori scientifico-disciplinari definite ai sensi dell’articolo 17, comma 99, della Legge 15 maggio 1997, n. 127, afferenti al titolo di dottore di ricerca o al master universitario di secondo livello o al contratto di ricerca, quelle pertinenti alla tipologia del profilo o livello di inquadramento».

[5] Caratterizzata da profonde differenze rispetto a quella dell’impiego privato, dove il rapporto sorgeva da una atto di nomina della P.A. quale espressione dell’esercizio di un potere pubblico e dove si registrava l’assenza della contrattazione individuale e collettiva.

[6] F. Caringella, Manuale ragionato di Diritto Amministrativo, Dike Giuridica Editrice, Roma, 2019.

[7] P. Virga, Il pubblico impiego: principi generali, impiego statale, Giuffrè, Milano, 1973.

[8] F. Bartolini (a cura di), Codice Amministrativo, Casa Editrice La Tribuna, Piacenza, 2016.

[9] Recante il «Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi», come modificato dal d.P.R. n. 82/2023 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 150 del 29 giugno 2023).

[10] Che si svolgono secondo le modalità definite dal d.P.R. n. 487/1994, nel rispetto delle disposizioni e dei criteri di cui agli artt. 35 e seguenti del D.Lgs. n. 165/2001.

[11] «1. Al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei disabili, gli uffici competenti, sentito l’organismo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall’articolo 6 della presente legge, possono stipulare con il datore di lavoro convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla presente legge. 2. Nella convenzione sono stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. Tra le modalità che possono essere convenute vi sono anche la facoltà della scelta nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento, l’assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché l’esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro. 3. La convenzione può essere stipulata anche con datori di lavoro che non sono obbligati alle assunzioni ai sensi della presente legge. 4. Gli uffici competenti possono stipulare con i datori di lavoro convenzioni di integrazione lavorativa per l’avviamento di disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario. 5. Gli uffici competenti promuovono ed attuano ogni iniziativa utile a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili anche attraverso convenzioni con le cooperative sociali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e con i consorzi di cui all’articolo 8 della stessa legge, nonché con le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali di cui all’articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, e comunque con gli organismi di cui agli articoli 17 e 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizzazione degli obiettivi della presente legge. 6. L’organismo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall’articolo 6 della presente legge, può proporre l’adozione di deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato, per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 3 ed al primo periodo del comma 6 dell’articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451. Tali deroghe devono essere giustificate da specifici progetti di inserimento mirato. 7. Oltre a quanto previsto al comma 2, le convenzioni di integrazione lavorativa devono: a) indicare dettagliatamente le mansioni attribuite al lavoratore disabile e le modalità del loro svolgimento; b) prevedere le forme di sostegno, di consulenza e di tutoraggio da parte degli appositi servizi regionali o dei centri di orientamento professionale e degli organismi di cui all’articolo 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di favorire l’adattamento al lavoro del disabile; c) prevedere verifiche periodiche sull’andamento del percorso formativo inerente la convenzione di integrazione lavorativa, da parte degli enti pubblici incaricati delle attività di sorveglianza e controllo».

[12] Recante «Norme per il diritto al lavoro dei disabili».

[13] Art. 3 del D.Lgs. n. 165/2001.

[14] V. Tenore (a cura di), Il manuale del pubblico impiego privatizzato, EPC Editore, Roma, 2020.

[15] «In materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli articoli 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti».

[16]  Ibidem.

[17] Sul punto si cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30 agosto 2004, sentenza n. 5636, nella parte in cui si specifica che «[…] Pur se le determinazioni dirigenziali rientrano nella nozione più vasta di deliberazione come riportata dall’art. 124 del T.U.E.L., non si può affermare lo stesso circa l’estensione a queste circa i limiti all’esecutività previsti dal seguente art. 134; […] se la necessaria pubblicità dell’azione degli enti locali richiede di applicare ai provvedimenti monocratici le stesse fondamentali regole di pubblicità degli atti degli organi collegiali, ciò non vuol dire che per gli stessi valgano anche le disposizioni che riguardano il conseguimento dell’efficacia dei provvedimenti. […] Sotto tale profilo, va rimarcato che – per il principio di legalità – solo agli atti emanati dagli organi individuati dall’art. 134 del T.U.E.L. si applicano le sue relative disposizioni, e non anche agli atti disciplinati dal precedente art. 124. L’art. 42 del T.U.E.L. definisce il consiglio comunale quale organo di controllo politico-amministrativo e conseguentemente rimette alle sue competenze una serie di atti programmatori, organizzatori ed in senso lato normativi ed una limitatissima serie di provvedimenti di gestione di notevole rilevanza, mentre la giunta è chiamata ad attuare gli indirizzi generali del consiglio ed a collaborare con il Sindaco – art. 48. I dirigenti invece hanno le competenze di carattere generale per l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno e che non siano ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo degli organi di governo dell’ente. Dunque, è comprensibile che l’esecutività degli atti degli organi di governo sia subordinata ai tempi della loro pubblicazione, dato il carattere interesse collettivo da questi rivestito; le determinazioni dirigenziali costituiscono in genere la figura del provvedimento, ossia di quell’atto tipico denominato chiamato a realizzare gli interessi specifici affidati alle cure dell’amministrazione e consistenti in decisioni destinate a generare, modificare distinguere situazioni giuridiche specifiche o quanto meno a negarne la nascita, la modificazione o l’estinzione. Quindi se gli atti generali rimessi alla competenza degli organi di governo sono regolati nella loro efficacia e vigenza dall’art. 134, si comprende allora che le determinazioni dirigenziali comunali vadano anch’esse pubblicate per soddisfare le esigenze di trasparenza dell’attività amministrativa, ma non vi è alcuna regola legislativa che ne comporti l’inefficacia in pendenza di pubblicazione».

[18] Ai sensi dell’art. 35-ter del D.Lgs. n. 165/2001, disponibile all’indirizzo www.InPA.gov.it, sviluppato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ne cura la gestione.

[19] Sul punto si rimanda infra par. 7.

[20] Ai sensi dell’art. 35-quater del D.Lgs. n. 165/2001: «1. I concorsi per l’assunzione del personale non dirigenziale delle amministrazioni […], ivi inclusi quelli indetti dalla Commissione per l’attuazione del progetto di riqualificazione delle pubbliche amministrazioni (RIPAM) […] prevedono: a) l’espletamento di almeno una prova scritta, anche a contenuto teorico-pratico, e di una prova orale, comprendente l’accertamento della conoscenza di  almeno una lingua straniera […]. Le prove di esame sono finalizzate ad accertare il possesso delle competenze, intese come insieme delle conoscenze e delle capacità logico-tecniche, comportamentali nonché manageriali, per i  profili che svolgono tali compiti, che devono essere specificate nel bando e definite in maniera coerente con la natura dell’impiego, ovvero delle abilità residue nel caso dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68. Per profili iniziali e non specializzati, le prove di esame danno particolare rilievo all’accertamento delle capacità comportamentali, incluse quelle relazionali, e delle  attitudini. Il numero delle prove d’esame e le relative modalità di svolgimento e correzione devono contemperare l’ampiezza e la profondità della valutazione delle competenze definite nel bando con l’esigenza di assicurare tempi rapidi e certi di svolgimento del  concorso orientati ai principi espressi nel comma 2; b) l’utilizzo di strumenti informatici e digitali e, facoltativamente, lo svolgimento  in videoconferenza della prova orale, garantendo comunque l’adozione di soluzioni tecniche che ne assicurino la pubblicità,  l’identificazione dei partecipanti, la sicurezza delle comunicazioni e la loro tracciabilità, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e nel limite delle pertinenti risorse disponibili a legislazione vigente; c) che le prove di esame possano essere  precedute  da  forme di preselezione con test predisposti anche da imprese e soggetti specializzati in selezione di personale,  nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, e possano riguardare l’accertamento delle conoscenze o il possesso delle competenze di cui alla lettera a), indicate nel bando; d) che i contenuti di ciascuna prova siano disciplinati dalle singole amministrazioni responsabili dello svolgimento delle procedure di cui al presente articolo, le quali adottano la tipologia selettiva più  conferente con la tipologia dei posti messi a concorso, prevedendo che per l’assunzione di profili specializzati, oltre alle competenze,  siano valutate le esperienze lavorative pregresse e pertinenti, anche presso la stessa amministrazione, ovvero le abilità residue nel caso dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68. Le predette amministrazioni possono prevedere  che  nella  predisposizione  delle prove le commissioni siano integrate da esperti in valutazione delle competenze e selezione del personale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; e) per i profili qualificati dalle amministrazioni, in sede di bando, ad elevata specializzazione tecnica, una fase di valutazione dei titoli legalmente riconosciuti e strettamente correlati alla natura e alle  caratteristiche delle posizioni bandite, ai fini dell’ammissione a successive fasi concorsuali; f) che i titoli e l’eventuale esperienza professionale, inclusi i titoli di servizio, possano concorrere, in misura non superiore a un terzo, alla formazione del punteggio finale. 2. Le procedure di reclutamento di cui al comma 1 si svolgono con modalità che ne garantiscano l’imparzialità, l’efficienza, l’efficacia e la celerità di espletamento, che assicurino l’integrità delle prove, la sicurezza e la tracciabilità delle comunicazioni, ricorrendo all’utilizzo di sistemi digitali diretti anche a realizzare forme di preselezione ed a selezioni decentrate, anche non contestuali, in  relazione a specifiche esigenze o per scelta organizzativa dell’amministrazione procedente, nel rispetto dell’eventuale adozione di misure compensative per lo svolgimento delle prove da parte dei candidati con disabilità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o con disturbi specifici di apprendimento accertati ai sensi della legge 8 ottobre 2010, n. 170.  Nelle selezioni non contestuali le amministrazioni assicurano comunque la trasparenza e l’omogeneità delle prove somministrate in modo da garantire il medesimo grado di selettività tra tutti i partecipanti. 3. Le commissioni esaminatrici dei concorsi possono essere suddivise in sottocommissioni, con l’integrazione di un numero di componenti pari a quello delle commissioni originarie e di un segretario aggiunto. Per ciascuna sottocommissione è nominato un presidente. La commissione definisce in una seduta plenaria preparatoria procedure e criteri di valutazione omogenei e vincolanti per tutte le sottocommissioni. Tali  procedure e criteri di valutazione sono pubblicati nel sito internet dell’amministrazione procedente contestualmente alla  graduatoria  finale. All’attuazione del presente comma le amministrazioni  provvedono nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente. 3-bis. Fino al 31 dicembre 2026, in deroga al comma 1, lettera a), i bandi di concorso per i profili non apicali possono prevedere lo svolgimento della sola prova scritta».

