09/09/2019 – Urbanistica. Violazione di sigilli ed esecuzione di opere distinte

Urbanistica. Violazione di sigilli ed esecuzione di opere distinte

Pubblicato: 06 Settembre 2019
Cass. Sez. III n. 30535 del 11 luglio 2019 (UP 30 mag  2019)

Il reato di violazione di sigilli è configurabile allorché si eseguono nella stessa area occupata dalla costruzione abusiva opere distinte, ma ad essa inequivocabilmente collegate, mirando l’apposizione dei sigilli ad impedire la prosecuzione dei lavori e l’ultimazione dell’opera, così che assume rilievo penale anche la condotta che, pur non determinando la distruzione effettiva dei sigilli, eluda il vincolo di immodificabilità imposto

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Lecce e appellata dall’imputato, la Corte di appello di Lecce dichiarava non doversi procedere nei confronti di Vito Milano per i reati urbanistici e paesaggistici a lui contestati ai capi A), B) e C) perché estinti per prescrizione e, per l’effetto, rideterminava in mesi nove di reclusione e 1.000 euro di multa la pena per il residuo delitto di cui all’art. 349 cod. pen. ascritto al capo D).

2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 349 cod. pen. Assume il ricorrente che la motivazione sarebbe illogica, laddove ha ravvisato la sussistenza del reato, senza considerare, per un verso, che all’imputato era stata concessa la facoltà d’uso delle parti sottoposte a sequestro, e, per altro verso, che l’applicazione delle scale era consona all’utilizzo che della pedana poteva essere fatto, trattandosi non di “manufatti” ai sensi della normativa edilizia, ma di mere pertinenze, necessarie per l’uso del manufatto principale.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 131-bis cod. pen. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti applicativi della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., atteso che non è dato ravvisare il requisito ostativo dell’abitualità, e considerando che la giurisprudenza di legittimità, puntualmente indicata nel ricorso, ammette la compatibilità della causa di non punibilità in esame con l’istituto della continuazione. Aggiunge, inoltre, il ricorrente che si è provveduto alla demolizione di tutte le opere abusive, con conseguente rimessione in pristino dell’area, circostanza che avrebbe dovuto essere valutata ai fini della sussistenza dell’invocata causa di non punibilità.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione al trattamento sanzionatorio. Secondo il ricorrente, la pena avrebbe dovuto essere contenuta nei minimi edittali, stante l’operatività della facoltà d’uso, il carattere accessorio della scaletta montata sulla pedana e la demolizione delle opere abusive; in ogni caso, detti elementi avrebbe dovuto comportare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile. 

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Invero, come accertato dai giudici di merito – e non oggetto di contestazione da parte del ricorrente – l’imputato, dopo l’apposizione dei sigilli, ha eseguito sulla parte dell’immobile sottoposta a vincolo reale due scale, applicate sulla pedana in legno adagiata su una struttura metallica, a sua volta ancorata agli scogli. I giudici di merito, pertanto, hanno fatto corretta applicazione del principio secondo cui il reato di violazione di sigilli è configurabile allorché si eseguono nella stessa area occupata dalla costruzione abusiva opere distinte, ma ad essa inequivocabilmente collegate, mirando l’apposizione dei sigilli ad impedire la prosecuzione dei lavori e l’ultimazione dell’opera, così che assume rilievo penale anche la condotta che, pur non determinando la distruzione effettiva dei sigilli, eluda il vincolo di immodificabilità imposto (Sez. F, n. 39050 del 26/08/2008 – dep. 16/10/2008, Cocilova e altri, Rv. 241379; Sez. 3, n. 16000 del 12/02/2003 – dep. 07/04/2003, Carpanese S, Rv. 224472). E’ ben vero che all’imputato, nella veste di custode del bene sequestrato, era stata riconosciuta la facoltà d’uso della pedana, ma, al contempo, gli era stato inibito di eseguire interventi su di essa, come, invece, si è verificato nel caso in esame, avendo il Milo, come emerge dalla sentenza di primo grado (p. 9), tagliato la pedana su cui era stato apposto un cancello e installato due scale per accedere direttamente al mare.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

3.1. La speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. – applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta – è configurabile in presenza di una duplice condizione, essendo congiuntamente richieste la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., cui segue, in caso di vaglio positivo – e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell’offesa -, la verifica della non abitualità del comportamento, che il legislatore esclude nel caso in cui l’autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

3.2. Orbene, anche a voler seguire l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen., non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, quando le violazioni non siano in numero tale da costituire ex se dimostrazione di serialità, ovvero di progressione criminosa indicativa di particolare intensità del dolo o versatilità offensiva (Sez. 2, n. 9495 del 07/02/2018 – dep. 02/03/2018, P.G. in proc. Grasso, Rv. 272523), la Corte territoriale ha ravvisato il requisito dell’abitualità – di per sé ostativo al riconoscimento della causa di non punibilità in parola – facendo leva, per un verso, sui precedenti penali della stessa indole (avendo il Milo riportato una condanna per abusiva occupazione di spazio demaniale e una per violazione dell’art. 44, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001: reati che, all’evidenza, presentano caratteri fondamentali comuni con quello in esame), in relazione ai quali il ricorrente omette di prendere posizione; per altro verso, sulla realizzazione di ben quattro illeciti penali per i quali è intervenuta condanna in primo grado, unificati dal vincolo dalla continuazione, ritenuti espressivi di una progressione criminosa e di una particolare intensità di dolo, essendo la violazione dei sigilli (commessa evidentemente in epoca successiva – e non contestuale – alla realizzazione delle opere abusive) lo strumento per ottenere il godimento e la fruizione delle opere realizzate in violazione della normativa edilizia, urbanistica e ambientale.

4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Invero, premesso che la difesa aveva richiesto, con l’atto di impugnazione,  l’applicazione delle attenuanti generiche, riconosciute dalla Corte territoriale, sia pure con giudizio di equivalenza, la motivazione sul complessivo trattamento sanzionatorio traspare chiaramente dalla trama argomentativa relativa al diniego della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., dove si evidenzia sia la commissione di plurimi reati (ciò che rileva ex art. 133 cod. pen., sebbene alcuni di essi siano stati dichiarati prescritti), sia i plurimi precedenti penali dell’imputato, sia la particolare intensità del dolo: elementi che ben giustificano tanto il giudizio di equivalenza ex art. 69 cod. pen., quanto la commisurazione della pena in misura superiore al minimo edittale.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 30/05/2019.

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