12/03/2018 – Accumulare avanzi non è un indice di virtuosità

Accumulare avanzi non è un indice di virtuosità

  di Matteo Barbero 

 

L’accumulo, da parte degli enti territoriali, di un avanzo di amministrazione molto elevato non rappresenta un elemento di virtuosità, ma una patologia frutto di regole contabili distorsive e di prassi amministrative inefficienti.

È questo il giudizio dell’Ufficio parlamentare del bilancio in un report appena diffuso che analizza l’andamento di un fenomeno da tempo al centro del dibattito sulle politiche fiscali e ultimamente anche di alcune rilevanti pronunce della Consulta.

L’avanzo rappresenta il saldo positivo della gestione dei bilanci pubblici, contrapponendosi al disavanzo. A differenza di quello che accade nelle aziende private, dove chiudere in utile è sintomo di buona salute, nelle pa un risultato finale troppo positivo (ovvero superiore al livello «fisiologico» prudenziale rispetto all’obbligo contabile che impone di presentare il bilancio in equilibrio) riflette spesso una scarsa capacità gestionale che drena inutilmente risorse dal sistema economico e quindi, sostanzialmente, dalle tasche dei contribuenti.

In base ai dati forniti dal Mef, gli avanzi complessivi di regioni, città metropolitane, province e comuni valgono più di 16 miliardi, anche se tale somma complessiva ingloba, in realtà, quote aventi natura e rilevanza diversa. Un importo così elevato, evidenzia l’Upb, è frutto in parte di fiscal rules che, da anni, impongono agli enti territoriali di contribuire al risanamento dei conti pubblici: si tratta del c.d. pareggio di bilancio e, prima ancora, del Patto di stabilità interno, meccanismi figli delle regole europee (Sec2010) che hanno costretto le pa a realizzare risparmi forzosi, causando non pochi mal di pancia agli amministratori messi nella condizione di non potere usare i «propri» soldi neppure per tappare le buche delle strade.

Sul tema è intervenuta pochi mesi fa la Corte costituzionale, in particolare con la sentenza n. 247/2017 (si veda ItaliaOggi del 13/12/2017), i giudici delle leggi hanno ritenuto non conformi alla Costituzione vincoli di finanza pubblica che rendano indisponibili gli avanzi accertati nelle forme di legge. Ciò a maggior ragione dopo la riforma del dlgs 118/2011 che ha reso più credibili tali poste, come confermano i dati dell’Upb, da cui si evince che nelle casse degli enti giace una liquidità addirittura superiore agli avanzi accertati. Si tratta, pertanto, di una potenzialità di spesa compressa in passato che potrebbe espandersi adesso, con effetti positivi sul sistema economico, mettendo però in difficoltà lo Stato, che si troverebbe costretto a compensare gli effetti negativi sui saldi aggregati. Da qui l’ostilità del Mef all’apertura operata dalla Corte, messa nera su bianco nella recente circolare Rgs n. 5/2018 (si veda ItaliaOggi del 21/2/2018). L’Upb, inoltre, punta il dito contro le prassi amministrative inefficienti e, in particolare, sulla scarsa programmazione dei trasferimenti di risorse dal centro alla periferia, con conseguente difficoltà di impiego tempestivo delle risorse. In questa prospettiva, il report sollecita, sulla scia del pronunciamento della Consulta, un’attenta riflessione sul mantenimento del cosiddetto doppio binario di regole per le amministrazioni territoriali, quello proveniente dal pareggio di bilancio e quello derivante dalla normativa contabile: un tema che dovrà essere centrale nell’agenda della nuova legislatura.

 
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