11/01/2016 – La disciplina relativa alla liquidazione delle spese legali nei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile, alla luce della recente sentenza del T.A.R. del Lazio 9 dicembre 2015 n. 13753

ANTONIO VETRO

(Presidente on. Corte dei conti)

La disciplina relativa alla liquidazione delle spese legali nei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile, alla luce della recente sentenza del T.A.R. del Lazio 9 dicembre 2015 n. 13753


1. Premessa.

Lo scrivente, nell’articolo del 2 dicembre 2013 (“Nuovi aspetti della problematica relativa alla liquidazione delle spese legali nei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile”), si è già interessato della normativa in esame, prendendo spunto dalla sentenza n. 310/2013 della Sezione giurisdizionale della Toscana della Corte dei conti, la quale aveva statuito che “incontestabilmente compete al solo giudice contabile disporre in tema di liquidazione delle spese in favore del dipendente assolto nel merito innanzi alla Corte dei conti”. Nell’articolo, preso atto della opposta giurisprudenza della Cassazione e del giudice amministrativo, lo scrivente aveva concluso sottolineando che, così interpretata, tale normativa risultava caratterizzata da un macroscopico aspetto di illogicità, senza precedenti: secondo detta giurisprudenza, da una parte il giudice contabile era deputato a quantificare il credito per spese legali del soggetto prosciolto in giudizio, dall’altra l’Avvocatura dello Stato, nel suo parere obbligatorio e vincolante per l’amm.ne che doveva provvedere al rimborso, era liberissima di non tenere nel minimo conto la statuizione giurisdizionale.

E’ appena il caso di sottolineare la manifesta incongruenza di un sindacato dell’Avvocatura di Stato sul contenuto del decisum, in violazione di un principio fondamentale secondo cui quanto deciso in sentenza può essere riformato solo da un organo giurisdizionale superiore e non certo da un organo forense.

2) La legislazione vigente in materia.

L’art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con r.d. n. 1038/1933 dispone che nei procedimenti contenziosi si osservano le norme e i termini della procedura civile, in quanto applicabili e non modificati dalle disposizioni del regolamento, il quale non contiene alcuna statuizione riguardante le spese.

Ai sensi dell’art. 91 c.p.c. il giudice, quando emette la sentenza nel processo civile, condanna la parte soccombente a rimborsare le spese di giudizio e gli onorari per la difesa della controparte, in base al principio della soccombenza. Al momento della liquidazione, il giudice può escludere le spese ritenute eccessive o superflue ai sensi dell’art. 92 del c.p.c., che conferisce al giudice un ampio potere dispositivo per le spese processuali, tanto che può compensarle tra le parti.

Per quanto riguarda i giudizi contabili, il regolamento delle spese trova disciplina nell’art. 3, comma 2-bis del d.l. n. 543/1996 per il quale “in caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza”.

Inoltre, l’art. 10-bis, comma 10, del d.l. n. 203/2005, conv. in legge n. 248/2005, stabilisce che “le disposizioni dell’art. 3, comma 2-bis, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell’art. 18, comma 1, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza”. Tale disposizione è stata integrata dall’art. 17, comma 30-quinquies del d.l. n. 78 del 2009, convertito in legge n. 102/2009, il quale ha disposto che “all’art. 10-bis, comma 10, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo le parole: procedura civile, sono inserite le seguenti: non può disporre la compensazione delle spese del giudizio”.

3) La sentenza del T.A.R. Lazio 9 dicembre 2015 n. 13753.

