11/12/2018 – Le disposizioni legislative sulla limitazione delle missioni superano le regole del contratto collettivo

Le disposizioni legislative sulla limitazione delle missioni superano le regole del contratto collettivo

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

Un dipendente di un ente locale reclamava la corresponsione delle indennità di trasferta ed il rimborso delle spese sostenute per le attività di lavoro svolte al di fuori della propria sede di lavoro, ai sensi dell’art. 41 del CCNL 14/04/2000 del comparto delle regioni e delle autonomie locali. Il citato articolo contrattuale, infatti, prevede che al dipendente, che debba recarsi in trasferta in località diversa dalla propria sede di lavoro con distanza superiore ai 10 km, siano corrisposte le indennità di trasferta oltre al rimborso delle spese sostenute. Sia il Tribunale di primo grado, che successivamente la Corte di appello, rigettavano la domanda avanzata dal dipendente per non aver fornito la prova che lo svolgimento delle attività in trasferta si collocassero al di fuori dagli obblighi previsti dal regolamento contrattuale così come integrato dalle disposizioni legislative, né poteva lui riconoscersi una diminuzione patrimoniale al fine di dichiarare la responsabilità dell’ente locale, ovvero dichiarare l’ingiustificato arricchimento dell’ente al fine del ristoro del danno subito.

Ricorre in Cassazione il dipendente considerando che la sentenza della Corte di appello non avrebbe adeguatamente valorizzato il fatto che l’amministrazione non avesse mai contestato la veridicità dello svolgimento dell’attività di servizio fuori dall’ordinaria sede di lavoro per le indicate giornate, l’utilizzo del mezzo proprio, la sussistenza dell’autorizzazione del superiore gerarchico, la quantificazione degli emolumenti assunti come dovuti.

La conferma della Cassazione

Per i giudici di Piazza Cavour le doglianze del dipendente non meritano accoglimento, essendo le motivazioni della Corte territoriale conformi al sinallagma contrattuale che lega il dipendente alla sua amministrazione di appartenenza. In particolare, le disposizioni legislative introdotte dalla legge finanziaria del 2006 (art. 1, commi 213 e 214L. 23 dicembre 2005, n. 266) hanno soppresso l’indennità di trasferta per motivi di contenimento della spesa pubblica e di razionalizzazione dell’istituto, prevedendo specifiche eccezioni per il pagamento delle trasferte e per l’utilizzazione del mezzo proprio in tema di rimborso delle spese. In tale contesto, pertanto, il semplice riferimento alle disposizioni contrattuali del 2000 avrebbero dovuto necessariamente essere integrate con le successive disposizioni legislative, avendo cura il dipendente di precisare come le citate trasferte rientrassero nelle specifiche eccezioni stabilite dalla legge, cosa che il dipendente nel caso di specie non ha fornito minimamente. Per tale ragione, il semplice riferimento alla norma contrattuale non può essere considerato sufficiente per poter ambire al ristoro delle spese anticipate per conto dell’ente, ovvero al fine di reclamare le indennità contrattuali previste dal contratto, né il dipendente può considerare di per se esaustivo, come prova, lo svolgimento delle attività svolte fuori sede, le autorizzazioni ricevute dall’ente a recarsi in località di lavoro distante oltre i 10 km previsti dalla norma contrattuale, le eventuali autorizzazioni del superiore gerarchico anche all’utilizzo del mezzo proprio. In tale ambito, precisa la Cassazione, il sinallagma contrattuale prevede contrapposti diritti e obblighi delle parti tra i quali rientra anche la prestazione da effettuare al di fuori della sede di servizio, spettando al dipendente dimostrare che dette attività svolte rientrassero nelle eccezioni alle limitazioni disposte dalla legge che ha integrato le disposizioni contrattuali vigenti. Tali eccezioni non sono state offerte come prova, al fine di stabilire la retribuibilità delle prestazioni rese, proprio in quanto il dipendente avrebbe dovuto provare che le prestazioni in trasferta esulassero dai confini del citato sinallagma contrattuale.

Avuto riguardo alla richiesta di indennizzo per indebito arricchimento dell’ente per le attività svolte, rileva la Cassazione come tale domanda costituisce un tentativo per “recuperare”, per altra via, una voce retributiva venuta meno per l’intervento della fonte regolatrice “esterna”. Quest’ultima, tuttavia, nell’eliminare le disposizioni contrattuali che prevedevano il diritto all’indennità di trasferta e nel sancire il divieto per le parti sociali di reintrodurne di nuove in futuro, ha inteso comprimere l’autonomia collettiva nell’area pubblica. Pertanto, non può non essere condiviso il ragionamento della Corte territoriale, secondo cui, in assenza di una previsione contrattuale, l’unica azione esperibile dall’appellante era quella rivolta ad accertare la violazione del diritto alla retribuzione proporzionata ai sensi dell’art. 36 Cost. In questo caso, il dipendente per poter aspirare ad un riconoscimento economico avrebbe dovuto indicare come, il proprio trattamento economico complessivo, fosse da considerare non proporzionale alle prestazioni rese ivi incluse le trasferte effettuate al fine di poter il giudice di merito valutarne l’impatto nel suo valore complessivo e non limitarsi, come ha fatto il dipendente, con mere allegazioni concernenti le circostanze di fatto entro cui si erano svolte le diverse trasferte.

In merito all’azione specifica di indebito arricchimento, indicata nell’art. 2042 c.c., la Corte ha inoltre accertato la mancanza del requisito di sussidiarietà atteso che la disciplina codicistica riconosce il diritto ad esperire l’azione d’indebito arricchimento soltanto quando non sia possibile attivare nessun altro rimedio. Nel caso di specie il dipendente avrebbe potuto esperire l’azione di cui all’art. 36 Cost., cui la Corte Costituzionale riconosce efficacia immediata e diretta nei confronti sia della legge sia dei contratti collettivi, essendo tale norma inderogabile posta a tutela del diritto del lavoratore alla retribuzione proporzionata e sufficiente, inteso quale diritto assoluto della persona. Non solo vi è stata mancanza dell’attivazione di tale procedura, ma il dipendente non ha, altresì, fornito prova della diminuzione patrimoniale da lui subita, elemento quest’ultimo che, ai sensi dell’art. 2041 c.c. concorre alla corretta configurazione dell’istituto dell’indebito arricchimento.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Cass. civ., Sez. Lavoro, 22 novembre 2018, n. 30280

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto