11/02/2022 – All’Adunanza plenaria la questione relativa all’azione risarcitoria se il ricorso è diventato improcedibile

Risarcimento danni – Azione risarcitoria – Giudizio di annullamento dichiarato improcedibile – Art. 34, comma 3, c.p.a. – Criteri di applicazione.

       Sono rimesse all’Adunanza plenaria le questioni: a) se – per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., quando la domanda di annullamento sia diventata improcedibile – sia sufficiente formulare un’istanza generica ed espressiva dell’interesse a un accertamento strumentale alla pretesa risarcitoria anche futura (e, in caso di risposta affermativa, se occorrano particolari modalità e se vi siano termini per la sua proposizione) oppure se occorra l’allegazione dei presupposti per la sua successiva proposizione (e, in caso di risposta affermativa, quali siano le modalità ed i termini per tale allegazione) oppure se sia necessaria la proposizione della domanda di risarcimento del danno, nell’ambito del medesimo giudizio nel quale si prospetta la possibile improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse della domanda di annullamento o, in alternativa, in un autonomo giudizio (e, in caso di risposta affermativa, secondo quali modalità deve avvenire la formulazione di tale domanda); qualora si ritenga che, ai fini dell’accertamento di illegittimità ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., sia sufficiente la sola allegazione degli elementi costitutivi della domanda risarcitoria, se il giudice investito di questa domanda di accertamento possa comunque pronunciarsi su una questione ‘assorbente’ e dunque su ogni profilo costitutivo della fattispecie risarcitoria, in quanto – anche in assenza della formulazione della domanda risarcitoria – comunque la riscontrata infondatezza di uno degli elementi costitutivi dell’illecito è correlata alla concreta insussistenza dell’interesse espressamente richiesto per la declaratoria di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a. (1). 

(1) Ha chiarito la Sezione che l’art. 34, comma 3, c.p.a. prevede che “Quando nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.  

Secondo il Collegio può dirsi oramai superata quell’interpretazione della disposizione secondo cui l’accertamento dovrebbe essere compiuto anche d’ufficio dal giudice amministrativo, poiché la domanda d’accertamento dovrebbe essere considerata un minus rispetto a quella d’annullamento e già contenuta in quest’ultima (Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2014, n. 3997; id., sez. VI, 18 luglio 2014, n. 3848; id., sez. IV, 18 maggio 2012 n. 2916; id., sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817). 

Sulla base di un primo orientamento di questo Consiglio (definito “orientamento tradizionale”, dalla sentenza n. 4597/2020), cui fa riferimento l’appellante per sostenere le sue deduzioni, a radicare l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto sarebbe sufficiente la sola deduzione dell’interessato di voler proporre in un futuro giudizio la domanda risarcitoria (Cons. Stato, sez. V, 2 luglio 2020, n. 4253; id. 17 aprile 2020, n. 2447; id., sez. VI, 4 maggio 2018, n. 2651; id., sez. IV, 5 dicembre 2016, n. 5102; id. 16 giugno 2015, n. 2979; id., sez. V, 24 luglio 2014, n. 3939; id., sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1231; id., sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6539). 

Sulla base di un secondo orientamento (definito “orientamento più recente”, dalla medesima sentenza n. 4597/2020), per radicare l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto sarebbe necessario allegare, unitamente all’istanza, i presupposti della successiva domanda risarcitoria (Cons. Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6824; id., sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1059; id., sez. II, 5 ottobre 2020, n. 5866; id., sez. III, 22 luglio 2020, n. 4681; 29 gennaio 2020, n. 736; id., sez. IV, 17 gennaio 2020, n. 418; id., sez. III, 8 gennaio 2018, n. 5771; id., sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1214; id., sez. IV, 18 agosto 2017, n. 4033; id., sez. V, 15 marzo 2016, n. 1023; id., sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6703). 

 

Partendo dal secondo orientamento, è poi possibile enucleare un ulteriore sotto-orientamento, che richiede, almeno, che si “comprovi sulla base di elementi concreti il danno ingiustamente subito” (Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1214; id., sez. III, 29 gennaio 2020, n. 736). 

La Sezione ha ritenuto opportuno sottoporre all’esame dell’Adunanza Plenaria alcune osservazioni relative agli orientamenti sopra esposti e prospettare una sua soluzione ricostruttiva della disposizione in esame.  

In relazione al primo orientamento, si premette che l’interesse ad agire consiste nella “prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato” (Cons. Stato, Ad. plen., n. 4 del 2018; id. n. 22 del 2021). 

Applicando i principi posti a base del primo orientamento, si osserva che, in realtà, si consente che l’interesse ad agire in giudizio – di chi domanda l’accertamento dell’illegittimità ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a. (che dovrebbe corrispondere all’interesse di ottenere la riparazione di un possibile danno derivante dal provvedimento illegittimo) – non sia né allegato né tantomeno comprovato. 