[21] Ai sensi dell’art. 35-ter del D.Lgs. n. 165/2001, disponibile all’indirizzo www.InPA.gov.it, sviluppato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ne cura la gestione.

[22] Dossier di documentazione Atti del Governo n. 42, 3 maggio 2023, relativo allo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, elaborato dal servizio studi del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, Dipartimento Lavoro.

[23] Cfr. Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, 14 aprile 2023, parere n. 585.

[24] «[…] persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento […]; persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento, accertata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) in base alle disposizioni vigenti; […] persone non vedenti o sordomute; […] persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all’ottava categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni».

[25] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 213 del 11.09.2019.

[26] Cfr. Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, 14 aprile 2023, parere n. 585.

[27] «Il servizio civile universale è la scelta volontaria di dedicare fino a un anno della propria vita al servizio di difesa, non armata e non violenta, della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica italiana, attraverso azioni per le comunità e per il territorio. È aperto a tutti i giovani di età compresa tra i 18 e 28 anni (29 non compiuti), anche stranieri regolarmente residenti in Italia. Il Servizio civile universale rappresenta un’importante occasione di formazione e di crescita personale e professionale per i giovani, che sono un’indispensabile e vitale risorsa per il progresso culturale, sociale ed economico del Paese». Fonte: Dipartimento per le Politiche giovanili e il Servizio civile universale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, portale web istituzionale www.politichegiovanili.gov.it

[28] Così come sostituito dall’art. 1, comma 9-bis, del decreto-legge n. 44/2023, convertito – con modificazioni – dalle Legge n. 74/2023.

[29] Si fa riferimento a Comuni, Province, Città Metropolitane, Comunità Montane, Comunità Isolane e Unioni di Comuni, classificati quali Enti Locali dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000.

[30] Ibidem.

[31] S. Dota, A. Bultrini e A. Di Bella (a cura di), Le nuove regole per le assunzioni e lo svolgimento dei concorsi nei Comuni e nelle Città Metropolitane, ANCI, ottobre 2023.

[32] Per un’ampia disamina della disciplina previgente si rimanda a P. Iorio, La graduatoria finale di un pubblico concorso e l’insidiosa applicazione delle preferenze previste dal d.P.R. n. 487/1994, anche alla luce delle imminenti modifiche alla norma, in Amministrazione in Cammino, ISSN 2038-3711, pubblicato in data 28 novembre 2022.

[33] Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 150 del 29 giugno 2023.

[34] Ai sensi dell’art. 35-ter del D.Lgs. n. 165/2001, disponibile all’indirizzo www.InPA.gov.it, sviluppato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ne cura la gestione.

[35] Cfr. TAR Calabria, sez II, 17 dicembre 2011, sentenza n. 1613 e TAR Sicilia, sez II, 8 luglio 2010, sentenza n. 8359.

[36] Per avvalersi del diritto a fruire della preferenza gli insigniti di medaglie al valor militare e al valor civile, qualora cessati dal servizio, dovranno produrre all’amministrazione che ha bandito il concorso l’originale o la copia autenticata del relativo brevetto e la copia autentica del foglio matricolare o dello stato di servizio aggiornato dal quale risulti il conferimento della ricompensa.

[37] Per avvalersi del diritto a fruire della preferenza gli orfani dei caduti e i figli dei mutilati, degli invalidi e degli inabili permanenti al lavoro per ragioni di servizio nel settore pubblico e privato (ivi inclusi i figli degli esercenti le professioni sanitarie, degli esercenti la professione di assistente sociale e degli operatori socio-sanitari deceduti in seguito all’infezione da SarsCov-2 contratta nell’esercizio della propria attività) dovranno produrre all’amministrazione che ha bandito il concorso apposita dichiarazione dell’Amministrazione presso la quale il caduto prestava servizio dalla quale risulti anche la data della morte del genitore o la permanente inabilità dello stesso a qualsiasi lavoro, unitamente ad una certificazione idonea a comprovare la relazione di parentela con il candidato o, in alternativa, dichiarazione dell’INAIL da cui risulti che il genitore è deceduto per causa di lavoro e dalla quale risulti anche la data della morte del genitore o la permanente inabilità dello stesso a qualsiasi lavoro, unitamente ad una certificazione idonea a comprovare la relazione di parentela con l’aspirante candidato.

