07/05/2020 – Rinegoziazione contratti a seguito della stipula di nuovo CCNL.

Oggetto
Rinegoziazione contratti a seguito della stipula di nuovo CCNL.
Massima
Secondo il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, ai fini della quantificazione della somma dovuta dalla pubblica amministrazione a titolo di revisione prezzi deve essere applicato l’indice ISTAT dei prezzi al consumo di famiglie di operai e impiegati (FOI). L’utilizzo del predetto parametro non esonera la stazione appaltante dall’obbligo di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, ma segna il limite massimo oltre il quale l’amministrazione non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale, «salvo circostanze eccezionali, che devono essere provate dall’impresa». Pertanto, qualora l’appaltatore dimostri l’esistenza di circostanze eccezionali, quali eventi straordinari e imprevedibili, che esulano dalla normale dinamica di un rapporto contrattuale di durata, la quantificazione del compenso revisionale potrà essere effettuata ricorrendo a differenti parametri statistici. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che tra tali circostanze eccezionali non rientri l’aumento del costo del lavoro né, in particolare, la stipulazione di un nuovo CCNL.
Funzionario istruttore
ROSA MARIA FANTINI

rosamaria.fantini@regione.fvg.it

Parere espresso da
Servizio elettorale, Consiglio delle autonomie locali e supporto giuridico agli enti locali
Testo completo del parere
Il Comune riferisce di avere in essere alcuni contratti con cooperative sociali, i quali prevedono la revisione dei prezzi ai sensi dell’art. 106 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, tenendo conto delle variazioni rilevate dall’ISTAT.

Poiché le cooperative sociali richiedono altresì l’aggiornamento del prezzo in base alle variazioni intervenute sul costo del lavoro, a seguito di stipula del nuovo CCNL di categoria, il Comune chiede di conoscere se – anche alla luce del parere legale allegato – tale ulteriore richiesta debba essere accolta e, in caso affermativo, come debbano essere considerati gli adeguamenti già applicati in base ai parametri stabiliti dalla legge di gara.

Sentito il Servizio centrale unica di committenza della Direzione centrale patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi, si formulano le seguenti considerazioni.

Occorre, anzitutto, rilevare che, qualora i contratti ai quali il Comune fa riferimento attengano a servizi socio-sanitari ed educativi, viene senz’altro in rilievo l’aspetto dell’elevata incidenza del costo del lavoro, trattandosi di attività ad alta intensità di manodopera.

In un siffatto contesto, quindi, la stipulazione di un nuovo CCNL costituisce evento che si ripercuote inevitabilmente sul margine di utile spettante all’appaltatore.

Tuttavia, pur se nel merito parrebbe auspicabile rinvenire uno strumento giuridico capace di ristabilire il sinallagma contrattuale, si deve indagare sulla fattibilità di una tale operazione in termini di legittimità.

A differenza della previgente disciplina (recata dall’art. 115, comma 1[1], del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), che imponeva alle stazioni appaltanti di prevedere una clausola di revisione periodica del prezzo in tutti i contratti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa, dalla formulazione dell’attuale art. 106, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 50/2016 si evince che una tale previsione è meramente facoltativa.

La norma predetta stabilisce, infatti, che «Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:

a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. […]».

Pertanto, nell’odierno assetto normativo, la revisione dei prezzi contrattuali è ammessa esclusivamente se è stata prevista dalla lex specialis di gara e disciplinata con clausole chiare, precise e inequivocabili (“in maniera tale da essere conoscibili da parte di tutti i concorrenti nel rispetto dei princìpi di trasparenza e parità di trattamento”[2]), che individuino la portata, la natura e le condizioni per la loro applicazione, considerando le fluttuazioni dei prezzi e dei costi standard.

Definendo i poteri spettanti all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), l’art. 213 del D.Lgs. 50/2016 stabilisce che essa, «al fine di favorire l’economicità dei contratti pubblici e la trasparenza delle condizioni di acquisto, provvede con apposite linee guida, fatte salve le normative di settore, all’elaborazione dei costi standard dei lavori e dei prezzi di riferimento di beni e servizi, avvalendosi a tal fine, sulla base di apposite convenzioni, del supporto dell’ISTAT e degli altri enti del Sistema statistico nazionale, alle condizioni di maggiore efficienza, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione, avvalendosi eventualmente anche delle informazioni contenute nelle banche dati esistenti presso altre Amministrazioni pubbliche e altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici.»[3].

