07/02/2019 – Comuni ed immigrazione: prime riflessioni e criticità applicative del ”Decreto sicurezza” per gli enti locali

DI MARCELLO COLLEVECCHIO

 Comuni ed immigrazione: prime riflessioni e criticità applicative del ”Decreto sicurezza” per gli enti locali

 

Con d.l. 4.10.2018, n.113, conv. in legge dall’art.1, co.1, legge 1°12.2018, n.132 è stato emanato il cd. “Decreto sicurezza”, articolato in tre titoli aventi ad oggetto materie non del tutto omogenee: il titolo 1 (artt. 1 – 15 ter) concerne provvedimenti di gestione della immigrazione, il titolo 2 (art.16 – 31 ter) norme di rafforzamento della sicurezza pubblica e prevenzione del terrorismo, il titolo 3 prevede disposizioni per la funzionalità del Ministero dell’Interno, in particolare della sicurezza urbana. Nel circoscrivere la riflessione al solo titolo 1, relativo alla materia della immigrazione, appare già dai recenti fatti di cronaca il forte impatto del decreto sui comuni: basti pensare alle posizioni forti assunte dal Sindaco di Palermo ad inizio anno di “sospendere” l’applicazione di alcune norme del decreto, o del Sindaco di Castelnuovo di Porto, vicino Roma, in relazione allo sgombero ed al trasferimento degli immigrati dal Centro di Accoglienza dei Richiedenti Asilo (di seguito anche “Cara”) di Castelnuovo del 22 gennaio, o alla posizione di accoglienza espressa in questi giorni dal Sindaco di Siracusa in relazione ai lunghi giorni di mancato sbarco dei migranti della “Sea Watch”, ormeggiata vicino la costa della città siciliana. Tali posizioni critiche delle amministrazioni comunali sono maturate non solo in occasione di tensioni legate a situazioni particolari, se è vero che il Presidente dell’ANCI ad inizio anno aveva chiesto con urgenza al governo un tavolo di confronto per discutere di alcuni profili del citato decreto. L’ispirazione fondamentale del decreto è quella di gestire il fenomeno migratorio con finalità di riduzione degli arrivi e con una forte limitazione delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno. In sintesi, la novità più rilevante riguarda indubbiamente l’abrogazione – o meglio la rilevante limitazione – della cd. protezione umanitaria. In base al sistema previgente il migrante poteva chiedere lo stato di rifugiato politico, o la protezione sussidiaria, o la protezione umanitaria. Tale ultima categoria era di carattere generale e residuale, e garantiva una protezione a coloro che – pur non essendo riconducibili alle prime due – si trovavano in gravi situazioni personali tali da non consentire l’allontanamento o un ritorno nel paese di origine, anche per motivi persecutori dovuti a ragioni di natura diversa. Invero l’art.1 del decreto n.113/2018 non elimina del tutto il permesso per motivi umanitari ma – nel modificare il d.lgs. n.286/1998 – lo circoscrive solo e soltanto ad alcune ipotesi particolari: per cure mediche, per le vittime di violenza o grave sfruttamento con pericoli per l’incolumità della persona, per violenza domestica, per situazioni di eccezionale calamità, per particolare sfruttamento del lavoratore, per atti di particolare valore civile… (segue)

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