[38] Per avvalersi del diritto a fruire della preferenza i candidati dovranno produrre all’amministrazione che ha bandito il concorso apposita dichiarazione dell’Amministrazione presso la quale il caduto prestava servizio dalla quale risulti anche la data della morte del genitore o la permanente inabilità dello stesso a qualsiasi lavoro, unitamente ad una certificazione idonea a comprovare la relazione di parentela con il candidato o, in alternativa, dichiarazione dell’INAIL da cui risulti che il genitore è deceduto per causa di lavoro e dalla quale risulti anche la data della morte del genitore o la permanente inabilità dello stesso a qualsiasi lavoro, unitamente ad una certificazione idonea a comprovare la relazione di parentela con l’aspirante candidato.

[39] Sul punto si precisa che, per avvalersi del diritto a fruire della preferenza in parola, è necessario che sia stato prestato servizio, a qualunque titolo, per non meno di un anno nell’amministrazione che ha indetto il concorso, laddove non si usufruisca già di altro titolo di preferenza in ragione del servizio. Tale condizione esclude dalla valutazione, quindi, i servizi prestati in una amministrazione differente. Il concetto di lodevole servizio va tenuto distinto da quello senza demerito. Il primo, secondo autorevole giurisprudenza, è definito come il documento che «[…] rappresenta il frutto (e l’esteriorizzazione) di una valutazione, di apprezzamenti e dunque di giudizi; come tale è un documento di scienza, avente ad oggetto un atto di gestione del rapporto di impiego. […] l’attestazione recita “visti gli atti di ufficio”, […] contiene la certificazione che il giudizio è espresso in relazione alle risultanze, attuali e remote, delle documentazioni risultanti in disponibilità del sottoscrittore. […] quindi l’attestazione è il mezzo di prova con il quale si certifica che lo stato soggettivo di qualità della prestazione dell’interessato sussisteva alla data di interesse» (TAR Lazio, sez III-bis, 7 marzo 2011, sentenza n. 2032). In altri termini per documentare all’amministrazione che ha bandito il concorso il proprio lodevole servizio prestato è necessario il possesso di un certificato, emesso dal Dirigente della struttura o dell’ufficio dove è stato svolto il servizio, a mezzo del quale è stato dichiarato esplicitamente che l’operato del dipendente nel periodo considerato è stato pregevole da un punto di vista qualitativo. Ne consegue che questo titolo non è autocertificabile in difetto di detta attestazione. Il possesso di quest’ultima, invece, può essere presentato il copia e la sua conformità all’originale autocertificata ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 con l’esplicita indicazione che la copia allegata alla dichiarazione, composta da uno specifico numero di facciate, siglate dal dichiarante, risulta conforme all’originale in suo possesso. Diverso discorso merita il servizio senza demerito che fa riferimento alla sola prestazione lavorativa prestata senza aver mai ricevuto alcun tipo di sanzione disciplinare, in questo caso il servizio prestato, proprio per mancanza della specifica qualificazione, non può ritenersi in alcun modo lodevole.

[40] Per avvalersi del diritto a fruire della preferenza, i candidati dovranno produrre all’amministrazione che ha bandito il concorso certificazione, rilasciata dal Comune di residenza in data non anteriore a mesi sei (o estratta, a mezzo credenziali SPID, dal sito www.anagrafenazionale.interno.it. L’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) è la banca dati nazionale che ha semplificato i servizi demografici e favorito la digitalizzazione e il miglioramento dei servizi a cittadini, imprese ed Enti), dal quale risulti lo stato di famiglia idoneo ad attestare la condizione di genitore di uno o più figli. È possibile anche presentare una autocertificazione. Con riguardo alla definizione di figli a carico è bene precisare che questa non è da intendersi esclusivamente da un punto di vista fiscale, ma fa riferimento al nucleo familiare. Il figlio è da considerarsi a carico se fa parte del nucleo familiare e non possiede un reddito autonomo, a prescindere dalla circostanza che, dal punto di vista fiscale, lo stesso sia a carico di uno o due genitori. I figli – anche se naturali riconosciuti, adottivi, affidati o affiliati – sono considerati a carico, indipendentemente dal superamento di limiti d’età, se nell’anno solare antecedente a quello della dichiarazione, non hanno posseduto redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo per un ammontare superiore ad euro 2.840,51, al lordo degli oneri deducibili. A partire dal 1 gennaio 2019, in forza di quanto stabilito dalla Legge di bilancio 2018, per i figli di età inferiore ai 24 anni il limite è stato innalzato ad euro 4.000,00, mentre per i figli di età superiore resta di euro 2.840,51.