Poiché i suddetti prezzi di riferimento di beni e servizi non sono mai stati definiti[4], il Consiglio di Stato, con orientamento costante e consolidato, afferma che ai fini della quantificazione della somma dovuta dalla pubblica amministrazione a titolo di revisione prezzi deve essere applicato, in via suppletiva, l’indice ISTAT dei prezzi al consumo di famiglie di operai e impiegati (FOI)[5], affinché le operazioni siano conformi a criteri oggettivi anche quanto alla soglia massima, onde scongiurare squilibri finanziari nel bilancio, alla stregua della riconosciuta ratio dell’istituto volta a tutelare la prosecuzione e la qualità della prestazione ma, prima ancora, l’esigenza della pubblica amministrazione di non sconvolgere il proprio quadro finanziario[6].

Il Giudice amministrativo sostiene, infatti, che l’istituto della revisione è preordinato alla tutela dell’esigenza, propria della P.A., di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto, mentre solo in via mediata esso tutela l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni.

Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, l’utilizzo del predetto parametro non esonera la stazione appaltante dall’obbligo di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale[7], ma segna il limite massimo oltre il quale l’amministrazione non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale, «salvo circostanze eccezionali, che devono essere provate dall’impresa».

Pertanto, qualora l’appaltatore dimostri, durante l’istruttoria, l’esistenza di circostanze eccezionali, che giustifichino la deroga all’indice FOI, la quantificazione del compenso revisionale potrà essere effettuata ricorrendo a differenti parametri statistici[8].

Il Consiglio di Stato afferma, inoltre, che la periodicità della revisione «non implica affatto che si debba azzerare o neutralizzare l’alea sottesa a tutti i contratti di durata», rilevando che «risulterebbe ben singolare una interpretazione che esentasse del tutto, in via eccezionale, l’appaltatore dall’alea contrattuale, sottomettendo in via automatica ad ogni variazione di prezzo solo le stazioni appaltanti pubbliche, pur destinate a far fronte ai propri impegni contrattuali con le risorse finanziarie provenienti dalla collettività»[9].

Effettuata questa necessaria premessa in termini generali, occorre ora soffermarsi sulla specifica questione posta, ossia se risulti plausibile ritenere che, pur essendosi visto riconoscere la revisione generale dei prezzi in base al parametro stabilito in sede di indizione della procedura di affidamento (indice FOI), l’appaltatore possa aspirare ad un diverso (ma in ogni caso non ulteriore[10]) aggiornamento, corrispondente all’incremento del costo del lavoro, a seguito dell’avvenuta stipulazione del nuovo CCNL di categoria.

Occorre, anzitutto, ribadire che, su richiesta dell’appaltatore, spetta alla stazione appaltante effettuare, caso per caso, l’istruttoria preordinata a verificare, alla luce delle clausole previste dalla lex specialis e della specifica situazione di fatto, la sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale.

Ciò posto si segnala che il Consiglio di Stato, trattando della dimostrazione, da parte di un’impresa, dell’esistenza di circostanze eccezionali che giustificherebbero la deroga all’indice FOI[11], afferma che non basta richiamare l’aumento del costo dei mezzi o del costo del lavoro, nello specifico settore, per sostenere che dovrebbe applicarsi un indice diverso, in grado di “riequilibrare” il sinallagma funzionale del contratto, «poiché il compenso revisionale può essere riconosciuto, in misura superiore a quello del FOI, solo in presenza di circostanze eccezionali, quali eventi straordinari e imprevedibili, che esulano dalla normale dinamica di un rapporto contrattuale di durata»[12].

Infatti – precisa il Collegio – l’aumento del costo dei mezzi e del costo del lavoro «sono eventi ordinari e ordinariamente prevedibili da un’impresa qualificata del settore specifico […] e certo non può supplire agli effetti economici sfavorevoli all’appaltatore, cagionati dalla loro sopravvenienza in corso di rapporto, l’istituto della revisione che, come detto, risponde a ben altra e principale e, comunque, precipua finalità, dovendo altrimenti ammettersi che ogni aumento dei costi di una certa rilevanza imponga all’Amministrazione ipso facto la revisione del compenso»[13].

Con una più recente pronuncia, il Consiglio di Stato affronta proprio la tematica della richiesta di riconoscimento della revisione prezzi relativa al costo del lavoro in misura superiore all’indice ISTAT, applicato dalla stazione appaltante, motivata dal maggior onere scaturente dall’intervenuta stipulazione del nuovo CCNL cooperative sociali[14].

Il Giudice respinge il ricorso dell’appaltatore, avuto riguardo tanto al pacifico orientamento circa la necessaria applicazione dell’indice ISTAT, quanto in base alla considerazione che «il nuovo CCNL non costituisce una circostanza eccezionale ed inoltre tale contratto collettivo è stato stipulato nel 2008[15], quindi era conoscibile al momento della stipula del contratto di appalto[16] e, come tale, costituiva una circostanza prevedibile, essendo quindi inidoneo al fine di giustificare una deroga dal limite dell’indice ISTAT»[17].