Nella sentenza si afferma che il quadro normativo deve essere interpretato tenendo conto della circostanza che, alla luce anche della giurisprudenza della Cassazione (S.U. n. 5918/2011), la controversia concernente il rimborso delle spese defensionali attiene al rapporto tra dipendente e amministrazione datrice di lavoro e pertanto esula dalla giurisdizione contabile ed appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro. La sentenza di proscioglimento nel merito costituisce il presupposto di un credito che è attribuito dalla legge e che il giudice contabile, per i giudizi di sua competenza, è deputato a quantificare, salva comunque la definitiva determinazione del suo ammontare da compiere, su parere dell’Avvocatura dello Stato, con provvedimento dell’amministrazione di appartenenza. (Cass. S.U. n. 6996/2010). L’autonomia del rapporto tra amministrazione e proprio dipendente, avente ad oggetto il diritto al rimborso delle spese legali rispetto al giudizio contabile da un lato, unitamente al correlato dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali a favore del proprio difensore in base alle tariffe forensi, a prescindere da quale sia l’importo liquidato in sentenza, comporta – come ineludibile conseguenza – che il rimborso dovuto dalla amministrazione al proprio dipendente possa prescindere dalla liquidazione effettuata in sentenza dal giudice contabile o dalla eventuale compensazione delle spese in quella sede disposta, e che esso vada invece determinato sulla base del parere di congruità espresso dall’Avvocatura dello Stato. A queste conclusioni si deve giungere anche in ragione di un’ulteriore argomentazione. Come si è visto, il legislatore ha introdotto il divieto per il giudice contabile di disporre la compensazione delle spese in caso di proscioglimento dell’incolpato. Qualora un tale divieto venisse violato, tuttavia, non potrebbe certo negarsi il diritto del ricorrente ad ottenere un congruo rimborso spese, sulla base del parere di congruità espresso dall’Avvocatura. Se questo è vero, nemmeno può dunque negarsi il diritto del pubblico dipendente ad ottenere un congruo rimborso spese nel caso in cui il giudice contabile, anziché disporre la compensazione, abbia liquidato le spese legali, ma in misura simbolica o comunque inferiore a quanto effettivamente dovuto dall’assistito al proprio difensore. In caso contrario, infatti, il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato, in questo secondo caso, verrebbe ad essere completamente pretermesso. Spetta all’Avvocatura dello Stato effettuare la propria valutazione di congruità circa l’entità del diritto al rimborso delle spese legali, anche in presenza di una liquidazione effettuata dal giudice contabile sulle spese. In questi termini, peraltro, si è espressa la stessa Avvocatura generale dello Stato nella circolare n. 6 del 2012.

4) La giurisprudenza della Cassazione.

Sentenza n. 17014/2003: La legge n. 639/1996 ha stabilito che l’incolpato, poi assolto, ha diritto di chiedere all’amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute nel giudizio di responsabilità. Al quesito se la sentenza, che ha provveduto sulle spese del giudizio contabile, mediante dichiarazione di compensazione, ecceda i limiti della giurisdizione della Corte dei conti deve darsi risposta negativa, in base al principio che la statuizione sulle spese del giudizio è oggetto della sentenza ed i possibili errori su questo sono di diritto e non espressione di esorbitanza dai limiti esterni della giurisdizione della Corte di conti.

Sentenza n. 6996/2010: La materia è attualmente disciplinata dal d.l. n. 67/1997, art. 18, conv. con l. n. 135/1997, dal d.l. n. 203/2005, art. 10-bis conv. con l. n. 248/2005, dal d.l. n. 78/2009, art. 17, conv. con l. n. 102/2009. La sentenza di proscioglimento nel merito costituisce il presupposto di un credito che è attribuito dalla legge e che il giudice contabile, per i giudizi di sua competenza, è deputato a quantificare, salva comunque la definitiva determinazione del suo ammontare da compiere, su parere dell’Avvocatura dello Stato, con provvedimento dell’amministrazione di appartenenza. La controversia cui tale provvedimento eventualmente dà luogo esula dalla giurisdizione della Corte dei conti e appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro intercorrente tra l’amministrazione e il suo dipendente: il giudice ordinario, nella generalità dei casi; il giudice amministrativo, in ipotesi di impiego non “privatizzato”.

Sentenza n. 5918/2011: La Corte di merito ha ritenuto che “l’avvenuta compensazione delle spese di giudizio e legali per entrambi i gradi di giudizio”, statuita dal giudice contabile, risolvendosi in una “sostanziale negazione del diritto al rimborso dall’amministrazione di appartenenza” costituisse esercizio della giurisdizione in tema di regolamento delle spese, non sindacabile dal giudice di merito. Così statuendo, però, non ha tenuto conto che il giudicato esterno, che si era formato, era relativo soltanto al regolamento delle spese del giudizio contabile conclusosi con il proscioglimento del convenuto, ma non riguardava il rapporto sostanziale fra dipendente ed amministrazione di appartenenza che esula dalla giurisdizione contabile e appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro.

Sentenza n. 15238/2011: La controversia, concernente il rimborso delle spese defensionali sostenute da soggetti sottoposti a giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti e risultati prosciolti nel merito, appartiene alla giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro intercorrente tra la p.a. ed il suo dipendente.

5) La giurisprudenza contabile.