[41] Sono esclusi dal novero di detta preferenza, perché già ricompresi alla lettera b), gli orfani dei caduti e i figli dei mutilati, degli invalidi e degli inabili permanenti al lavoro per ragioni di servizio nel settore pubblico e privato (ivi inclusi i figli degli esercenti le professioni sanitarie, degli esercenti la professione di assistente sociale e degli operatori socio-sanitari deceduti in seguito all’infezione da SarsCov-2 contratta nell’esercizio della propria attività). Le ulteriori condizioni di invalido e mutilato civile dovranno essere certificate all’amministrazione che ha bandito il concorso attraverso idonea documentazione rilasciato dalla Commissione sanitaria regionale o provinciale attestante la causa o il grado di invalidità riconosciuta, con l’indicazione del grado di riduzione della capacità lavorativa, unitamente ad una certificazione utile a comprovare la relazione di parentela con il candidato.

[42] La norma non va confusa con la riserva prevista dal D.Lgs. n. 66/2010, in particolare dall’art. 1014 e dal comma 9 dell’art. 678, cui si è detto supra al paragrafo 4, cui si rimanda. La norma in questione, invece, incide nell’ambito dei concorsi che non prevedono riserve ed individua, quali beneficiari, i militari in ferma di leva prolungata e i volontari specializzati dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica congedati senza demerito al termine della ferma o rafferma contrattuale. Più in dettaglio: VFP1 volontari in ferma prefissata di 1 anno; VFP4 volontari in ferma prefissata di 4 anni; VFB volontari in ferma breve triennale e Ufficiali di complemento in ferma biennale o in ferma prefissata. La ratio della norma si fonda sulla valenza sociale che il legislatore, a seguito della professionalizzazione delle Forze armate, ha inteso riconoscere a coloro che abbiano offerto il proprio servizio, svolgendo incarichi operativi, in favore dello Stato durante il periodo della ferma.

[43] Per avvalersi del diritto a fruire della preferenza gli aspiranti dovranno produrre all’amministrazione che ha bandito il concorso idonea documentazione attestante l’esistenza di rapporti lavorativi con i gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello Stato.

[44] La preferenza è stata introdotta nell’ordinamento dall’articolo 50, comma 1-quater, del decreto-legge n. 90/2014, convertito – con modificazioni – dalla Legge n. 114/2014, a mente del quale «il completamento del periodo di perfezionamento presso l’ufficio per il processo ai sensi del comma 1-bis del presente articolo costituisce titolo di preferenza a parità di merito, ai sensi dell’articolo 5 del  regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni, nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione. Nelle procedure concorsuali indette dall’amministrazione della giustizia sono introdotti meccanismi  finalizzati a valorizzare l’esperienza formativa acquisita mediante il completamento del periodo di perfezionamento presso l’ufficio per il processo ai sensi del citato comma 1-bis».

Sul punto è utile richiamare anche il comma 1-bis del richiamato art. 50, ai sensi del quale «con decreto del Ministro della giustizia, da  adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono determinati il numero e i criteri per l’individuazione dei soggetti che hanno svolto il periodo di perfezionamento di cui all’articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15  luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, che possano far parte dell’ufficio per il processo per svolgere un ulteriore periodo di perfezionamento per una durata non superiore a dodici mesi, tenuto conto delle valutazioni di merito  e delle esigenze organizzative degli uffici giudiziari, in via prioritaria a supporto dei servizi di cancelleria. Nell’individuazione dei criteri è riconosciuta priorità alla minore età anagrafica ed è assicurata un’equa ripartizione territoriale delle risorse, tenendo conto   delle dimensioni degli uffici giudiziari. Con il medesimo decreto può essere attribuita ai soggetti di cui al presente comma una borsa  di studio nei limiti delle risorse destinabili e, in ogni caso, per un importo non superiore a 400 euro mensili. Il decreto fissa altresì i  requisiti per l’attribuzione della borsa di studio, tenuto conto, in particolare, del titolo di studio, dell’età e dell’esperienza formativa».

[45] La norma si riferisce alle attività di cui all’art. 37, comma 11, del decreto-legge n. 98/2011 (convertito – con modificazioni – dalla Legge n. 111/2011 e come modificato dall’art. 1, comma 25, della Legge n. 228/2012) a tenore del quale: «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i  Ministri dell’economia e delle finanze e della giustizia, è stabilita la ripartizione in quote  delle risorse confluite nel capitolo di cui al comma 10, primo periodo, per essere destinate, in via prioritaria, all’assunzione di personale di magistratura ordinaria, nonchè, per il solo anno 2013, per consentire ai lavoratori  cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e agli inoccupati, che a partire dall’anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di  spesa di 7,5 milioni di euro. La titolarità del relativo progetto formativo è assegnata al Ministero della giustizia. […]». La preferenza legata alle attività in parola è stata riconosciuta espressamente dall’articolo 50, comma 1-quinqies, del decreto-legge n. 90/2014, convertito – con modificazioni – dalla Legge n. 114/2014, il quale prevede espressamente che «i soggetti che hanno completato il tirocinio formativo di cui all’articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, e che non hanno fatto parte dell’ufficio per il processo, hanno comunque titolo di preferenza a parità di merito, ai sensi dell’articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni, nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione».

[46] Tale preferenza è stata introdotta dal comma 14 dell’art. 73 del decreto-legge n. 69/2013, convertito – con modificazioni – dalla Legge n. 98/2013, a mente del quale «l’esito positivo dello stage costituisce titolo di preferenza a parità di merito, a norma dell’articolo 5 del decreto del Presidente della  Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, nei concorsi indetti dall’amministrazione della giustizia,  dall’amministrazione della giustizia amministrativa e dall’Avvocatura dello Stato. Per i concorsi indetti da altre amministrazioni dello  Stato l’esito positivo del periodo di formazione costituisce titolo di preferenza a parità di titoli e di merito». Ai sensi del richiamato art. 73, comma 1, il percorso di formazione presso gli uffici giudiziari è riconosciuto ai laureati in giurisprudenza, in possesso dei requisiti di onorabilità di cui all’articolo 42-ter, secondo comma, lettera g), del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, che abbiano riportato una media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, ovvero un punteggio di laurea non inferiore a  105/110 e che non abbiano compiuto i trenta anni di età, possono accedere, a domanda e per una sola volta, a un periodo di formazione teorico-pratica presso la Corte di cassazione, le Corti di appello, i tribunali ordinari, la Procura generale presso la Corte di cassazione, gli uffici requirenti di primo e secondo grado, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni della  durata  complessiva  di  diciotto mesi. I laureati, con i medesimi requisiti, possono accedere a un periodo di formazione teorico-pratica, della stessa durata, anche presso il Consiglio di Stato, sia nelle sezioni giurisdizionali che consultive, e i Tribunali Amministrativi Regionali. La Regione  Siciliana e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell’ambito della propria autonomia statutaria e delle norme di attuazione, attuano l’istituto dello stage formativo e disciplinano le sue modalità di svolgimento presso il Consiglio di Giustizia amministrativa  per la Regione Siciliana e presso il Tribunale Regionale di Giustizia amministrativa di Trento e la sezione autonoma di Bolzano.

[47] Ai sensi dell’art. 12, comma 3, del decreto-legge n. 4/2019 (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 26/2019) «Al fine di rafforzare le politiche attive del lavoro e di garantire l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia […] con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano […] è adottato un Piano straordinario di potenziamento dei centri per l’impiego e delle  politiche attive del lavoro […]; il Piano ha durata triennale e può essere aggiornato annualmente. Esso individua specifici standard di servizio per l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia e i connessi fabbisogni di risorse umane e strumentali delle regioni e delle province autonome, nonché obiettivi relativi alle politiche attive del lavoro in favore dei beneficiari del Rdc. […] Al fine di garantire l’avvio e il funzionamento del Rdc nelle fasi iniziali del programma, nell’ambito del Piano sono altresì previste azioni  di sistema a livello centrale, nonché azioni di assistenza tecnica presso le sedi territoriali delle regioni […] da parte del Ministero del  lavoro e delle politiche sociali e dell’ANPAL, anche per il tramite dell’ANPAL Servizi Spa. A questo fine, il Piano individua le regioni e le province autonome che si avvalgono delle azioni di assistenza tecnica, i contingenti di risorse umane che operano presso le sedi territoriali delle regioni, le azioni di sistema e le modalità operative di realizzazione nei singoli territori. Con successive convenzioni tra l’ANPAL Servizi Spa e le singole amministrazioni regionali e provinciali individuate nel Piano […] sono definite le modalità di  intervento con cui opera il personale dell’assistenza tecnica. […] Nel limite […] a valere sulle risorse del Piano […], è autorizzata la spesa a favore dell’ANPAL Servizi Spa, che adegua i propri regolamenti […], per consentire la selezione, mediante procedura selettiva pubblica, delle professionalità  necessarie ad organizzare l’avvio del Rdc, la stipulazione di contratti, nelle forme del conferimento di  incarichi di collaborazione, con i soggetti selezionati, la formazione e l’equipaggiamento dei medesimi, nonchè la gestione amministrativa e il coordinamento delle loro attività, al fine di svolgere le azioni di assistenza tecnica alle regioni e alle province autonome previste […]. Nell’ambito del Piano, le restanti risorse sono ripartite tra le regioni e le province autonome con vincolo di destinazione ad attività connesse all’erogazione del Rdc, anche al fine di consentire alle medesime regioni e province autonome l’assunzione di personale presso i centri per l’impiego».

