11/09/2018 – Legittimo un secondo licenziamento nelle more della conclusione del primo

Legittimo un secondo licenziamento nelle more della conclusione del primo

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

Un dipendente pubblico condannato con sentenza del Tribunale penale di primo grado per induzione indebita, veniva raggiunto anche dal licenziamento disciplinare, nonostante per altro reato commesso il dipendente era stato già oggetto di un primo licenziamento. A differenza del Tribunale del lavoro di primo grado che aveva annullato il licenziamento, la Corte di appello ha invece rigettato la domanda del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro e dichiarato legittimo il licenziamento. A sostegno delle motivazioni della sentenza, i giudici di appello hanno evidenziato sia che la pregiudiziale penale è decaduta dal momento dell’introduzione dell’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001, potendo ben la PA procedere in via autonoma all’irrogazione della sanzione disciplinare senza dover attendere la conclusione del procedimento penale, inoltre il fatto che il dipendente fosse in attesa della risoluzione del primo licenziamento non rendeva illegittimo il secondo licenziamento irrogato.

Avverso le decisioni dei giudici di appello ricorre in Cassazione il lavoratore evidenziando alcuni errori nella sentenza di secondo grado e, in particolare, se è vero che sia venuta meno la pregiudiziale penale, è altrettanto vero che l’ente non può prendere come riferimento i soli contenuti ed il materiale istruttorio emergenti dal procedimento penale m avrebbe dovuto procedere con una sua autonoma istruttoria che nel caso di specie non è avvenuta, rendendo nullo il licenziamento intimato. Avuto riguardo, invece, la possibilità di un secondo licenziamento avvenuto in presenza di un primo non ancora concluso, il ricorrente invoca un orientamento del giudice di legittimità che lo aveva considerato nullo per violazione dell’art. 18L. n. 300 del 1970 (statuto dei lavoratori).

Le indicazioni dei giudici di legittimità

Il ricorso è privo di fondamento per le seguenti ragioni:

La regola generale introdotta dal D.Lgs. n. 165 del 2001 all’art. 55-ter prevede l’autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quelle penale disponendo che “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale”. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all’art. 55-bis, comma 1, secondo periodo, l’ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente. In particolare è rimessa all’ente la possibilità della sospensione del procedimento disciplinare, trattasi di facoltà e non di obbligo. Inoltre, non possono essere evocate norme eventualmente più favorevoli previste dai contratti nazionali essendo stata quest’ultima incisa in modo specifico dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, che con l’art. 68 (che ha sostituito l’art. 55, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001) ha attribuito alle disposizioni contenute negli artt. da 55 a 55-octies natura imperativa, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1339 e 1419 c.c. Avuto riguardo, invece, all’autonomo dovere istruttorio diverso da quello istaurato con il procedimento penale, precisano i giudici di Piazza Cavour, che non si rinviene nell’ordinamento alcuna disposizione che impone alla Pubblica Amministrazione di procedere ad autonoma istruttoria ai fini della contestazione disciplinare. In altri termini, come nel caso di specie, nulla impedisce alla P.A. di avvalersi, per dimostrare la fondatezza della contestazione disciplinare, degli atti del procedimento penale. D’altra parte, l’onere che incombe sul datore di lavoro di provare la effettiva realizzazione, da parte del lavoratore, delle condotte oggetto di contestazione disciplinare, attiene non alla procedura disciplinare ma a quella della, eventuale, fase di impugnativa giudiziale del licenziamento da parte del lavoratore. Tant’ è che, ferma l’immutabilità della contestazione disciplinare, non è impedito al datore di lavoro di richiedere nel giudizio la acquisizione di prove che non siano emerse nel corso del procedimento disciplinare, integrando, ad esempio, la produzione documentale o richiedendo la escussione di testimoni le cui dichiarazioni non siano state acquisite già nel corso del procedimento stesso;

Infondato, è inoltre la contestazione di un secondo licenziamento disciplinare in pendenza di un precedente licenziamento del dipendente. Infatti, il giudice di legittimità ha in diverse occasioni affermato che licenziamento illegittimo intimato ai lavoratori ai quali sia applicabile la tutela reale non è idoneo ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato, determinando solamente una interruzione di fatto del rapporto di lavoro senza incidere sulla sua continuità e permanenza (ex multis Cass. Civ. n. 3187 del 2017Cass. Civ. n. 17247 del 2016Cass. Civ. n. 22357 del 2015Cass. Civ. n. 17247 del 2015Cass. Civ. n. 27390 del 2013Cass. Civ. n. 106 del 2013Cass. Civ. n. 1244 del 2011Cass. Civ. n. 19770 del 2009). E’ stato a tal fine precisato come il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo, con la conseguenza che entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente. Il giudice di legittimità ha avuto modo di evidenziare in un suo precedente e anziano diverso indirizzo richiamato dal ricorrente, in base al quale, nell’area della stabilità reale, un secondo licenziamento, ove irrogato prima dell’annullamento del precedente licenziamento, sarebbe privo di effetto, in quanto interverrebbe su un rapporto non più esistente, ha rilevato che tale impostazione non appare condivisibile poiché si limita a considerare solamente l’aspetto degli effetti caducatori della pronunzia di illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa o giustificato motivo. Tuttavia, è stato successivamente precisato come nel caso di annullamento del recesso disposto dal giudice per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, scattino a favore del lavoratore una serie di conseguenze favorevoli (reintegrazione nel posto di lavoro, pagamento di un’indennità pari alla retribuzione di fatto che sarebbe maturata tra il licenziamento e la reintegrazione, versamento dei contributi previdenziali per il periodo tra licenziamento e reintegrazione) che postulano che il rapporto medio tempore sia continuato, seppure solamente de iure. In altre parole se non può negarsi che l’annullamento abbia natura costitutiva e che gli effetti della pronunzia abbiano effetto ex tunc, nondimeno, esso interviene in una situazione in cui il rapporto non è stato interrotto dal licenziamento. Pertanto, la continuità e la permanenza del rapporto rende in conclusione ammissibile, come correttamente affermato nella sentenza impugnata, l’irrogazione di un secondo licenziamento, pur chiaramente destinato ad operare solo in caso di annullamento di quello precedente.

Cass. Civ., Sez. Lavoro, 28 agosto 2018, n. 21260

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