Occorre, poi, segnalare al Comune che il riconoscimento della revisione prezzi sulla base di un parametro diverso da quello originariamente previsto, sempreché non ricorrano le “circostanze eccezionali e specifiche” che lo consentano, oltre a confliggere con i princìpi di trasparenza e di par condicio, configurerebbe una modifica sostanziale del contratto, in aperta violazione delle disposizioni recate dall’art. 106, comma 1, lett. e)[18]e comma 4[19], del D.Lgs. 50/2016.

Per quanto sin qui rilevato non appare condivisibile la diversa tesi prospettata nel parere legale trasmesso dall’Ente, posto che i richiami normativi, giurisprudenziali[20] ed interpretativi ivi contenuti non sembrano pertinenti.

Va, anzitutto, ribadito che la norma di riferimento in materia di revisione dei prezzi è contenuta nel comma 1, lett. a)[21] e non già nel comma 2[22] dell’art. 106 del D.Lgs. 50/2016.

Infatti, poiché il comma 2 esordisce disponendo che «I contratti possono parimenti essere modificati, oltre a quanto previsto al comma 1, […]» deve ritenersi che si tratti di evenienze diverse da quelle disciplinate in precedenza.

D’altronde non appare verosimile che il legislatore, dopo aver espressamente menzionato la revisione dei prezzi nell’ambito delle ipotesi regolamentate al comma 1, appronti, al comma 2, una disciplina generale che possa risultare applicabile[23] al medesimo istituto.

La conferma del differente ambito oggettivo che i commi in argomento sono destinati a disciplinare si rinviene nell’atto di segnalazione n. 4 del 13 febbraio 2019[24], con il quale l’ANAC, dopo aver analizzato il comma 1 del predetto art. 106, afferma che il successivo comma 2 «contempla una ulteriore modifica del contratto».

Ciò posto si rileva che gli ulteriori richiami e le considerazioni contenuti nel parere legale di cui trattasi riguardano la fase della scelta del contraente, che va tenuta distinta dalla fase relativa alla conclusione ed esecuzione del contratto, nell’ambito della quale si colloca l’istituto della revisione dei prezzi.

Le disposizioni legislative ivi citate stabiliscono, infatti, parametri e limiti da considerare ai fini della corretta individuazione dell’importo da porre a base di gara (cosicché sarebbe precluso all’Ente tener conto di futuri incrementi di costo, peraltro non quantificabili a priori) e della valutazione di anomalia dell’offerta, la quale rileva, evidentemente, ai soli fini dell’aggiudicazione della gara.

Ci si può dolere del fatto che il legislatore abbia approntato una serie di tutele relative al costo del lavoro nell’ambito della fase di scelta del contraente[25], ma non anche in quella di esecuzione del contratto; ciò non consente, tuttavia, all’interprete di porvi alcun rimedio.

Occorre, poi, considerare – qualora si dovesse invocare un intervento normativo sul tema in discussione – che la disciplina di entrambe le fasi risulta riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientrando la prima nella materia trasversale “tutela della concorrenza”[26] e la seconda nella materia “ordinamento civile”[27].

Quanto all’affermazione del legale secondo la quale “La stessa sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, 5 novembre 2018, n. 6237, non pare vietare una revisione prezzi fondata sulla modifica del contratto collettivo.” si ritiene di dover dissentire, considerato che il Giudice sancisce che «il nuovo CCNL non costituisce una circostanza eccezionale ed inoltre[28] tale contratto collettivo è stato stipulato […]». Appare, perciò, che il Collegio abbia voluto statuire in via generale che l’approvazione di un nuovo CCNL non rappresenta una circostanza eccezionale.

Non si ritiene condivisibile nemmeno l’opinione del legale in base alla quale “un rinnovo contrattuale che interviene a distanza di molti anni da quello precedente assume una certa connotazione di straordinarietà e imprevedibilità” ritenendosi, al contrario, che il decorso del tempo, rispetto ad un evento obbligatorio e necessario, renda sempre più probabile il suo verificarsi a breve termine.

In conclusione, come già segnalato, spetterà comunque al Comune valutare di volta in volta, mediante apposito procedimento, tutte le circostanze del caso concreto, al fine di stabilire l’eventuale ricorrenza di evenienze eccezionali (ossia impreviste ed imprevedibili), che possano essere ritenute idonee a consentire il riconoscimento della revisione dei prezzi in misura superiore all’indice FOI.

La presente nota viene trasmessa, per conoscenza, al Servizio politiche per il terzo settore della Direzione centrale salute, politiche sociali e disabilità, affinché esso possa esprimere eventuali ulteriori considerazioni in ordine alla tematica trattata.

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[1] Il quale stabiliva che «Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5.».