L’art. 18 del decreto-legge n. 41/2021 (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 69 del 21 maggio 2021), rubricato “Proroga incarichi di collaborazione conferiti da Anpal Servizi s.p.a”, stabilisce che «nelle  more  del  completamento  delle  procedure  regionali  di selezione del personale per il potenziamento dei centri per l’impiego al fine di garantire la continuità delle attività di assistenza tecnica presso le sedi territoriali delle regioni e delle  province autonome e nel rispetto delle convenzioni sottoscritte tra Anpal Servizi s.p.a. e le singole amministrazioni regionali e  delle province autonome, gli incarichi di collaborazione conferiti […] sono prorogati al 31 dicembre 2021. Il servizio prestato dai soggetti di cui al periodo precedente costituisce titolo di preferenza, a norma dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio  1994, n. 487, nei concorsi pubblici, compresi quelli per i centri per l’impiego, banditi dalle Regioni e dagli enti ed Agenzie  dipendenti dalle medesime. […]».

[48] La disposizione contenuta all’art. 6 del citato D.P.R. stabilisce che «al fine di garantire l’equilibrio di genere nelle pubbliche amministrazioni, il bando indica, per ciascuna delle qualifiche messe a concorso, la percentuale di rappresentatività dei generi nell’amministrazione che lo bandisce, calcolata alla data del 31 dicembre dell’anno precedente. Qualora il differenziale tra i generi sia superiore al 30 per cento, si applica il titolo di preferenza di cui all’articolo 5, comma 4, lettera o), in favore del genere meno rappresentato […]». In altri termini, prima di bandire un concorso, le singole amministrazioni saranno chiamate ad operare una verifica – al 31 dicembre dell’anno precedente – del differenziale di generi tra i dipendenti che appartengono all’area in cui è incardinato il posto e l’intero ente. In difetto di più dettagliate indicazione ministeriali, appare opportuno procedere al calcolo nel modo seguente. A mero titolo di esempio, se per l’Area dei Funzionari e dell’Elevata Qualificazione, a fine anno, risultavano in servizio 8 dipendenti, di cui 5 uomini e 3 donne, si avrà un differenziale del 25%. (più in dettaglio, infatti, gli uomini rappresentano il 62,50% e le donne il restante 37,50%). In questo caso la norma non sarà, però, applicabile: il differenziale tra i generi deve essere superiore al 30 per cento. Tale condizione si realizzerà nel caso in cui degli 8 dipendenti in servizio, si registrano 6 uomini (quindi il 75% dei dipendenti dell’Area di riferimento) e 2 donne (solo il 25%): in questo caso il differenziale sarà del 50%.

[49] La previsione è conforme al contenuto dell’art. 3, comma 7, della Legge n. 127/1997 – a mente del quale «[…] se due o più candidati ottengono, a conclusione delle operazioni di valutazione dei titoli e delle prove di esame, pari punteggio, è preferito il candidato più giovane di età».

[50] Cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 05 agosto 2019, sentenza n. 5536.

[51] Cfr., ex multis, TAR Sicilia, sez. II, 8 luglio 2010, sentenza n. 8359 e TAR Lazio, sez. III, 10 agosto 2007, sentenza n. 7769.

[52] Cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 05 agosto 2019, sentenza n. 5536.

[53] Ai sensi dell’art. 35-ter del D.Lgs. n. 165/2001, disponibile all’indirizzo www.InPA.gov.it, sviluppato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ne cura la gestione.

[54] Cfr. TAR Lazio, sez. III bis, 07 marzo 2011, sentenza n. 2032.

[55] Ibidem.

[56] V. Tenore (a cura di), Il manuale del pubblico impiego privatizzato, EPC Editore, Roma, 2020.

[57] Cfr, ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 10 aprile 2013, n. 1969; Tar Lombardia, sez. III, 29 febbraio 2016, n. 422.

[58] Cfr. TAR Sicilia, sez II, 8 luglio 2010, sentenza n. 8359. Nel caso di specie il Collegio ha ritenuto che la mancata indicazione del possesso dei titoli di preferenza nella domanda di ammissione al concorso non può comportare alcun effetto preclusivo alla loro considerazione in favore del candidato. Il titolo era, infatti, comunque posseduto entro il termine di scadenza per la presentazione della domanda, era stato prodotto dopo l’espletamento delle prove orali ed entro il termine prescritto (in questo caso da considerarsi decadenziale) e, per di più, era astrattamente in possesso della stessa Amministrazione che aveva indetto il concorso. Per i giudici della seconda sezione del Tar Sicilia non è, quindi, condivisibile la determinazione assunta nei confronti del ricorrente in quanto né dal bando di concorso né dai principi che regolano le procedure concorsuali – par condicio tra i candidati e divieto di aggravamento della procedura concorsuale – può desumersi il divieto della valutazione dei titoli di preferenza erroneamente indicati.

A quanto sopra esposto deve, peraltro, aggiungersi che lo stesso art. 16, comma 1, ultimo periodo, del d.P.R. n. 487/94 stabilisce che non vi è obbligo di presentazione della documentazione attestante il possesso dei titoli quando questi siano già posseduti dall’Amministrazione, e ciò al fine di semplificare il procedimento ed agevolare gli interessati mediante la collaborazione dell’Amministrazione stessa. Nel caso di specie il titolo di preferenza vantato dalla ricorrente era relativo a fatti – lodevole servizio prestato presso l’Amministrazione che ha indetto il concorso – già disponibile presso le strutture del Ministero dell’Istruzione.

