07/01/2021 – Risarcimento danni e principi di correttezza e buona fede applicabili anche “a parti invertite”

Risarcimento danni – Contratti della Pubblica amministrazione – Principi di correttezza e buona fede nelle trattative – Art. 1337 cod. civ. – Applicabilità anche “a parti invertite”. 

Cons. St., sez. II, 31 dicembre 2020, n. 8546 – Pres. Deodato, Est. Manzione

La Pubblica amministrazione può agire in giudizio per la tutela dei propri diritti soggettivi nelle materie a giurisdizione esclusiva, quale tipicamente la contrattualistica pubblica; ciò accade tipicamente per azioni a titolo di responsabilità precontrattuale proposte nei confronti delle controparti private, per condotte scorrette nella fase delle trattative; allo stesso paradigma è riconducibile l’azione risarcitoria per il danno che l’Amministrazione ritenga di avere subito dalla mancata stipula del contratto per l’annullamento dell’aggiudicazione per causa riconducibile all’aggiudicatario; al fine di valutare la sussistenza dell’illecito, tuttavia, devono comunque essere utilizzate a “parti invertite” e con i necessari adattamenti tutte le categorie concettuali elaborate dalla giurisprudenza con riferimento alla condotta della pubblica amministrazione; pertanto anche il privato fruisce della “esimente” della complessità giuridica di un istituto, laddove il suo corretto inquadramento sia alla base del comportamento che gli viene addebitato dalla controparte pubblica (1). 

​​​​​​(1) Ha premesso la Sezione che la possibilità di agire in giudizio a tutela dei propri diritti soggettivi in ambiti di giurisdizione esclusiva da parte della p.a. è stata da sempre riconosciuta dal giudice amministrativo, avuto riguardo in particolare alle azioni a titolo di responsabilità precontrattuale proposte nei confronti delle controparti private, per condotte scorrette nella fase delle trattative. A favore della riconosciuta bilateralità direzionale delle tutele milita in primo luogo il principio di concentrazione delle stesse, che avrebbe reso irrazionale ed antieconomico non trattare unitariamente la domanda riconvenzionale di un’amministrazione verso il privato che l’abbia evocata in giudizio innanzi al giudice amministrativo, con l’evidente rischio anche di contrasto di giudicati (Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 20; id., A.P., 20 luglio 2012, n. 28; nonché da ultimo Cost. n. 179 del 2016). L’aggiudicazione definitiva, pur integrando il momento di cesura tra una generica aspettativa di buon esito della gara, più o meno rafforzata dalla tipologia dei contatti intercorsi, e una specifica connotazione soggettiva quale “vincitore” della procedura ad evidenza pubblica, attiene ancora tuttavia al piano delle “trattative”, di cui costituisce il massimo punto espressivo, al di là del quale nasce il sinallagma contrattuale e gli obblighi tra le parti si connotano della vicendevolezza riconducibile allo stesso. Il suo annullamento, quindi, eliminando tale diaframma formale fra la fase delle trattative e la fase della stipula del contratto e della susseguente esecuzione della prestazione, fa sostanzialmente retroagire i rapporti tra le parti alla prima di esse, ivi collocando la necessaria valutazione del comportamento del privato. 

Ha aggiunto la Sezione che al fine di dirimere una controversia che veda quale parte attrice l’Amministrazione, anziché il privato, devono comunque essere utilizzate le categorie concettuali elaborate dalla giurisprudenza “a parti rovesciate”, non limitandosi alla operatività a discolpa (anche) del privato della “esimente” della «obiettiva situazione di incertezza circa le corrette determinazioni (pubblicistiche) da assumere».

Il dibattito sulla responsabilità riveniente dalla non corretta gestione della dinamica relazionale nella contrattualistica pubblica ha costituito da tempo l’ambito più fertile di sviluppo della teorica di un sistema di diritto comune che attingendo ai principi civilistici ne mutua l’essenza al fine di ampliare la soglia della risarcibilità ed elevare il livello di collaborazione richiesto alla pubblica amministrazione, seppur senza rinunciare alle prerogative del proprio potere autoritativo. La commistione tra regole pubblicistiche e regole privatistiche che ne connota la disciplina, infatti, sì da renderle operanti non in sequenza temporale, ma in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione, ben giustificano l’approccio osmotico a categorie concettuali tipiche del diritto privato da parte dei titolari di pubblici poteri (Cons. Stato, sez. II, 20 novembre 2020, n. 7237). Da qui la rilevanza attribuita a quelle di correttezza, che non possono pertanto essere relegate soltanto ad una o più delle singole fasi in cui si suddivide una gara, ma le permeano nella loro interezza, in quanto le stesse, oltre che intrise di aspetti pubblicistici e privatistici, sono tutte pur sempre teleologicamente orientate all’unico fine della stipulazione del contratto. Prima della quale, dunque, il loro rispetto non può che riguardare le “trattative”, il “contatto” più o meno intensamente qualificato nelle quali esse si sono circostanziate, a seconda del grado di sviluppo del procedimento.

