10/09/2019 – Programmazione di bar e ristoranti sul territorio: le conseguenze in caso di inerzia del Comune

Programmazione di bar e ristoranti sul territorio: le conseguenze in caso di inerzia del Comune

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Alcuni operatori titolari di attività ricettive in un centro storico, hanno diffidato l’amministrazione comunale all’adozione dei criteri di programmazione per il rilascio delle licenze di somministrazione di alimenti e bevande e alla revoca delle licenze già rilasciate in assenza di detti criteri.
A seguito del rifiuto da parte del Comune di determinarsi nella direzione richiesta, e alla perdurante inerzia, gli operatori hanno presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale avverso il silenzio inadempimento. Il T.A.R. ha accolto il ricorso dichiarando l’obbligo del Comune di adottare entro sessanta giorni il provvedimento espresso di programmazione a definizione del procedimento avviato con l’istanza dei ricorrenti, e a riesaminare le autorizzazioni degli esercizi di somministrazione già concesse.
L’Appello al Consiglio di Stato
Rimasto soccombente in primo grado, il Comune ha presentato appello al Consiglio di Stato, che con la Sentenza n. 5310 del 29 luglio 2019 lo ha accolto. L’ente ha evidenziato tra l’altro che il ricorso dei privati doveva ritenersi inammissibile in quanto fondato sull’idea di imporre l’adozione di atti a contenuto generale. In particolare, ha dedotto l’inammissibilità del ricorso di primo grado in quanto avente ad oggetto l’azione avverso il silenzio proposta in relazione ad un atto di natura pianificatoria a carattere regolamentare o comunque generale.
La posizione della Giurisprudenza
A sostegno delle proprie conclusioni, il Collegio d’appello ha richiamato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il ricorso avverso il silenzio rifiuto è volto a sollecitare l’esercizio di un pubblico potere e risulta esperibile solo qualora si sia in presenza di un obbligo di provvedere e della violazione di quest’ultimo, che trova dimostrazione nel perdurare dell’inerzia. Dunque agli atti di pianificazione, con particolare riferimento a quelli territoriali, proprio perché atti amministrativi generali, si applica il principio enunciato con riferimento agli atti regolamentari, in relazione ai quali è esclusa l’ammissibilità dello speciale rimedio processuale avverso il silenzio-inadempimento della P.A., in quanto strettamente circoscritto alla sola attività amministrativa di natura provvedimentale, ossia finalizzata all’adozione di atti destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari. Tutto questo non si verifica nel caso degli atti generali, i quali sono indirizzati ad una pluralità indifferenziata di destinatari e non sono destinati a produrre effetti nella sfera giuridica di singoli soggetti specificamente individuati.
Disciplina della programmazione dei pubblici esercizi: normativa statale e regionale
La normativa statale che disciplina la materia della programmazione dei pubblici esercizi in seno alla seconda stagione delle liberalizzazioni, sancita dal recepimento della direttiva Bolkestein ad opera del D.Lgs. n. 59/2010 e proseguita poi con i numerosi provvedimenti adottati dal Governo Monti nel periodo 2011-2012, è contenuta anche nell’art. 64, comma 3, dello stesso D.Lgs. n. 59/2010, e prevede che al fine di assicurare un corretto sviluppo del settore, i comuni, limitatamente alle zone del territorio da sottoporre a tutela, adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico (…), ferma restando l’esigenza di garantire sia l’interesse della collettività inteso come fruizione di un servizio adeguato sia quello dell’imprenditore al libero esercizio dell’attività. Tale programmazione può prevedere, sulla base di parametri oggettivi e indici di qualità del servizio, divieti o limitazioni all’apertura di nuove strutture limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità. In ogni caso, resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale e sono vietati criteri legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova dell’esistenza di un bisogno economico o sulla prova di una domanda di mercato, quali entità delle vendite di alimenti e bevande e presenza di altri esercizi di somministrazione.
Se ci spostiamo sul fronte della normativa regionale applicabile al caso trattato dal Consiglio di Stato con la Sentenza n. 5310/2019, è previsto che i Comuni, al fine di migliorare la funzionalità e la produttività del sistema dei servizi concernenti le attività commerciali, valutate le caratteristiche e le tendenze della distribuzione commerciale e nel rispetto di quanto disposto dal Piano regionale di programmazione della rete distributiva del commercio, adottano un atto di programmazione che disciplina le modalità di applicazione dei criteri qualitativi individuati dalla programmazione regionale in riferimento all’insediamento di tutte le attività commerciali, ivi compresa la somministrazione di alimenti e bevande, tenendo conto delle diverse caratteristiche del proprio territorio.
Le conseguenze della mancanza di un termine temporale per l’attuazione delle norme sulla programmazione
Fatte queste premesse sul contesto normativo nazionale e regionale di riferimento per il caso da decidere, il Collegio romano ha concluso che dalle disposizioni richiamate non si evince uno specifico termine o parametro temporale per definire l’attività programmatoria sulla distribuzione degli esercizi adibiti alla somministrazione di alimenti e bevande, e questo nonostante tale attività debba intendersi come doverosa.
L’atto di programmazione che i comuni sono chiamati ad emanare in base alle fonti citate più sopra – continua il Consiglio di Stato – si configura pertanto come un atto di natura generale a contenuto programmatorio non soggetto a specifico termine d’adozione. In ragione di ciò, malgrado possa anche stigmatizzarsi l’atteggiamento inerte dell’amministrazione comunale, non è possibile con azione avverso il silenzio rimediare a tale omissione riguardante un atto di programmazione non sottoposto a termine d’emanazione. Continua la Sentenza n. 5310/2019 rimarcando che quando ci troviamo di fronte ad atti di tale natura, infatti, né sussiste un posizione giuridica qualificata e differenziata invocabile dal singolo, né l’azione amministrativa risulta coercibile dal giudice amministrativo con azione avverso il silenzio.
Analizzando lo schema di quest’ultima tipologia di azione, perché la stessa risulti esperibile davanti al Giudice amministrativo, occorre la sussistenza di un termine di provvedere, che ne costituisce un presupposto indefettibile. Tutto ciò vale anche per l’adozione delle altre tutele coercitive nei confronti dell’amministrazione inerte, anche in relazione ad atti di natura generale prescritti da norme di legge o di regolamento (ad esempio si richiama il rimedio di cui alla azione di classe, o class action pubblica, oggi disciplinato dagli artt. 840-bis e ss. c.p.c.).
Il Collegio ha poi rigettato il motivo d’appello incidentale che i ricorrenti hanno sollevato ritenendo illegittime le autorizzazioni rilasciate in contrasto con le norme tecniche del PRG, che vietavano l’autorizzazione di nuove attività commerciali nel centro storico. Le censure avverso i titoli abilitativi per la loro contrarietà agli strumenti di pianificazione del territorio non possono essere proposte in via generale e in incertam personam, dovendo eventualmente impugnarsi il singolo titolo contestato, convenendo in giudizio quale controinteressato il relativo titolare. Gli appellanti hanno invece formulato una censura generica, senza richiamare alcun titolo abilitativo, si limita a contestare l’indistinta illegittimità delle autorizzazioni rilasciate nel centro storico, in assenza peraltro di notifica del ricorso ad alcun titolare delle suddette autorizzazioni.

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