[59] Cfr. TAR Lazio, sez III quater, 26 aprile 2007, sentenza n. 7769.

[60] Detta disposizione sanziona unicamente la mancata, tempestiva, produzione e si limita a fare un riferimento alla circostanza che deve trattarsi di titoli già segnalati, ma non sanziona espressamente l’omessa indicazione degli stessi.

[61]  Ibidem.

[62] Ai sensi dell’art. 35-ter del D.Lgs. n. 165/2001, disponibile all’indirizzo www.InPA.gov.it, sviluppato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ne cura la gestione.

[63] «[…] Nei concorsi pubblici, a esclusione di quelli banditi per il reclutamento del personale sanitario e socio-sanitario, educativo e scolastico, compreso quello impiegato nei servizi educativo-scolastici gestiti direttamente dai comuni e dalle unioni di comuni, e dei ricercatori, nonché del personale di cui all’articolo 3, sono considerati idonei i candidati collocati nella graduatoria finale dopo l’ultimo candidato vincitore, in numero non superiore al 20 per cento dei posti messi a concorso. In caso di rinuncia all’assunzione, di mancato superamento del periodo di prova o di dimissioni del dipendente intervenute entro sei mesi dall’assunzione, l’amministrazione può procedere allo scorrimento della graduatoria degli idonei non vincitori entro il limite di cui al quarto periodo. La disposizione del quarto periodo non si applica alle procedure concorsuali bandite dalle regioni, dalle province, dagli enti locali o da enti o agenzie da questi controllati o partecipati che prevedano un numero di posti messi a concorso non superiore a venti unità e per i comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti e per l’effettuazione di assunzioni a tempo determinato. Con decreto del Ministro della pubblica amministrazione, adottato previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, possono essere stabilite ulteriori modalità applicative delle disposizioni del presente comma».

[64] Per una puntuale ricognizione delle norme che disciplinano l’istituto della utilizzazione delle graduatorie concorsuali si rimanda a P. Iorio, Lo scorrimento delle graduatorie quale eccezionale all’indizione di nuovi concorsi pubblici. Norme afferenti e interpretazione del c.d. diritto vivente, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2022.

[65] Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, arricchito con riferimenti ai Considerando e aggiornato alle rettifiche pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. 127 del 23 maggio 2018.

[66] Deliberazione n. 88 del 2 marzo 2011 del Garante per la Protezione dei Dati Personali, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 134 del 12 giugno 2014.

[67] Per un approfondimento sulla compatibilità dei profili part-time con quelli a tempo pieno e sulla modifica dei rapporto di lavoro non configurati full-time si rimanda a: P. Iorio, La vexata quaestio della compatibilità dei profili part-time per le assunzioni a tempo pieno attraverso l’attingimento da graduatorie, in Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici, ISSN 0393-5604, pubblicato in data 30 dicembre 2022 e P. Iorio, La modifica del rapporto di lavoro part-time negli enti locali, dall’incremento dell’orario al regime di tempo pieno: ammissibilità e limiti, in Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici, ISSN 0393-5604, pubblicato in data 26 gennaio 2023.

[68] Per una disamina completa in tema di circostanze legate alla vincita di un ulteriore concorso a seguito di presa di servizio in una Amministrazione Pubblica si rimanda a P. Iorio, Enti Locali, le dimissioni dal servizio a seguito di assunzione in altra Amministrazione e la dibattuta applicazione della indennità di mancato preavviso, in Il Diritto Amministrativo, ISSN 2039-6937, anno XV, pubblicato in data 17.01.2023.

[69] D.Lgs. n. 267/2000 recante “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”.

[70] Sul punto si rimanda a P.Iorio, Concorsi pubblici, le graduatorie degli Enti Locali conservano una efficacia biennale, in Amministrazione in Cammino, ISSN 2038-3711, pubblicato in data 19 luglio 2023.

[71] Testo Unico del Pubblico Impiego, D.Lgs. n. 165/2001 recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

[72] D.Lgs. n. 267/2000 recante “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”.

[73] Cfr. Corte dei Conti, sezione del controllo per la regione Sardegna, 04 agosto 2020, deliberazione n. 85/2020/PAR.

[74] Cfr. TAR Abruzzo, sez. I, 12 aprile 2022, sentenza n. 125.

[75] Per un approfondimento in tema i Enti Locali si rimanda a L.Vandelli, Il Sistema delle Autonomie Locali, Il Mulino, Bologna, 2021

[76] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Campania, 16 febbraio 2023, deliberazione n. 16/2023/PAR.

[77] R. Carpino, Testo Unico degli Enti Locali commentato, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna (Rn), 2018.

[78] Cfr. Corte dei Conti, sezione del controllo per la regione Lombardia, 17 marzo 2010, deliberazione n. 280/2010/PAR.

[79] Come modificato dal d.P.R. n. 82/2023, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 150 del 29 giugno 2023.

 

 

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