06/04/2019 – Mobilità bloccata per 5 anni  

Mobilità bloccata per 5 anni  

di LUIGI OLIVERI – Italia Oggi – 05 Aprile 2019

Mobilità bloccata per cinque anni negli enti locali, per i dipendenti neoassunti. La legge 26/2019, di conversione del dl 4/2019 (su reddito di cittadinanza e quota 100) introduce una novità rilevante per la gestione del personale alle dipendenze di regioni ed enti locali. L’ articolo 14-bis della legge 26/2019, infatti, inserisce nel corpo dell’ articolo 3 del dl 90/2014, convertito in legge 114/2014, un nuovo comma 5-septies, ai sensi del quale «i vincitori dei concorsi banditi dalle regioni e dagli enti locali, anche se sprovvisti di articolazione territoriale, sono tenuti a permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi». È piuttosto evidente la stretta somiglianza di questa disposizione con quella contenuta, da ben prima, nel comma 5-bis, dell’ articolo 35 del dlgs 165/2001: «I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi».

Entrambe le previsioni sono finalizzate a consentire ai dipendenti neo assunti di trasferirsi volontariamente presso un altro ente, anche di comparto diverso, solo dopo aver prestato servizio nella prima sede di destinazione per almeno 5 anni. Perchè, allora, una disposizione come quella contenuta nella legge 26/2019? Non si tratta, a ben vedere, di una semplice replica di quanto già da tempo previsto nel testo unico sul pubblico impiego. Sta di fatto che l’ articolo 35, comma 5-bis, del dlgs 165/2001 è stato considerato, da gran parte della dottrina e soprattutto dagli operatori concreti, come una disposizione valevole solo per le amministrazioni dello Stato o, comunque, organizzate con uffici distribuiti su territori ampi. I comuni, in particolare, si sono sempre ritenuti non soggetti a tale previsione, dal momento che tecnicamente non era possibile identificare una «sede di prima destinazione» geograficamente autonoma rispetto ad altre. La legge 26/2019 estende espressamente il divieto di trasferimento volontario presso altre amministrazioni prima di 5 anni dall’ assunzione anche alle amministrazioni locali sprovviste «di articolazione territoriale», proprio allo scopo di privare di effetto l’ interpretazione restrittiva che fin qui di fatto aveva vanificato la portata dell’ articolo 35, comma 5-bis, del dlgs 165/2001 negli enti locali.

Tuttavia, lo scopo appare anche un altro. È noto che il disegno di legge delega per la riforma della pubblica amministrazione, approvato dal consiglio dei ministri poco tempo fa, intende riproporre un’ idea, molte volte già espressa in precedenza e sempre naufragata: abolire il nulla osta alla mobilità volontaria dei dipendenti. Il che consentirebbe, quindi, ai dipendenti pubblici di trasferirsi da un’ amministrazione all’ altra, senza dipendere dal consenso alla mobilità del datore di lavoro. Ovviamente, simile disposizione avrebbe la controindicazione di rendere poco controllabile la dotazione organica operante negli enti. L’ articolo 14-bis della legge 26/2019, allora, introducendo l’ obbligo di permanenza per cinque anni nella prima sede di destinazione intende porre un argine al rischio di una serie incontrollabile di mobilità. C’ è da osservare che la norma introdotta dall’ articolo 14-bis della legge 26/2019 non è, però, di interpretazione autentica e, quindi, non ha efficacia retroattiva; pertanto, è corretto concludere che l’ obbligo di permanenza per almeno cinque anni valga solo per i dipendenti che saranno assunti dopo la sua entrata in vigore.

Gli altri dipendenti, la stragrande maggioranza dei quali ha oltre cinque anni, se davvero si esercitasse la delega tendente ad abolire il nulla osta, potrebbe di conseguenza avere un domani mano libera nel trasferirsi dove ritenuto più opportuno. Se davvero, dunque, il Legislatore ritiene che l’ obbligo della permanenza di cinque anni nella sede costituisca un limite alle mobilità, una volta liberalizzate, è da evidenziare che ha sottostimato le conseguenze di simile decisione. La parte preponderante del personale degli enti locali potrebbe decidere di andare in mobilità verso altre amministrazioni, in una girandola incontrollabile che per altro vanificherebbe del tutto le regole sulla programmazione dei fabbisogni, che diverrebbe poco più che carta straccia. Un ripensamento maggiormente meditato dell’ intenzione manifestata di eliminare il nulla osta è quanto mai necessario.

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto