07/09/2020 – Approvazione delle varianti urbanistiche e “ingiustizia” del danno da ritardo

Approvazione delle varianti urbanistiche e “ingiustizia” del danno da ritardo
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
 
Una società commerciale ha adito il competente Tar per ottenere la condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento del danno da ritardo nel rilascio del permesso a costruire inerente un progetto di ampliamento volumetrico e di superficie di un fabbricato a destinazione commerciale.
A seguito della presentazione dell’istanza, è stata convocata una Conferenza di servizi sotto il regime normativo del vecchio Regolamento SUAP (D.P.R. n. 447/1998). In seguito, l’Amministrazione procedente ha dichiarato l’improcedibilità dell’istanza, in quanto nel corso dell’istruttoria entrava in vigore il nuovo Regolamento SUAP (D.P.R. n. 160/2010), che all’art. 8 escludeva la possibilità di avvalersi del SUAP per le procedure relative all’autorizzazione delle “strutture di vendita di cui agli artt. 8 e 9 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 114”, ossia le medie e le grandi strutture commerciali.
Il giudizio davanti al T.A.R.: danno da ritardo
Dopo aver constatato che il procedimento poteva ritenersi positivamente concluso, in quanto acquisiti tutti gli atti di assenso, il Giudice di primo grado, ha considerato in base ad un giudizio prognostico di tipo probabilistico, che il bene della vita auspicato sarebbe stato conseguito se il procedimento fosse stato condotto con modalità ordinarie e si fosse concluso in un termine ragionevole.
Inoltre, premesso che le sole conseguenze risarcibili siano quelle “direttamente” ricollegabili al mancato tempestivo rilascio del permesso di costruire, e cioè la mancata disponibilità, ai fini edificatori, della maggior volumetria e superficie ammissibile, ha ritenuto che tale danno (mancato incremento del valore dell’immobile) possa riconoscersi unicamente in capo ai proprietari, e non anche nei confronti della società conduttrice a fini commerciali, solo comodataria. Ha poi escluso dal risarcimento la posta relativa al mancato incremento del volume di affari in capo alla società gestore, perché conseguenza solo indiretta, e la posta di cui alle “spese di fermo cantiere”, essendo l’anticipata predisposizione del cantiere una scelta (libera) dei richiedenti. Il risarcimento è stato dunque limitato alle “spese tecniche e legali”, alle sole spese connesse alla predisposizione della pratica amministrativa del progetto e, infine, ha negato il risarcimento del danno non patrimoniale per difetto di prova dell’effettiva dipendenza di dette insorgenze dall’attività amministrativa.
L’appello al Consiglio di Stato: discrezionalità e ingiustizia del danno
A fronte della condanna, seppure mitigata dal Tribunale rispetto alla richiesta della ricorrente, il Comune ha proposto appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 4669 del 22 luglio 2020 lo ha accolto.
Questo perché, oltre a numerose altre circostanze, il ritardo è stato causato anche dal comportamento della ricorrente, che per dieci mesi ha omesso la consegna della documentazione mancante, necessaria alla convocazione della Conferenza di servizi.
Perciò, sulla base di un giudizio prognostico, il Consiglio di Stato ha affermato che vi è assoluta incertezza in ordine alla spettanza del bene della vita, necessaria per accordare il risarcimento del danno da ritardo, in quanto:
è condivisibile la giurisprudenza espressa dalla Sezione in materia di risarcimento del danno da ritardo, secondo cui l’espresso riferimento al “danno ingiusto” – contenuto nell’art. 2-bis L. n. 241 del 1990, così come nel comma 2 dell’art. 30 c.p.a., secondo cui può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal “mancato esercizio di quella obbligatoria” – induce a ritenere che per poter riconoscere la tutela risarcitoria in tali fattispecie, come in quelle in cui la lesione nasce da un provvedimento espresso, non possa in alcun caso prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’amministrazione quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile. L’ingiustizia del danno e la sua risarcibilità per il ritardo dell’azione amministrativa, è configurabile solo ove il provvedimento favorevole sia stata adottato, sia pure in ritardo, dall’autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato, sulla base di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di adozione di un provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata, in esito al procedimento.