Le recenti sentenze delle Sezioni territoriali e centrali d’appello della Corte dei conti continuano, senza alcuna remora, a liquidare le spese legali, a favore dei convenuti prosciolti nel merito delle contestazioni formulate dai P.M., senza tener conto della loro, presumibile, assoluta irrilevanza sulla base di una diversa valutazione dell’Avvocatura dello Stato. Così la I Sezione centrale d’appello, ad es. nella sentenza n. 519/2015, con una clausola da considerare ormai “di stile”, ha statuito che “è necessario provvedere alla liquidazione delle spese legali a favore dei medesimi appellanti, ai sensi dell’art. 3, comma 2-bis della legge n. 639/1996: norma che appunto prevede il ristoro delle spese legali da parte dell’amministrazione di appartenenza, nel caso di definitivo proscioglimento nel merito e la cui portata è stata precisata prima dall’art. 10-bis, comma 10 del d.l. n. 203/2005, conv. con legge n. 248/2005 e, da ultimo, dall’art. 17, comma 30-quinquies del d.l. n. 78/2009, conv. con legge 3.8.2009, n. 102”.

Tale statuizione formalmente è ineccepibile, ma nella sostanza è assolutamente priva di significato. Questa avrebbe un senso solo nella ipotesi, denegata dal giudice del lavoro, che fosse accolta la condivisibile interpretazione formulata nella citata sentenza n. 310/2013 della Sezione giurisdizionale della Toscana (“compete al solo giudice contabile disporre in tema di liquidazione delle spese in favore del dipendente assolto nel merito innanzi alla Corte dei conti”) e già sostenuta nella sentenza n. 428/2008 della Sez. I App. secondo cui “il parere dell’Avvocatura erariale si concreta in una mera verifica di rispondenza della richiesta di rimborso alla liquidazione del giudice, nonché di congruità di eventuali spese legali aggiuntive” e nella sentenza n. 559/2011 della Sez. III App. la quale ha confermato che “il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato resta confinato nella fase amministrativa conseguente al giudizio contabile e si concreta in una mera verifica di rispondenza della richiesta di rimborso alla liquidazione del giudice, nonché di congruità delle eventuali spese legali aggiuntive”.

6) Analisi della sentenza del T.A.R. Lazio 9 dicembre 2015 n. 13753.

A) La sentenza muove dalla considerazione che la controversia concernente il rimborso delle spese defensionali attiene al rapporto tra dipendente e amministrazione datrice di lavoro e pertanto esula dalla giurisdizione contabile.

L’osservazione prende atto di un dato pacifico sulla ripartizione della giurisdizione fra giudice contabile ed amministrativo ma è del tutto ininfluente ai fini della concreta determinazione del diritto al rimborso e dei parametri di riferimento.

B) La sentenza in esame rileva che la sentenza della Corte dei conti di proscioglimento nel merito costituisce il presupposto di un credito che è attribuito dalla legge.

Al riguardo può ripetersi quanto detto nel punto precedente sulla completa ininfluenza di tale osservazione sulla concreta determinazione del diritto al rimborso. La normativa in esame, riguardante il diritto al rimborso nel giudizio contabile, non è altro che l’applicazione del principio generale della soccombenza, ex art. 91 c.p.c.

C) La sentenza precisa che il legislatore ha introdotto il divieto per il giudice contabile di disporre la compensazione delle spese in caso di proscioglimento dell’incolpato. Qualora un tale divieto venisse violato, tuttavia, non potrebbe certo negarsi il diritto del ricorrente ad ottenere un congruo rimborso spese, sulla base del parere di congruità espresso dall’Avvocatura.

Non si riesce a comprendere il nesso logico fra la premessa (la violazione di un divieto) e la conclusione (prevalenza del parere di un organo forense rispetto ad una statuizione giurisdizionale). Come giustamente osservato dalla Cassazione nella citata sentenza n. 17014/2003, riguardante il rimborso delle spese legali sostenute nel giudizio di responsabilità, la statuizione sulle spese è oggetto della sentenza ed i possibili errori su questo sono di diritto. Quindi l’errore derivante dalla compensazione delle spese in violazione del divieto legislativo non si differenzia in nulla da tutti gli altri ipotizzabili errori di diritto ed è sindacabile attraverso i consueti mezzi di impugnazione.

D) La sentenza sostiene che l’autonomia del rapporto tra amministrazione e proprio dipendente, avente ad oggetto il diritto al rimborso delle spese legali rispetto al giudizio contabile da un lato, unitamente al correlato dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali a favore del proprio difensore in base alle tariffe forensi, a prescindere da quale sia l’importo liquidato in sentenza, comporta – come ineludibile conseguenza – che il rimborso dovuto dalla amministrazione al proprio dipendente possa prescindere dalla liquidazione effettuata in sentenza dal giudice contabile e che esso vada invece determinato sulla base del parere di congruità espresso dall’Avvocatura dello Stato.

Riguardo alla pacifica autonomia dei giudizi contabili ed amministrativi può soltanto ribadirsi come tale considerazione sia del tutto ininfluente ai fini della concreta determinazione del diritto al rimborso.

Per il resto, è appena il caso di osservare, come già ricordato, che l’art. 92 del c.p.c., conferisce al giudice un ampio potere dispositivo consentendogli, all’atto della liquidazione, di escludere le spese legali ritenute eccessive o superflue.

Comunque, anche sul punto non si riesce a cogliere il nesso consequenziale: la premessa è che il convenuto sia tenuto a pagare il difensore in base alle tariffe forensi; la conclusione consiste nella conseguente presunta inefficacia del quantum determinato dal giudice contabile. Logica allora vorrebbe che lo stesso principio fosse applicabile anche nei confronti dell’Avvocatura che non potrebbe in alcun modo esprimere un parere difforme rispetto a quanto indicato nelle parcelle degli avvocati.

E) In conclusione, secondo la sentenza, non può negarsi il diritto del pubblico dipendente ad ottenere un congruo rimborso spese nel caso in cui il giudice contabile abbia liquidato le spese legali in misura inferiore a quanto dovuto dall’assistito al proprio difensore: in caso contrario, infatti, il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato, in questo secondo caso, verrebbe ad essere completamente pretermesso.

Tale ultima osservazione, lungi dal sostenere la motivazione, ne esalta la fragilità se non l’inconsistenza. Partiamo dal dato normativo: “il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto”.

Quindi sussiste un preciso potere-dovere del giudice contabile di liquidare le spese legali del prosciolto in giudizio, in conformità all’art. 91 c.p.c. eventualmente escludendo le spese legali ritenute eccessive o superflue, ai sensi dell’art. 92 dello stesso c.p.c.

Ora il T.A.R. avrebbe dovuto spiegare in qual modo una tesi, ritenuta insostenibile se consenta di “pretermettere” il parere di un organo forense divenga al tempo stesso sostenibile se consenta di “pretermettere” la statuizione sulle spese del giudizio oggetto della sentenza (Cass. n. 17014/2003) cui è tenuto obbligatoriamente il giudice contabile.

F) Nella sentenza viene infine ricordato che in questi termini, peraltro, si è espressa la stessa Avvocatura generale dello Stato nella circolare n. 6 del 2012.

A prescindere che tale circolare sostiene l’esatto contrario di quanto affermato nella precedente circolare n. 55/2008 emessa in materia della stessa Avvocatura dello Stato, si osserva che l’Avvocatura erariale non poteva certo trascurare la valorizzazione di un potere inusuale, senza precedenti, non solo in Italia ma in qualsiasi nazione civile del globo, nell’ambito di uno Stato di diritto, e cioè quello di porre nel nulla una statuizione giurisdizionale attraverso il difforme parere di una avvocatura.

7) Osservazione conclusiva.

La macroscopica irrazionalità della normativa in esame, totalmente carente sul piano della logica persino alla luce del comune buon senso dell’uomo della strada, imporrebbe un immediato – quanto improbabile – intervento legislativo per porre fine ad una situazione insostenibile di violazione dei più elementari principi sull’efficacia del giudicato. In mancanza, non si può che esprimere l’auspicio che in sede giurisdizionale contabile venga finalmente sollevata dinanzi alla Consulta – la quale prescrive che il legislatore ordinario, anche nei casi di spiccata discrezionalità, non può prescindere dai confini della ragionevolezza – questione di legittimità costituzionale della normativa in parola, evitandosi statuizioni sulle spese, obbligatorie, ma sostanzialmente inutili, in quanto destinate a rimanere lettera morta.

Da ultimo si sottolinea l’ingente onere derivante dalla liquidazione di parcelle legali a favore dei convenuti prosciolti in misura di gran lunga superiore a quella stabilita nelle sentenze contabili: anche sotto tale profilo si ribadisce la necessità, evidenziata nell’articolo dello scrivente in data 2 dicembre 2015 (“Nuove riflessioni sul grado di diligenza richiesto ai pubblici funzionari e sulla qualificazione della colpa nei giudizi di responsabilità amministrativa”), dell’innalzamento del parametro di valutazione della diligenza da esigere nei confronti dei pubblici dipendenti ed amministratori della p.a. in sede di giudizi di responsabilità amministrativa, in conformità alla giurisprudenza della Cassazione e della Corte di giustizia europea, evitandosi proscioglimenti disposti qualora non si raggiungano parametri estremi come “comportamento avventato”, mancanza di “un minimo di diligenza”, “inammissibile trascuratezza e negligenza dei propri doveri”, “prevedibilità delle conseguenze dannose del comportamento”.

 

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