I dati ai quali faceva riferimento la disposizione erano costituiti dai “costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali”, che avrebbero dovuto essere determinati annualmente dall’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, avvalendosi dei dati forniti dall’ISTAT e tenendo conto dei parametri qualità-prezzo di cui alle convenzioni stipulate dalla CONSIP, ai sensi dell’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488. A tal fine l’ISTAT avrebbe dovuto curare la rilevazione e l’elaborazione dei prezzi di mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni aggiudicatrici, provvedendo alla comparazione, su base statistica, tra questi ultimi e i prezzi di mercato.

[2] Così P. Cartolano, Ius variandi nel d.lgs. n. 50/2016, reperibile in www.mediappalti.it.

[3] Così il comma 3, lett. h-bis).

[4] Nemmeno nella vigenza delle precedenti disposizioni.

[5] Cfr., più recentemente, Consiglio di Stato, Sez. III, 9 gennaio 2017, n. 25 e 25 marzo 2019, n. 1980.

[6] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III n. 25/2017, cit. e 5 novembre 2018, n. 6237.

[7] Il Consiglio di Stato precisa che la determinazione della revisione prezzi viene effettuata, dalla stazione appaltante, all’esito di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente (cfr. Sez. III, 2 maggio 2019, n. 2841).

[8] Cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. III, 1 aprile 2016, n. 1309, n. 25/2017, cit., n. 1980/2019, cit.

[9] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1980/2019, cit. e n. 2841/2019, cit.

[10] Si ritiene, infatti, condivisibile la posizione dell’Ente (desumibile dal testo del quesito posto) circa l’inammissibilità di accogliere integralmente la richiesta avanzata dalle cooperative sociali, stante la parziale duplicazione di beneficio che essa comporterebbe.

[11] Nella fattispecie, l’aggiudicataria di un servizio di elisoccorso, a conclusione del procedimento revisionale avviato ai sensi dell’art. 115 del D.Lgs. 163/2006, si vedeva applicato l’indice FOI, altro e diverso parametro statistico rispetto all’indice NIC – Trasporto Aereo Passeggeri (sottovoce 0733), inizialmente previsto per l’adeguamento dei prezzi. La stazione appaltante, che aveva già accordato, per alcune annualità, il compenso revisionale in base al predetto indice NIC, aveva poi provveduto a riformare, in autotutela, le relative deliberazioni, rideterminando il quantum della revisione in base all’indice FOI, in considerazione del consolidato orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto. Il Consiglio di Stato, richiamando la ratio dell’istituto e il predetto orientamento, ha ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione.

[12] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1309/2016, cit.

[13] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1309/2016, cit.

[14] Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, cit.

[15] Precisamente il 30 luglio 2008.

[16] Avvenuta il 10 marzo 2008.

[17] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, cit.

[18] «Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:

[…]

e) se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del comma 4. […]».

[19] «Una modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia è considerata sostanziale ai sensi del comma 1, lettera e), quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti. In ogni caso, fatti salvi i commi 1 e 2, una modifica è considerata sostanziale se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte:

a) la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione;

b) la modifica cambia l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale;

[…]».

[20] Fatta eccezione per la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, da ultimo esaminata.

[21] In base alla quale è consentito modificare i contratti d’appalto durante il periodo di efficacia se, a prescindere dal loro valore, le modifiche sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, «che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi».

[22] «I contratti possono parimenti essere modificati, oltre a quanto previsto al comma 1, senza necessità di una nuova procedura a norma del presente codice, se il valore della modifica è al di sotto di entrambi i seguenti valori:

a) le soglie fissate all’articolo 35;

b) il 10 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di servizi e forniture sia nei settori ordinari che speciali ovvero il 15 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori sia nei settori ordinari che speciali. Tuttavia la modifica non può alterare la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro. In caso di più modifiche successive, il valore è accertato sulla base del valore complessivo netto delle successive modifiche. Qualora la necessità di modificare il contratto derivi da errori o da omissioni nel progetto esecutivo, che pregiudicano in tutto o in parte la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione, essa è consentita solo nei limiti quantitativi di cui al presente comma, ferma restando la responsabilità dei progettisti esterni.».

[23] Sempreché non venga alterata la natura complessiva del contratto.

[24] Concernente gli obblighi di comunicazione, pubblicità e controllo delle modificazioni del contratto ai sensi dell’art. 106 del D.Lgs. 50/2016 e approvato con delibera n. 112 del 13 febbraio 2019.

[25] Non senza rilevare, peraltro, che l’art. 97, commi 5 e 6, del D.Lgs. 50/2016, disciplinando l’anomalia dell’offerta, stabilisce l’inderogabilità unicamente dei “minimi salariali retributivi” o dei “trattamenti salariali minimi”.

[26] V. l’art. 117, comma 2, lett. e), della Costituzione.

[27] V. l’art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione.

[28] Avverbio corrispondente a locuzioni quali: “per di più”, “oltre a ciò”, “ulteriormente”, “come se non bastasse”, “in aggiunta”.

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