11/02/2020 – Beni Ambientali. Interventi rilevanti ai fini paesaggistici

Beni Ambientali. Interventi rilevanti ai fini paesaggistici
Pubblicato: 10 Febbraio 2020
Cass. Sez. III n. 4700 del 4 febbraio 2020 (UP  12 nov 2019)

L’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 non prevede alcuna limitazione in ordine alla tipologia dei lavori oggetto della condotta vietata, essendo punito “chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici”, laddove tale ultima locuzione è idonea ad abbracciare qualsivoglia attività, tale da comportare una modificazione del bene paesaggistico; oggetto della tutela è pacificamente l’ambiente, che può essere leso non solo da lavori edili, ma da qualunque attività comportante una modificazione dell’assetto territoriale, ivi compresa la conformazione dei luoghi, quali, appunto, i lavori di sbancamento del terreno.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Imperia e appellata dagli imputati, la Corte di appello di Genova, riqualificato il reato di cui al capo A) ai sensi dell’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 e ritenuta quale violazione più grave il reato ex art. 110 cod. pen., 44 lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001, contestato al capo B) unitamente al reato di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, rideterminava in anni uno di arresto e 40 mila euro di ammenda la pena inflitta nei confronti di Michele De Marte e Giovanni De Marte, confermando nel resto la pronuncia di primo grado, la quale aveva assolto il coimputato Enzo La Gamba dai reati in esame per non aver commesso il fatto.

2. Avverso l’indicata sentenza, Michele De Marte e Giovanni De Marte, per mezzo del comune difensore di fiducia, propongono ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 110 cod. pen. con riferimento alla posizione di Giovanni De Marte. Secondo la prospettazione difensiva, la motivazione non indicherebbe la condotta ascritta a Giovanni De Marte nel reato  contestato in concorso con il padre, e, in ogni caso, ai fini della responsabilità ex art. 110 cod. pen., non sarebbe sufficiente la mera qualifica di promissario acquirente del fondo.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in riferimento all’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe erroneamente disatteso il motivo di appello con cui si contestava la qualificazione dell’attività di movimentazione terra quale “lavoro” ai sensi dell’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, che, per contro, si riferirebbe unicamente agli interventi di nuova costruzione edile, come di desumerebbe dal tenore letterale dei commi 1-bis, lett. b) e 1-ter, lett. a), b) e c), in cui vi è un chiaro riferimento alle “volumetrie” e ai “materiali autorizzati”, locuzioni che sono congruenti, appunto, con l’attività edile ma non con quella di mero sbancamento.

 2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) in ordine alla valutazione dei testi. Secondo i ricorrenti, i giudici di merito hanno erroneamente valutato attendibile il teste Novaro, a discapito della deposizione resa dal teste Vukovic, il quale ha indicato in Enzo La Gamba il responsabile del cantiere, che aveva dato indicazioni sul luogo di scarico dei detriti.

2.4. Con il quarto motivo si censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006.  Deducono i ricorrenti che non sarebbe ravvisabile il reato di cui al comma 2 dell’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006, per la cui integrazione è richiesta, in capo all’agente, una qualifica soggettiva, che non possedevano i due imputati.

2.5. Con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. con riferimento alla natura dei rifiuti di cui al capo A). La Corte territoriale avrebbe dovuto motivare in ordine alla natura dei rifiuti – se pericolosi o meno – ciò che si riflette sulla determinazione della pena, rispettivamente comminata dalla lett. a) dell’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento ai rifiuti non pericolosi, ovvero dalla lett. b), in relazione ai rifiuti pericolosi.

2.6. Con il sesto motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in merito alla commisurazione della pena. Secondo la prospettazione difensiva, la pena inflitta sarebbe eccessiva, non rispecchiando la non particolare gravità delle condotte, stante la natura non pericolosa dei rifiuti e il lieve impatto sul fondo ove furono scaricati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La non manifesta infondatezza del quarto motivo consente di rilevare l’intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, contestato al capo A), essendo per il resto il ricorso inammissibile. 

2. Il primo motivo è inammissibile perché articolato in fatto.

Invero, la Corte di appello ha desunto la partecipazione di Giovanni De Marte ai reati in esame dal fatto che egli avesse stipulato un contratto preliminare di compravendita con effetti anticipati, ad oggetto il terreno ove il padre conferì i detriti provento dall’attività di demolizione.

Orbene, proprio la circostanza che il contratto preliminare fosse con effetti anticipati ha consentito a Giovanni De Marte di avere l’immediata disponibilità di fatto del terreno, evidentemente messo a disposizione del padre per lo scarico dei detriti e per il compimento delle ulteriori attività illecite realizzate, quali lo sbancamento, e considerando che, come emerge dalla sentenza di primo grado, entrambi i De Marte stavano lavorando al cantiere, da dove provenivano i rifiuti poi accumulati sul terreno in esame.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

3.1. Secondo quando accertato dal personale del nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale di Imperia in data 11/02/2014 – non oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti –,  sul terreno nel comune di Diano Castello, località Ville sito in prossimità di un fiume – e quindi soggetto a vincolo paesaggistico idrogeologico – oggetto del contratto preliminare di compravendita in favore di Giovanni De Marte, vi era, sulla strada che conduceva all’area, materiale edile (mattoni, pietre e detriti) derivante dalla demolizione in atto presso il cantiere viciniore ove stava lavorando Michele De Marte; inoltre era stato realizzato un spiazzo di circa 300 mq. mediante movimenti di terra ed era stato altresì eseguito uno sbancamento di terreno pari a circa 500 mc.