Va ricordato altresì come la differenza tra violazione delle regole pubblicistiche e civilistiche risiede nel fatto che la prima, in quanto riferita all’esercizio diretto ed immediato del potere, impatta sul provvedimento, determinandone, di regola, l’invalidità; l’altra, invece, si riferisce al comportamento, seppur collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere, complessivamente tenuto dalla stazione appaltante o dall’amministrazione aggiudicatrice nel corso della gara e la loro violazione genera non invalidità provvedimentale, ma responsabilità. Il che non può non valere anche con riferimento alla condotta del privato, seppure a sua volta destinata a confluire in atti dell’Amministrazione. Essa, dunque, va egualmente valutata alla stregua della rispondenza ai richiamati canoni di correttezza comportamentale, non potendo certo porsi sullo stesso piano un errore o una dimenticanza o una scelta determinata da errore di diritto scusabile, e un’altra, consapevolmente volta invece a trarre in inganno il contraente pubblico. Diversamente opinando, si arriverebbe al paradosso di “punire” con maggior rigore la condotta che abbia inciso in via “mediata” su un provvedimento, rispetto a quella ascrivibile direttamente al funzionario preposto ad esprimere la volontà dell’Amministrazione, la cui responsabilità, espressamente evocata in caso di annullamento d’ufficio dal portato testuale del comma 1 dell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, rientra comunque nella normale perimetrazione della colpevolezza.

Ha ancora ricordato la Sezione che il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti previsti, e cioè la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa, l’esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l’illecito e il danno subito. Essendo tuttavia la Pubblica Amministrazione chiamata a muoversi (anche) all’interno di un quadro procedimentale rigorosamente predeterminato fin dalla fase della scelta del contraente, non gode certo della medesima “libertà di autodeterminazione” riconosciuta e tutelata nel privato (Cons. Stato, A.P., 4 maggio 2018, n. 5) se non nel senso della tutela dell’affidamento riposto nel buon esito delle procedure, scongiurando fattori di indebito procrastinamento della definizione delle stesse e conseguentemente dell’interesse pubblico sotteso all’attivazione della procedura concorsuale. Affinché, tuttavia, tale generica aspettativa di buon esito intrinseca all’esercizio di qualsivoglia funzione pubblica, venga attinta dal comportamento del privato è necessario che quest’ultimo abbia colpevolmente orientato le scelte (sbagliate) dell’Amministrazione. 

Sia l’Amministrazione che il privato sono tenuti a comportarsi secondo i principi di correttezza e buona fede nelle trattative; la tutela dell’aspettativa della pubblica amministrazione, tuttavia, non può identificarsi in quella della “libertà di autodeterminazione negoziale”, in quanto la stessa è chiamata a muoversi all’interno di un quadro procedimentale rigorosamente predeterminato, stante la commistione tra regole di diritto pubblico e regole di diritto privato che connota tipicamente l’ambito della contrattualistica pubblica; perché possa dirsi lesa l’aspettativa qualificata della pubblica amministrazione è pertanto necessario che il privato abbia rafforzato colpevolmente la fiducia dell’Amministrazione nel buon esito del procedimento; la mancata stipula del contratto che consegua all’annullamento dell’aggiudicazione può costituire un fatto riconducibile allo stesso idoneo a far “scattare” i meccanismi speciali di tutela rinforzata previsti dal legislatore (oggi, la c.d. “garanzia a prima richiesta” ex art. 93,  d.lgs. n. 50 del 2016), ma perché a ciò consegua anche il risarcimento degli ulteriori danni subiti devono sussistere anche i rimanenti presupposti dell’illecito civile. 

 

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