12/12/2022 – Sindaci e paura della firma: eppure le tutele legali a loro protezione non mancano

Prosegue senza sosta il dibattito sulle vessazioni che subirebbero i sindaci, terrorizzati dalla paura della firma e dalle responsabilità penali e civili che ne deriverebbero. Il finale è già scritto: si abolirà il reato di abuso di ufficio (varrà solo per gli organi di governo) e si limeranno ulteriormente i reati contro la PA (a quel punto, cosa resti a fare l’Anac sarebbe da spiegare).

Rilevare che a fronte di alcune migliaia di notizie di reato (nel 2017, circa 6.500) le sentenze di condanna sono percentuali irrisorie e che, quindi, l’apparato fa un suo corso regolare, non aiuta a considerare nel suo pieno tutti i termini: ormai si è deciso che il reato di abuso d’ufficio è la causa che addirittura impedisce alle persone capaci e competenti di candidarsi.

Nessuno, poi, spiega quali esattamente sarebbero le firme delle quali i sindaci dovrebbero avere paura, posto che il 90% delle funzioni gestionali sono di competenza di dirigenti e funzionari: i sindaci hanno da firmare sostanzialmente le ordinanze contingibili e urgenti. Certo, se poi i sindaci travalicano le competenze ed adottano atti non attinenti alla loro sfera, finisco per innescare un circolo vizioso già in partenza. Meglio, quindi, attenersi al rispetto delle competenze normative. Un rischio maggiore lo hanno i sindaci dei comuni con meno di 5.000 abitanti, ove è possibile che assumano (come anche gli assessori) anche le funzioni gestionali, in deroga alle regole generai. Ma, si tratta di una facoltà: nulla obbliga anche in quei comuni i sindaci a firmare e quindi vivere nell’angoscia della connessa paura. Basterebbe dotare l’ente dell’apparato gestionale minimo necessario.

In ogni caso, ferma restando la verità sul rischio reputazionale (sebbene non di rado il coinvolgimento in inchieste o processi sia un vero e proprio trampolino di lancio verso la carriera) e sul principale peso dei processi, consistente non tanto nella condanna (come visto sopra, la stragrande parte dei processi nemmeno arriva a sentenza e le condanne sono fortunatamente pochissime), quanto proprio nel processo stesso, nello stress che comporta, causato anche da tempi come noto non compatibili col “giusto procedimento”, mercè una scarsità endemica non solo di giudici ma dell’organico dell’apparato degli uffici giudiziari e, soprattutto, di codici di procedura ipertrofici, fitti di regole, commi, cavilli, disposti al solo scopo di prevedere termini, scadenze, passaggi intermedi, notifiche, comunicazioni, integrazioni e mille altri adempimenti meri e beceri, principale causa dell’inefficienza complessiva.

L’essere sottoposti a indagine, dunque, non è sicuramente una passeggiata di salute. E’ giusto, tuttavia, ricordare che per gli amministratori locali, dal 2015 finalmente una legge ha regolato in via definitiva un sistema, prima rimesso alle interpretazioni analogiche della magistratura, finalizzato a tutelare gli amministratori locali coinvolti in iniziative giudiziarie.

Si tratta dell’articolo 7-bis deld.l.78/2015, convertito con legge 125/2015, che ha modificato l’articolo 86, comma 5, del d.lgs 267/2000 (Testo unico degli enti locali), stabilendo:

1. gli enti locali, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, possono assicurare i propri amministratori contro i rischi conseguenti all’espletamento del loro mandato;

2 è ammissibile il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali è ammissibile nel limite massimo dei parametri stabiliti dalle tariffe forensi, nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l’ente amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di dolo o colpa grave.

Insomma, l’ordinamento appresta – come è giusto che sia – agli amministratori misure di tutela e salvaguardia proprio allo scopo di ridurre l’incidenza di eventuali coinvolgimenti in iniziative giudiziali, sia con l’assicurazione, strumento che solleva del tutto l’amministratore anche dal sostegno iniziale delle spese poi rimborsabili, sia appunto col rimborso.

Certo, il tutto presuppone che la tutela scatti se il sindaco non abbia agito in conflitto con l’ente, che l’evento oggetto della causa sia scaturito da azioni o decisioni connesse con l’esercizio del mandato e che non abbia comunque agito con dolo o colpa grave: pare il minimo.

Gli strumenti per ridurre la “paura della firma” non mancano, come è giusto – si ripete – che sia. Considerare anche questi aspetti, prima di intervenire su reati il cui scopo è evitare che la PA agisca in maniera proterva per favorire interessi privati a scapito di quelli pubblici, dell’efficienza e dell’economicità della spesa, oltre che dell’imparzialità (vi sarebbe l’articolo 97 della Costituzione a porre questi principi che, quindi, dovrebbero essere tutelati da forme anche di deterrenza efficaci), aiuterebbe ad evitare decisioni radicali, che finiscono poi per nuocere specialmente ai cittadini.

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