Si potrebbe pertanto affermare che non sarebbe sufficiente la mera affermazione di “voler proporre in futuro una domanda risarcitoria”, per ritenersi radicato l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto. 

Infatti, una tale affermazione sulla intenzione di proporre in futuro un ulteriore ricorso potrebbe risultare in contrasto con il consolidato orientamento secondo cui l’interesse ad agire deve essere “concreto e attuale” (Cons. Stato, Ad. Plen., 9 dicembre 2021 n. 22). 

Inoltre, un simile orientamento – sulla sufficienza della mera deduzione di voler proporre un futuro ricorso – potrebbe risultare anche in antitesi con le affermazioni di principio secondo cui la funzione giurisdizionale costituisce una ‘risorsa scarsa’ (Cons. Stato, Ad. Plen., 27 aprile 2015 n. 5; Cass civ., Sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243), il cui impiego non va dunque ammesso in caso di ‘domande esplorative’, quale sarebbe, per l’appunto, l’istanza formulata per conoscere di eventuali profili di illegittimità dell’atto, senza che sia effettivamente incardinata una domanda risarcitoria e nell’eventualità (che diviene certezza, ove i profili di illegittimità non vengano riscontrati) che una tale domanda non venga incardinata mai. 

Ad avviso della Sezione, seri dubbi sulla condivisibilità di tale orientamento derivano anche dal principio sancito dall’art. 97 Cost. sul buon andamento dei pubblici uffici (applicabile anche per l’esercizio della amministrazione della giustizia, come chiarito dalla Corte costituzionale con le sentenze 18 gennaio 1989, n. 18 e 7 maggio 1982, n. 86), poiché si porrebbe quale intralcio al dovere di dirimere le liti effettivamente pendenti una disposizione che imponga invece al giudice di decidere ‘in astratto’ su profili anche complessi, col concreto rischio che le relative statuizioni – secundum eventum – riguardino una domanda che non sia stata proposta e che neppure lo sarà. 

Considerazioni pressoché analoghe potrebbero essere formulate con riferimento al secondo orientamento, poiché esso potrebbe risultare soltanto in apparenza più rigoroso del primo, in quanto allegare gli elementi costitutivi di una futura domanda risarcitoria risulta un’operazione non particolarmente complessa ai fini di una cognizione di tali profili. 

In ogni caso, rileva la Sezione che l’art. 34, comma 3, c.p.a. potrebbe essere comunque interpretato nel senso che – tenuto conto della complessiva disciplina riguardante la tutela risarcitoria nel caso di lesione arrecata all’interesse legittimo – il giudice amministrativo possa non esaminare le censure formulate avverso il provvedimento impugnato, allorquando comunque risulti insussistente uno degli altri elementi costitutivi della fattispecie. 

Si pensi al caso, del tutto frequente, in cui emerga senz’altro l’assenza della rimproverabilità dell’Autorità che ha emanato l’atto impugnato, per la complessità del caso o perché essa ha tenuto conto di un orientamento giurisprudenziale, rispetto al quale ve ne sia un altro contrapposto: ad avviso della Sezione, sarebbe del tutto inappropriato che il giudice amministrativo debba esaminare i motivi di ricorso e prendere posizione su quale sia l’orientamento giurisprudenziale preferibile, quando poi la domanda risarcitoria debba essere respinta, proprio perché comunque – quand’anche l’atto impugnato sia risultato illegittimo – non si configura alcuna responsabilità. 

Si pone, cioè, la delicata questione di principio sul se – in sede di applicazione dell’art. 34, comma 3 – il giudice amministrativo possa anche non esaminare con priorità le questioni sulla “ingiustizia del danno” e dunque i profili di legittimità del provvedimento gravato, in base ai motivi di ricorso formulati per sostenere la domanda di annullamento, e possa invece senz’altro escludere – con conseguenze ‘assorbenti’ – il “nesso di causalità”, la “spettanza del bene della vita”, la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito o il “danno patrimoniale o non patrimoniale”. 

Le relative questioni sono anche connesse all’altra questione su come si coordini l’applicazione del medesimo comma 3 con il principio della domanda, e cioè sul se il giudice – una volta che il ricorrente ne abbia chiesto l’applicazione – possa senz’altro escludere (senza dare l’avviso ai sensi dell’art. 73) che sussista uno degli elementi costitutivi dell’illecito: potrebbe risultare contraddittorio – oltre che contrario al principio del buon andamento della funzione giurisdizionale – affermare che da un lato il ricorrente possa meramente “preannunciare” la proposizione di una domanda risarcitoria e dall’altro che il giudice si debba pronunciare su un ‘frammento di domanda’ e non possa senz’altro escludere la responsabilità. 