3.2. Ciò posto, la tesi sostenuta dai ricorrenti, secondo cui l’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 non darebbe rilevanza all’opera di sbancamento del terreno, ma punirebbe solamente la realizzazione di lavori di natura edile, è destituita di ogni fondamento, perché è contraddetta dal chiaro dato letterale e dalla ratio della norma incriminatrice.

Per un verso, infatti, l’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 non prevede alcuna limitazione in ordine alla tipologia dei lavori oggetto della condotta vietata, essendo punito “chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici”, laddove tale ultima locuzione è idonea ad abbracciare qualsivoglia attività, tale da comportare una modificazione del bene paesaggistico; per altro verso, oggetto della tutela è pacificamente l’ambiente, che può essere leso non solo da lavori edili, ma da qualunque attività comportante una modificazione dell’assetto territoriale, ivi compresa la conformazione dei luoghi, quali, appunto, i lavori di sbancamento del terreno.

Né tale ricostruzione è smentita dal rilievo che nei successivi commi 1-bis, lett. b) e 1-ter, lett. a), b) e c) dell’art. 181 d.lgs. n 42 del 2004 vi sia un riferimento alle “volumetrie” e ai “materiali autorizzati”, trattandosi di previsioni del tutto autonome; il comma 1-bis, infatti, contempla una fattispecie delittuosa (e non contravvenzionale) punita più severamente se i lavori sono eseguiti su aree o beni dichiarati di notevole interesse pubblico, mentre il comma 1-ter disciplina una sanatoria laddove l’autorità amministrativa accerti la compatibilità paesaggistica.

4. Il terzo motivo è manifestamente infondato perché pretende una diversa lettura dei dati probatori.

Invero, con motivazione non manifestamente illogica, la Corte territoriale ha dato credito alla deposizione del teste Novaro, il quale non solo è stato ritenuto soggettivamente credibile, non avendo alcun interesse nella vicenda, ma aveva appreso direttamente da Michele De Marte dell’intenzione di costui di eseguire i lavori edili sul terreno viciniore, come poi è stato successivamente riscontrato all’atto degli accertamenti effettuati da personale del nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale di Imperia in data 11/02/2014, accertamenti che smentiscono le dichiarazioni rese dal teste Vukovic.

5. Il quarto motivo non è manifestamente infondato, in esso evidentemente assorbito il quinto motivo.

5.1. Come costantemente affermato da questa Corte di legittimità, in tema di gestione dei rifiuti, ai fini della configurabilità del reato di abbandono di rifiuti per titolare di impresa o responsabile di ente non deve intendersi solo il soggetto formalmente titolare dell’attività ma anche colui che eserciti di fatto l’attività imprenditoriale inquinante (Sez. 3, n. 19207 del 27/03/2008 – dep. 13/05/2008, Scalzo, Rv. 239875; in senso conforme, Sez. 3, n. 22035 del 13/04/2010 – dep. 10/06/2010, Brilli, Rv. 247626; Sez. 3, n. 19969 del 14/12/2016 – dep. 27/04/2017, Boldrin, Rv. 269768; Sez. 3, n. 30133 del 05/04/2017 – dep. 15/06/2017, Saldutti e altro, Rv. 270323).

5.2. Nel caso in esame, infatti, il tribunale non ha compiuto alcun accertamento sul punto, affermando unicamente che i ricorrenti erano dipendenti della società Tecnoedilmeg – il cui legale rappresentante, Enzo La Gamba, è stato definitivamente assolto per non aver commesso il fatto – società incaricata di demolire un immobile sito in Diano Castello, via Caduti di Nassiria 15, senza però spiegare in che modo a costoro fosse riconducibile, almeno di fatto, l’attività di smaltimento dei rifiuti.

Nonostante la rilevata lacuna motivazionale, deve rilevansi che medio tempore il reato in esame è prescritto, di talché, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275).

La sentenza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio per essere il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006  estinto per intervenuta prescrizione, con eliminazione della relativa pena, pari a 10 mila euro di ammenda, come determinata dalla Corte territoriale quale aumento per la continuazione; conseguentemente, la pena per ciascun ricorrente va rideterminata in anni uno di arresto e 30 mila euro di ammenda.

6. Il sesto motivo è manifestamente infondato.

6.1. Va osservato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; non è perciò consentita la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione.

6.2. Nel caso in esame, la Corte ha adeguatamente motivato in ordine alla quantificazione della pena, che si attesta in misura mediana, valorizzando la non trascurabile gravità dei fatti come accertati e i precedenti penali di cui è gravato Michele De Marte.

7. Va infine rilevato che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016 – dep. 14/02/2017, Aiello e altro, Rv. 268966).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 perché estinto per prescrizione. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi. Ridetermina la pena per ciascuno dei ricorrenti in anni uno di arresto e 30 mila euro di ammenda.

Così deciso il 12/11/2019.

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