12/01/2017 – Non sindacabili i giudizi delle Commissioni di concorso

Non sindacabili i giudizi delle Commissioni di concorso
di Paola Cosmai – Dirigente Avvocato S.S.N.

 

Respinto il ricorso di primo grado di un candidato che lamentava l’illegittima mancata ammissione alle prove orali di un concorso pubblico, su gravame del medesimo i Giudici di Palazzo Spada confermano le conclusioni del Tribunale Amministrativo chiarendo i limiti di sindacabilità in sede giurisdizionale dei voti assegnati dalla Commissioni d’esame alle prove selettive e decretando la sufficienza del voto alfanumerico ai fini motivazionali.

Questioni annose che ciclicamente riaccendono la diatriba giurisprudenziale, animata da un certo contrasto tra il Giudice del riparto ed il Consiglio di Stato e dai tentativi dei Tribunali di prossimità di scardinare in favore dei candidati gli assunti granitici, negativi, di quest’ultimo.

Gli opposti orientamenti giurisprudenziali

Ai fini dell’effettività della tutela parte della giurisprudenza ha ritenuto che il voto alfanumerico non sia di per sé sufficiente ad esprimere la valutazione, motivata dell’apprezzamento negativo delle Commissioni di concorso, essendo necessario che esso si accompagni ad un giudizio esplicativo, ancorché sintetico, il solo idoneo ad esprimere compiutamente l’iter logico seguito in puntuale applicazione dei criteri fissati dal bando e da essa stessa (ex multisT.A.R. Catania 14 settembre 2006, n. 1446id., Firenze 19 luglio 2004, n. 2649; id., Venezia 21 gennaio 2002, n. 137).

Soluzione, del resto, in grado di garantire anche una verifica dell’operato dell’organo di valutazione in sede processuale attraverso il sindacato estrinseco di legittimità (T.A.R. Roma 14 luglio 2015, n. 9366)

A tal proposito, infatti, tale impostazione, seguita dal Giudice di legittimità (Corte di Cassazione – Sezioni Civili Unite, 28 maggio 2012, n. 8412; id., 19 dicembre 2011, n. 27283; id. 9 maggio 2011, n. 10065 e id. 21 giugno 2010, n. 14893) sostiene che la valutazione demandata alla Commissione esaminatrice è priva di “discrezionalità”, perché non pondera né interessi pubblici, né opta tra soluzioni alternative, limitandosi piuttosto ad accertare, secondo criteri oggettivi o scientifici espressi preventivamente, il possesso di requisiti di tipo attitudinale e culturale dei partecipanti alla selezione, la cui sussistenza od insussistenza deve essere conclusivamente giustificata.

Apprezzamenti che sono sindacabili dal Tribunale amministrativo in quanto giudice della legittimità dell’atto che, in tal caso, si risolve nella verifica complessiva di coerenza tra la traccia, i criteri di valutazione prescelti dalla Commissione e il singolo elaborato, a ciò non ostando nemmeno il tipo di formula espressiva del giudizio, come quella sintetica del “non idoneo”, o del “voto insufficiente”, atteso che quale che sia la forma estrinsecante la motivazione essa deve rispondere logicamente ai criteri predeterminati in via generale per tutti i candidati.

Obbligo imposto ex lege all’organo tecnico esaminatore al fine di assicurare che le singole, numerose, anche remote valutazioni degli elaborati (spesso dipanate in un arco temporale piuttosto lungo) siano tutte segnate dai caratteri della omogeneità e permanenza, solo attraverso la fissazione di tale preventiva cornice potendo ragionevolmente essere assicurato l’auspicato risultato di una procedura concorsuale trasparente ed equa, in rispondenza ai canoni costituzionali fissati dall’art. 97 Cost..

Ne consegue, secondo il Giudice del riparto, che quanto più espliciti ed analitici saranno i criteri con riguardo ai livelli di accettabilità dell’elaborato rispetto alle proposte contenute nella traccia, tanto più rilevante diventerà l’onere di giustificare con adeguata motivazione il singolo giudizio afferente l’elaborato esaminato, quale che sia la sua modalità espressiva (giudizio sintetico o voto alfanumerico).

Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, tale teorica ha dunque rimodulato il bilanciamento tra il potere di controllo giudiziale dell’azione amministrativa e l’autonomia di quest’ultima, affermando l’esistenza del potere cognitorio del Giudice amministrativo anche sul fatto, in ragione del quale, conseguentemente, se sollecitato dalla domanda del candidato pretermesso, potrà esaminare le risultanze concorsuali sotto tre distinti profili: 1) se i criteri, chiaramente esplicitati o sommariamente enunciati ma desunti anche dalle motivazioni poste a base delle valutazioni della Commissione di Concorso, siano coerenti con le possibilità di argomentazione offerte dalla traccia, o non siano, di contro, irragionevolmente restrittivi; 2) se la motivazione data all’esito della singola valutazione evidenzi un travisamento delle premesse logico-giuridiche o comunque tecniche alla base dei criteri o sia inficiata da elementi di contraddizione al suo interno; 3) e se il giudizio sintetico o il risultato numerico di inidoneità, secondo la procedura applicabile, resi su di un elaborato, appaiano, alla lettura di esso, frutto di travisamento dei criteri posti espressamente o siano espressivi della adozione di criteri irragionevolmente restrittivi.

Di guisa che, il sindacato giurisdizionale non travalica i suoi limiti laddove esso demolisca il provvedimento valutativo reso dalla Commissione in ragione della “illogicità”, del “madornale errore” o del “travisamento dei fatti” in cui è incorsa nell’iter logico – giuridico percorso nell’apprezzamento del singolo elaborato, pena, viceversa, un vulnus di tutela dei candidati.

Del tutto opposto l’orientamento del Consiglio di Stato secondo cui sarebbe sufficiente anche il solo voto numerico senza ulteriori precisazioni discorsive o annotazioni sugli elaborati, giacché «la Commissione giudicatrice di un concorso non è tenuta a fornire motivazione alcuna nell’attribuzione del punteggio in forma aritmetica ad una determinata prova d’esame, in quanto il giudizio della commissione si esterna ex se nella graduazione del punteggio assegnato» (in termini Consiglio di Stato 3 novembre 1989, n. 732, conf. id.19 luglio 1989, n. 431).

A ciò non ostando né il dettato dell’art. 3, della L. 7 agosto 1990, n. 241 nella parte in cui prevede l’obbligo di motivazione perché limitato ai soli provvedimenti amministrativi e non esteso ai giudizi tecnici di che trattasi (Cons. di Stato, 26 aprile 2006, n. 2335); né l’esigenza di tutela del candidato, che non solo avrebbe pur sempre contezza del proprio operato, ma sarebbe portatore di un interesse personale recessivo rispetto a quello generale di speditezza nella chiusura del procedimento selettivo, rallentato da tali eccessivi obblighi motivazionali (Cons. di Stato, 2 aprile 2012, n. 1939 e id.16 aprile 2012, n. 2166id. 9 settembre 2009, n. 5410, nonché T.A.R. Napoli, 3 luglio 2012, n. 3144).

Quanto, poi, alla verifica in sede processuale dell’operato delle Commissioni di concorso, tale ultima teorica esclude la possibilità per il Giudice amministrativo di sovrapporre il suo giudizio a quello espresso da esse espresso perché esso è espressione di discrezionalità tecnica censurabile unicamente sul piano della legittimità, per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, emergenti dalla stessa documentazione, tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che con ciò il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (conf. Cons. di Stato, 19 ottobre 2007, n. 5468 e T.A.R. Napoli, 14 gennaio 2011, n. 130).

La recentissima decisione del Consiglio di Stato

Posto che la Commissione di concorso, nel caso di specie, si era attenuta ai parametri di giudizio delle prove approvati in fase preliminare e, quindi, alcun vizio minava il suo processo valutativo, i Giudici di Palazzo Spada riaffermano il tradizionale principio per il quale le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, sebbene qualificabili come apprezzamenti di fatto e non come ponderazione di interessi, sono pur sempre caratterizzati da ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati.

Pertanto, tali giudizi non sono sindacabili dal Giudice amministrativo, se non nei casi limite in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile.

Sicché deve escludersi un’ingerenza del Tribunale amministrativo in tale presidio di discrezionalità, né attraverso il riesame delle prove, né il ricorso a pareri pro veritate di esperti esterni , a nulla valendo, peraltro, un eventuale difetto di motivazione in cui sia incorsa la Commissione nel suo giudizio (in termini: Cons. di Stato, 9 febbraio 2011, n. 871 e, più di recente, id., 23 maggio 2016, n. 2110).

Il Supremo Consesso, pertanto, coglie l’occasione per fissare alcuni fondamentali principi in punto di sindacato giudiziale delle valutazioni delle prove di concorso, statuendo che: il sindacato di legittimità del Giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di eccesso di potere per manifesta illogicità, con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti, stante il principio di infungibilità che caratterizza le valutazioni delle prove delle Commissioni di concorso; mentre il punteggio numerico vale come sintetica motivazione di per sé assolutamente sufficiente non avendo detto organo funzione didattica tale da obbligarlo a segnalare gli errori riscontrati e ad emendarli (in termini Cons. di Stato, 26 maggio 2015, n. 2629; nonché Corte Cost., 8 giugno 2011, n. 175 e id., 1 agosto 2008, n. 328).

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