Sotto tale profilo, si potrebbe affermare che proprio la domanda ‘generica’ formulata ai sensi dell’art. 34, comma 3, consenta di per sé al giudice di valutare previamente se vada escluso un reale e serio interesse, a base della domanda. 

Sulle possibili interpretazioni alternative dell’art. 34, comma 3, c.p.a., secondo la Sezione sarebbe prospettabile un’ulteriore possibile interpretazione del citato comma 3, nel senso che – una volta che nel giudizio di annullamento sopraggiunga o venga dichiarata la carenza di interesse della domanda di annullamento dell’atto impugnato – si potrebbe accertare l’illegittimità dell’atto solo se la domanda risarcitoria sia effettivamente formulata nel medesimo giudizio (qualora il processa penda in primo grado), con la proposizione di motivi aggiunti (proposti dalla parte proprio in previsione della possibile declaratoria di improcedibilità del giudizio, in ragione dell’eccezione di una delle parti resistenti o del rilievo officioso della questione), o in un autonomo giudizio, con un autonomo ricorso (qualora la parte proponga un separato giudizio oppure l’improcedibilità si verifichi nel giudizio di appello). 

Tale interpretazione potrebbe risultare corroborata da diversi argomenti. 

Per l’art. 34, comma 3, c.p.a., affinché vi sia una pronuncia di accertamento sull’illegittimità dell’atto, occorre che “sussist[a] l’interesse ai fini risarcitori”: tale indicativo presente postula la concreta sussistenza dell’interesse risarcitorio, il che, a rigore, si ha soltanto nelle due ipotesi prima indicate di effettiva proposizione della domanda risarcitoria ed è, di contro, escluso qualora la parte si limiti ad una mera enunciazione della sua futura proposizione (il che, peraltro, come si è sopra osservato, potrebbe avvenire soltanto secundum eventum litis, ossia se lo scrutinio ‘preliminare ed ipotetico’ richiesto abbia esito positivo: si tratterebbe dunque di un interesse a fini risarcitorio astratto, futuro e condizionato all’accertamento positivo dell’illegittimità). 

Sempre muovendo dal dato letterale, si potrebbe affermare che il legislatore, se avesse voluto davvero consentire una ‘futura’ domanda risarcitoria, avrebbe adoperato non l’espressione “se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”, ma una ben diversa, del tipo “se è dichiarato un (futuro/eventuale) interesse a fini risarcitori” oppure “se sono allegati i presupposti di un (futuro/eventuale) interesse a fini risarcitori”. 

L’interpretazione proposta potrebbe essere anche preferibile sul piano sistematico. 

. Infatti, l’art. 30, comma 3, c.p.a., prevede, di regola, che la domanda risarcitoria venga proposta “entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”. 

Eccezionalmente, l’art. 30, comma 5, c.p.a., consente, qualora sia stata proposta la domanda di annullamento, che la domanda risarcitoria possa essere proposta entro il termine di 120 giorni, decorrente dalla pronuncia della “relativa sentenza”, ossia, per dirla con una formulazione meno ellittica, entro il termine di 120 giorni, decorrente dalla pronuncia della sentenza che accoglie la domanda di annullamento. 

La medesima disposizione prevede, inoltre, che, laddove non si sia rispettato il termine di cui all’art. 30 comma 3, la domanda risarcitoria possa essere “formulata nel corso del giudizio” di annullamento. 

 

Qualora si consenta di formulare la domanda risarcitoria entro il termine di 120 giorni decorrente dalla sentenza che accerta l’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., si potrebbe avere una soluzione non coerente con l’art. 30, comma 5, c.p.a. 

L’art. 30, comma 5, c.p.a., risulterebbe coerente con l’art. 34, comma 3, c.p.a., qualora questo sia interpretato nel senso che la domanda risarcitoria sia “formulata nel corso del giudizio” di annullamento, come previsto proprio dall’art. 30, comma 5. 

Sempre sul piano sistematico, questa interpretazione potrebbe risultare più coerente con la nozione di “interesse” cui il comma 3 fa riferimento e che, in linea di principio, dovrebbe essere quello processuale di cui all’art. 100 c.p.c., cioè diretto, concreto e attuale. 

I due orientamenti surrichiamati, in definitiva, hanno attribuito rilievo ad un interesse “strumentale” ad una futura azione risarcitoria (così, testualmente, Cons. Stato, n. 4253 del 2020, punto 1.1.1.),  il quale, tuttavia, nel nostro ordinamento, ha rilievo in presenza di una disposizione di legge o quando si tratti di dare tutela giurisdizionale a chi altrimenti non potrebbe averla (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 10 del 2020, Corte cost. n. 271 del 2019; Ad. plen. n. 4 del 2018; n. 9 del 2014). 