Con riferimento al caso di specie, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di variante semplificata ex art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998 (da ultimo, Consiglio di Stato sez. IV, 1° marzo 2017, n. 940Consiglio di Stato sez. IV, 18 febbraio 2016, n. 650), l’eventuale esito positivo della conferenza di servizi non è in alcun modo vincolante per il Consiglio comunale, il quale, siccome organo titolare della potestà pianificatoria, resta pienamente padrone della propria autonomia e discrezionalità, potendo discostarsi dalla proposta di variante e respingerla senza alcun dovere di motivazione puntuale o “rafforzata”, in quanto l’esito della conferenza non comporta il sorgere di alcun affidamento né di aspettative qualificate in capo al proponente, essendo la determinazione conclusiva della conferenza qualificabile come mera “proposta di variante”. Il Consiglio comunale, in seguito alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi, conserva le proprie attribuzioni e valuta autonomamente se aderire o meno ad essa, dovendo apportare, nell’esercizio della propria potestà pianificatoria urbanistica, una valutazione globale e definitiva in termini di governo del territorio, per converso non potendo essa essere limitata alla sola possibilità di confutare nel merito le valutazioni tecniche della conferenza.
L’attuale quadro normativo e giurisprudenziale sulla variante SUAP (art. 8D.P.R. n. 160/2010)
A regolare la materia è ora l’art. 8 del decreto SUAP, sul quale si è espressa più volte la Giurisprudenza amministrativa. Si tratta di un procedimento che ha carattere eccezionale e derogatorio e non può essere surrettiziamente trasformato in una modalità “ordinaria” di variazione dello strumento urbanistico generale; pertanto, “perché a tal procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche l’assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua (e, quindi, insufficiente) in ordine all’insediamento da realizzare” (Cons. Stato, sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 27).
Secondo l’attuale formulazione della disposizione “Qualora l’esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, ove sussista l’assenso della Regione espresso in quella sede, il verbale è trasmesso al Sindaco ovvero al Presidente del Consiglio comunale, ove esistente, che lo sottopone alla votazione del Consiglio nella prima seduta utile” (art. 8, comma 1, secondo periodo, D.P.R. n. 160 del 2010). Sempre secondo la Giurisprudenza del Supremo Collegio, “la proposta di variazione dello strumento urbanistico assunta dalla Conferenza di servizi, da considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica, non è vincolante per il Consiglio comunale, che conserva le
Con la sentenza n. 6439/2019, il Collegio d’appello ha ricordato che la normativa in esame riguarda una procedura accelerata e semplificata, a iniziativa privata, di eventuale revisione dello strumento urbanistico, la quale inverte i rapporti e i ruoli circa la valutazione degli interessi all’ordinato e generale assetto del territorio. La disciplina del procedimento di cui trattasi è, quindi, “di stretta interpretazione e, comunque, al di là della prima iniziativa, nulla sottrae all’ordinaria discrezionalità dell’Amministrazione in materia urbanistica” (Cons. Stato, sez. IV, sentenza 27 luglio 2011, n. 4498). Da ciò emerge che le motivazioni della delibera del Consiglio comunale attengono quindi a valutazioni di merito dell’amministrazione relativamente alla corretta pianificazione del territorio – e pertanto, secondo la Consiglio di Stato sentenza n. 6439/2019 – le stesse possono essere censurate solo ove caratterizzate da evidenti irrazionalità, ma non già per il fatto stesso di costituire espressione delle prerogative di indirizzo politico – amministrativo proprie dell’organo consiliare. Le determinazioni assunte dal Consiglio comunale nella sede in esame, proprio perché espressione di un ampio potere di indirizzo pianificatorio, possono anche motivatamente discostarsi dai pareri resi dagli uffici tecnici comunali.

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