Qualora risultassero condivisibili le osservazioni sopra esposte, si eviterebbe che la “scarsa” risorsa giurisdizionale sia impiegata a soli fini esplorativi e che la parte possa ‘costringere’ il giudice ad esaminare questioni che si potrebbero e si dovrebbero considerare irrilevanti, quando il giudice stesso – al quale sia sottoposta la piena cognizione della vicenda – ritenga che, se anche l’atto impugnato risulti illegittimo, non sia ravvisabile la responsabilità, per mancanza di un elemento costitutivo della fattispecie aquiliana (ad es., perché la questione è di particolare complessità), oppure – e con riferimento al ‘secondo orientamento’ – quando le allegazioni poste a base delle “prospettive” risarcitorie siano così esigue da far dubitare che, ragionevolmente, una domanda verrà poi proposta. 

 

Qualora si dovesse affermare che la domanda risarcitoria vada comunque ‘proposta’ nel corso del medesimo giudizio, il giudice adito potrebbe dunque respingerla anche per profili differenti a quelli correlati alla legittimità dell’atto emanato (perché, ad es., non ravvisa la rimproverabilità della P.a. oppure non ritiene sussistente o adeguatamente provato il danno). 

Si può anche ipotizzare che la domanda risarcitoria sia proponibile in un autonomo giudizio, da sospendere ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione di quello inerente all’illegittimità del provvedimento: ove possibile, i due giudizi potranno essere riuniti. 

Nella medesima prospettiva, si eviterebbe, inoltre, un defatigante allungamento dei processi e non soltanto in quei casi in cui la disamina in diritto delle censure di illegittimità sia di particolare complessità, ma anche in tutte le controversie in cui l’accertamento dell’illegittimità di un atto richieda necessariamente l’espletamento di taluni approfondimenti istruttori, ad es. mediante verificazioni o consulenze tecniche: si eviterebbe cioè che, per accertare l’illegittimità del provvedimento, nella prospettiva di una futura domanda risarcitoria, vengano compiute laboriose e dispendiose istruttorie su atti che enunciano un assetto di interessi peraltro oramai superato. 

Seguendo l’impostazione proposta, potrebbe risultare maggiormente sicura l’attività amministrativa, anche nella prospettiva della programmazione di bilancio, in quanto la P.a. potrà conoscere, immediatamente, se la domanda risarcitoria viene proposta o meno, e non dovrà invece attendere la definizione del giudizio di accertamento e il futuro incardinarsi del giudizio risarcitorio. 

Va sottolineato che, dall’esame dei casi concreti decisi dalle sentenze sopra citate, risulta come l’adesione all’uno o all’altro orientamento è stata sovente manifestata a supporto di una statuizione di rigetto dell’accertamento dell’illegittimità, negato in alcuni casi per mancanza della richiesta di parte, oppure, ove essa sia presente, perché manca la “compiuta allegazione” dei presupposti per la “futura proposizione dell’azione risarcitoria”. 

Per evitare la ‘duplicazione di giudizi’ o ‘accertamenti astratti’ sui profili inerenti all’illegittimità del provvedimento a fini risarcitori, il Collegio ritiene, in subordine, che, anche a non voler ritenere necessaria la proposizione di una domanda risarcitoria che investa anche i profili del “quantum”, sia almeno necessaria una domanda che investa gli elementi costitutivi dell’“an”. 

Tale interpretazione darebbe comunque modo al giudice investito della domanda ex art. 34, comma 3, c.p.a. di valutare la sussistenza dell’interesse ad un simile accertamento. 

La fattispecie risarcitoria si compone di più elementi costitutivi e l’ingiustizia del danno – che nell’illecito commesso dall’amministrazione, mediante l’esercizio di poteri autoritativi, corrisponde all’emanazione di un atto o di un provvedimento illegittimo a danno di un interesse legittimo del privato – costituisce soltanto uno di questi elementi. 

A questo elemento, si affiancano, infatti, il nesso di causalità, il giudizio prognostico circa la spettanza del bene della vita, la colpevolezza dall’amministrazione (salve le regole peculiari in tema di appalti pubblici) e il danno arrecato al destinatario del provvedimento. 

Si potrebbe dunque affermare che la domanda di accertamento dell’illegittimità – proposta ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a. e genericamente ipotizzabile l’an della responsabilità – risulterebbe priva di interesse ogniqualvolta, esaminati gli atti di causa, il giudice ritenesse insussistente uno degli altri elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria. 

E, sotto tale profilo, si potrebbe affermare che, una volta formulata la ‘domanda generica su una ipotetico an della responsabilità’, la parte sia consapevole della possibilità che la domanda sia sostanzialmente decisa in senso negativo dal giudice, con una sentenza che rilevi l’insussistenza dell’illecito e sia idonea anche sotto tale profilo a passare in giudicato. 

Cons. St., sez. IV, ord., 9 febbraio 2022, n. 945 – Pres. Maruotti, Est. Conforti

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